Pollice verde sbiaditoLe ambizioni elettorali di Ursula von der Leyen rischiano di annacquare il Green deal

L’agenda per la neutralità carbonica entro il 2050 è cruciale per questa Commissione, ma potrebbe essere meno rilevante nella prossima, in cui i popolari puntano a una maggioranza tutta di destra

Ursula von der Leyen alla Cop26 (LaPresse)

Quando lo presentò nel dicembre 2019, Ursula von der Leyen lo definì «lo sbarco sulla Luna dell’Europa», ma ora l’opposizione interna del suo partito rischia di riportarla bruscamente sulla Terra. Il Green deal, l’ambizioso e complesso piano dell’Ue per diventare neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050, e fiore all’occhiello dell’agenda della Commissione europea, è oggi messo a dura prova. 

Non solo dagli ostacoli previsti (le resistenze di alcuni governi dell’Unione alle politiche green) e da quelli imprevisti (la pandemia e la guerra in Ucraina, che rischiano di rallentare la transizione energetica), ma anche dalla nuova strategia politica del Partito popolare europeo, lo stesso a cui appartiene la presidente Ursula von der Leyen e il più rappresentato al Parlamento comunitario.  

Popolari sempre più conservatori
L’ultimo episodio di una tendenza ormai chiara riguarda la legge sul ripristino della natura (Nature restoration law), uno dei testi legislativi chiave del Green deal, proposto nel giugno 2022 dalla Commissione per avere entro il 2030 almeno il venti per cento delle aree terrestri e marine dell’Ue sottoposte a determinati standard ambientali.

Da tempo il Ppe si è espresso in maniera netta contro la legge, chiedendone il ritiro, e nell’ultima sessione plenaria al Parlamento di Strasburgo ha fatto seguire i fatti alle parole: tutti gli eurodeputati popolari della commissione Ambiente dell’Eurocamera hanno votato per la bocciatura del testo legislativo, evitata per un soffio. 

Il pareggio 44-44 nella votazione ha garantito la sopravvivenza della proposta, che ora verrà discussa nei suoi dettagli a fine mese (il 27 giugno), quando il il Ppe e gli altri gruppi politici di destra tenteranno di “ammorbidire” il più possibile la posizione negoziale del Parlamento, mentre il Consiglio dell’Ue ha appena adottato la sua (con parere contrario dell’Italia).

I popolari promettono battaglia anche su un altro file significativo nelle politiche ambientali dell’Ue: il cosiddetto «Regolamento pesticidi», al voto in commissione Ambiente a settembre, con cui la Commissione vuole ridurre del cinquanta per cento l’utilizzo di pesticidi chimici entro il 2030 e proibirli del tutto nelle aree considerate «sensibili a livello ecologico», in cui proteggere gli insetti impollinatori.

In entrambe le circostanze, il Ppe adotta una posizione fortemente critica nei confronti delle proposte della Commissione, e molto vicina alla preoccupazioni del settore agricolo, che teme la sottrazione di terreni fertili con la Nature restoration law e costi di produzione più alti con la riduzione dei pesticidi. La sicurezza alimentare è il nuovo concetto cardine da difendere nella recente narrativa del gruppo.

L’allineamento con questo tipo di istanze, a cui in verità i popolari prestano ascolto da sempre, sembra essersi accentuato negli ultimi mesi, in cui va delineandosi una contrapposizione sempre più netta fra interessi degli agricoltori e gli obiettivi delle politiche del Green deal.

Una tendenza che ha dato la sua traduzione elettorale più chiara nei Paesi Bassi, dove un partito fondato nel 2019, il Movimento Civico-Contadino (BoerBurgerBeweging), ha conquistato il primo posto alle elezioni regionali, assicurandosi il maggior numero di senatori.

La sua retorica fortemente contraria alla recente legislazione europea, a partire proprio dai pesticidi, non è nuova nei partiti euroscettici di destra radicale, che al Parlamento comunitario appartengono ai gruppi dei Conservatori e riformisti europei (il gruppo di Fratelli d’Italia) o a Identità e democrazia (quello della Lega). 

