Nei momenti di sollievo, sempre più frequenti, io penso a Franca Falcucci, che fu ministro dell’istruzione quarant’anni fa, quand’ero alle medie.
Non ci penso perché fu la prima donna a essere ministro dell’istruzione, e all’epoca c’erano soffitti di cristallo veri da rompere, e come sempre quando ci sono problemi veri da affrontare ci si dedicava a risolverli e non a cianciare. Ho rivisto il Tg1 del giorno in cui fu arrestato Tortora, e apriva con un servizio in cui c’era la Thatcher, con una camicetta color lampone che le donne al governo oggi non si permetterebbero mai – ma sto divagando (strano, puntesclamativo).
Non ripenso a Franca Falcucci neppure perché quando assunse quel ruolo ero in quinta elementare, quando lo lasciò avevo appena finito il primo anno di liceo, e quindi è l’unico ministro dell’Istruzione sotto il quale riuscii a farmi promuovere.
Ci penso perché, in tredici anni di frequentazione delle scuole (più un numero che non ricordo neppure io di inutili iscrizioni universitarie e sporadici esami), la Falcucci è l’unico ministro di settore di cui ricordi il nome senza l’aiuto di Google. Google grazie al quale apprendo che quando iniziai la prima elementare era ministro dell’Istruzione Spadolini e quando feci l’orale della maturità la Iervolino; e che da lì erano passati, molti anni prima che le loro carriere arrivassero addirittura alla presidenza della Repubblica, Scalfaro e Mattarella.
Non vorrei, dopo avervi illusi che questo fosse un articolo sui ruoli istituzionali delle donne, depistarvi convincendovi che state leggendo una storia del ministero dell’istruzione. Quello che intendo dire è che neppure io, che avevo l’età dei giovani, avevo alcun interesse per ciò che riguardava i giovani (i giovani come categoria politica, i giovani come nella canzone di Jovanotti: i giovani stanno dentro ai sondaggi, catalogati in percentuale, i giovani stanno bene, i giovani stanno male).
Mi ricordo della Falcucci perché ci fu qualche manifestazione di cui ci accorgemmo solo noi che per una rara e breve volta eravamo al centro dell’attenzione. Trovo un’Unità del mio primo anno di liceo che apre la prima pagina con «Nelle università arriva la protesta contro la Falcucci», ma sospetto c’entrasse più il di lei essere un ministro del governo Craxi che il fregare a qualche adulto di noialtri ragazzini che facevamo ciò che è normale facciano i ragazzini: dire «non ci date abbastanza retta». (Oggi, che esiste il mestiere dell’adulto fomentatore di indignazioni pavloviane di ragazzini, per un titolo così L’Unità verrebbe riempita di contumelie: come sarebbe «La» Falcucci, sessisti).
Ieri ho letto i giornali, è una cosa che faccio ormai pochissimo, e quindi può essere che fosse una giornata particolare, ma mi sembrava il mondo incistato sui ragazzini.
Il diciottenne modenese che è morto perché un amico doveva filmarlo mentre fingeva di affogare ed è affogato davvero. (Ma come, il problema non era che gli YouTuber che hanno ammazzato il bambino rappresentano un’epoca in cui mettiamo in pericolo gli altri invece di noi stessi?).
Gli YouTuber indagati (al sesto giorno di notiziabilità) che chiudono il loro canale (adesso sì che il problema sarà risolto, giacché il problema era il canale YouTube di quattro scemi che fanno gli scemi, mica miliardi di persone con una telecamera nel telefono che non può che renderle sceme).
La scuola Holden che compra una pagina pubblicitaria per stare vicina (vabbè) ai maturandi, e in essa elenca le risposte alla domanda «quando ti sei sentito maturo» che le hanno dato cento spero allievi e non docenti della Holden stessa (dalla didascalia non si capisce), cento frasette che fanno venire voglia di spostare il suffragio dopo i sessant’anni.
Beppe Grillo che, come un Enrico Letta qualunque, vuole dare il voto ai sedicenni, quelli al completamento del cui sviluppo cerebrale mancano nove anni, e toglierlo ai vecchi, che effettivamente hanno questo intralcio del saper pensare e insomma se pure s’incomodano a votare è difficile votino Grillo (ma pure Letta, ma pure chiunque degli attualmente disponibili sul mercato elettorale). Per inciso, è la stessa idea di quella tizia che di mestiere riordina gli armadi su Instagram e che qualche mese fa è stata linciata per aver detto che i vecchi si ostinano a votare invece di morire: come minimo Grillo dovrebbe offrirle il lavoro di Casalino.
Beppe Grillo che, nello stesso comizio, dice (chissà come mai non ci ha fatto il titolo nessuno) che i giovani vogliono «incidere, e non incidi facendo il lavapiatti». Vero, e infatti vogliono (vogliamo: è transgenerazionale) tutti incidere facendo i like e poi andando dalle aziende a dire faccio un sacco di like, dammi i soldi; e pazienza se ogni tanto ci scappa il morto, sarà sempre un’eccezione, il problema sistematico sarà che quei giovani (ma pure Grillo), alla fine d’una giornata in cui hanno inciso, non potranno più andare a cena al ristorante, perché non ci sarà nessuno che lavi i piatti.
Ieri sul Corriere c’erano i figli di Mike Bongiorno che dicevano che il padre la prigionia di guerra non la raccontava mai. Mi è tornato in mente Luciano Salce che, nel suo diario, dei suoi due anni di prigionia scrive solo «Due anni difficili». Non sarò così paracula da piazzarvi qui una frasetta sul secolo comodo e frignone in cui tutto è trauma: non avere abbastanza like, non incidere, essere stati sul divano a fare lezione a distanza e a giocare con la Playstation.
Nella pubblicità della Holden qualcuno dice che la sua linea d’ombra l’ha superata quando ha tolto i capelli dallo scarico della doccia, e chissà fino a che età gliel’hanno fatto la mamma o la cameriera, accudenti a ogni doccia di puccettone, e non sarò certo io a pensare che il mondo è andato a puttane quando hanno eliminato il servizio di leva.
Dico solo che, nei momenti di sollievo, io penso che clamorosa botta di culo sia stata essere stati giovani quando i giovani non erano il tema di cui gli adulti smaniavano per parlare, non erano la metà delle pagine dei quotidiani (letti da sessantenni terrorizzati di venire definiti «boomer» e disposti a fingersi interessati alla questione dell’esame di maturità), non erano niente. Che poi è l’unico modo per avere il potenziale, nell’indifferenza dei grandi, di diventare tutto.