Ma ora sembra aver contagiato profondamente anche il Ppe, tanto che il presidente della commissione Ambiente dell’Eurocamera, il francese Pascal Canfin, ha accusato i popolari di «fare copia-incolla» delle posizioni di Id ed Ecr sul tema, invece che lavorare insieme alla maggioranza europeista che sostiene l’attuale Commissione, di cui fanno parte anche socialisti e liberali. 

Obiettivo nuova maggioranza
Del resto la «maggioranza Ursula», coalizione dei più grandi gruppi politici dell’Eurocamera che ha sostenuto l’elezione di von der Leyen, si era già spaccata in passato sui temi ambientali. Il caso più eclatante avvenne un anno fa, con lo scontro nel giugno 2022 fra il Ppe da una parte, S&D e Renew Europe dall’altra. Allora a Strasburgo si votavano la riforma dell’Ets, il meccanismo di compravendita dei permessi per emettere gas a effetto serra, e il Cbam, il dazio doganale sulle importazioni di prodotti realizzati emettendo anidride carbonica.

I popolari si schierarono insieme ai partiti di estrema destra per posticipare la fase di transizione in cui abolire, gradualmente, il rilascio di permessi Ets gratuiti, provocando la reazione stizzita di socialisti e liberali che per tutta risposta bocciarono il testo finale. Alla fine l’accordo si trovò con un compromesso e la fumata bianca rimandata soltanto di un paio di settimane.

La stessa dinamica di contrapposizione fra i principali gruppi dell’Eurocamera si è registrata su un altro provvedimento cruciale: la messa al bando dei motori a combustione a partire dal 2035. Nel voto finale all’Eurocamera la maggior parte dei rappresentanti dei popolari ha votato contro una decisione sostenuta invece a pieno titolo da socialisti e liberali. L’opposizione del Ppe in questo caso non ha bloccato l’approvazione, ma i deputati della destra erano già riusciti ad assicurarsi alcune deroghe ed eccezioni. 

Queste prese di posizione, unite a una retorica sempre più aggressiva contro il Green Deal, nascondono un piano preciso, non dichiarato dal presidente del Partito popolare europeo Manfred Weber, ma esplicitato invece da una figura di primo piano del Ppe, il vice-premier Antonio Tajani: l’obiettivo è una maggioranza diversa da quella attuale dopo le elezioni del 2024.

Al posto di una «Große Koalition» di popolari, socialisti e liberali, con l’appoggio esterno dei Verdi/Ale, il Ppe pensa a una coalizione tutta spostata a destra, insieme ai liberali di Renew e ai conservatori di Ecr, relegando tutta la sinistra all’opposizione

È un piano ambizioso (nella storia europea popolari e socialisti hanno sempre governato insieme), ma potrebbe essere favorito da alcune contingenze negli Stati membri più popolosi. In Italia, FdI sembra pronta a fare il pieno di consensi, in Spagna il Partido Popular e Vox potrebbero formare un’alleanza già a livello nazionale, in Germania socialisti e verdi arrancano, superati nei sondaggi dalla destra radicale di Afd. 

Non è quindi impossibile che nel Parlamento comunitario si riproponga uno schema già adottato, al momento, nei governi nazionali in Italia, Svezia e Finlandia, dove governano coalizioni di destra che includono partiti radicali.

E per questa nuova corsa non è detto nemmeno che sia necessario cambiare cavallo: la figura di Ursula von der Leyen, scelta nel 2019 dai capi di Stato e di governo a spese proprio di Manfred Weber, potrebbe essere ancora quella giusta. Lei non ha ancora sciolto le riserve sulla candidatura a un eventuale secondo mandato, ma pare risulti gradita in molte capitali europee, da Berlino in giù.

Di certo servirebbe da parte della presidente un atteggiamento più morbido sulle politiche ambientali, diverso da quello pugnace e combattivo di Frans Timmermans, il vice-presidente socialista incaricato del Green deal e bersaglio preferito degli attacchi dei popolari. Manca meno di un anno alla tornata elettorale europea e presto Ursula von der Leyen capirà se, per assicurarsi la presidenza più ambita di Bruxelles, sarà costretta o meno a sbiadire il suo pollice verde. 

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