L’era glacialeCome sta cambiando la lotta dell’Artico tra Nato, Russia e Cina

Il summit di Vilnius ha posto l’attenzione sull’adesione di Ucraina e Svezia all’Alleanza Altantica, ma il prossimo dossier cruciale sarà quello sulla sicurezza della regione nordica, diventata campo di battaglia tra le potenze mondiali per chi se ne aggiudicherà l’influenza

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Il summit di Vilnius ha ovviamente visto i riflettori puntati sull’Ucraina, tracciando la strada verso l’adesione di Kyjiv (seppur senza una roadmap definita) e il prossimo ingresso della Svezia. Il consolidamento degli alleati nella regione baltica e la nascita del “lago Nato” nella regione sono diventati centrali durante questi giorni (aspetti di cui Linkiesta aveva già parlato mesi fa). Ora, però, l’Alleanza guarda a un nuovo dossier: la sicurezza dell’Artico.

A prima vista, potrebbe sembrare poco rilevante e scarsamente redditizio per la Nato: perché mai sprecare tempo e risorse nella zona artica? I motivi sono svariati e si può tranquillamente affermare che l’Artico sarà uno dei prossimi campi di battaglia delle potenze mondiali.

Si tratta di una vasta regione situata intorno al Polo Nord, costituita principalmente dall’oceano Artico e circondata da terre e arcipelaghi che si estendono su otto Paesi: Canada, Stati Uniti (attraverso l’Alaska), Russia, Norvegia, Svezia, Finlandia, Islanda e Danimarca (attraverso la Groenlandia, territorio autonomo danese).

Tra questi, la Russia è sicuramente il più influente, in virtù della sua estensione territoriale e delle risorse naturali presenti nella regione. Mosca possiede la maggior parte delle coste artiche e ha investito notevolmente nello sviluppo delle risorse energetiche, come il petrolio e il gas naturale, presenti nella sua zona economica esclusiva artica. Anche il Canada e la Norvegia vantano un’influenza significativa. Il Canada, per esempio, costituisce la seconda maggiore linea costiera artica e ha interessi economici nella pesca, nel turismo e nelle risorse naturali. La Norvegia, invece, è notevolmente coinvolta nell’industria petrolifera e nel settore delle energie rinnovabili.

Storicamente, nell’Artico ha regnato la cooperazione anche tra potenze avversarie: la Guerra Fredda non ha impedito una significativa collaborazione scientifica tra Stati Uniti e Unione Sovietica, nell’unica parte del mondo a essere sopravvissuta allo scontro in modo tranquillo. Il Consiglio Artico è stato un esempio riuscito anche di cooperazione post-Guerra Fredda. I suoi otto membri hanno collaborato alla ricerca sui cambiamenti climatici e allo sviluppo sociale. Negli ultimi anni, però, l’armonia si è deteriorata, poiché la Russia ha aumentato la presenza militare e della guardia costiera nelle sue regioni artiche, che si estendono dalla Norvegia e dalla Finlandia a ovest fino all’Alaska a est.

La situazione è anche più complessa di così: è il caso delle isole Svalbard per esempio, un arcipelago artico amministrato dalla Norvegia che ospita una consistente e fiera popolazione russa. Il russian pride si è innescato tra i residenti quando hanno inscenato una parata paramilitare, con cinquanta veicoli e un elicottero, a Barentsburg, la seconda città più grande delle Svalbard, in occasione del giorno della Vittoria dell’Armata rossa.

Le Svalbard sono un caso singolare negli equilibri internazionali: un insieme remoto di territori governati da un solo Stato, ma abitati da persone di molti Paesi diversi e non dotati di forze armate. È così dal 1920, quando un trattato internazionale pose le isole sotto il dominio norvegese e diede ai cittadini degli altri Paesi firmatari del trattato il diritto di vivere e di condurre alcune attività commerciali. La Cina aderì al trattato nel 1925 e l’Unione Sovietica dieci anni dopo.

Mosca, ovviamente, potrebbe cavalcare le Svalbard come fa anche in Europa, dove le minoranze russofone rappresentano un asset per la guerra asimmetrica del Cremlino. Però ora non può più sostenere le sue pretese nell’Artico da sola: il governo russo vive una situazione di emergenza dal punto di vista economico e non è certo in grado di impegnare fondi importanti per la regione. La debolezza di Mosca presta il fianco al pressing di Pechino, anche nell’estremo nord. Una buona notizia per la Cina, un sedicente Stato “quasi artico”, e una cattiva notizia per tutti gli altri.

Tutti gli altri (Norvegia, Svezia, Finlandia, Islanda, Danimarca, Canada e Stati Uniti) collaborano già attivamente contro le minacce dell’asse russo-cinese. Questi Paesi hanno sospeso la loro collaborazione con la Russia dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, spingendo il Cremlino ulteriormente verso la Cina.

L’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato rappresenta però un cambio di passo per l’Occidente: ora la sicurezza della regione sarà trainata da Paesi che fanno parte dell’Alleanza. L’ingresso della Svezia rafforzerà il fianco settentrionale, scarsamente popolato, fornendo nuovi collegamenti via terra ai membri precedentemente isolati, Norvegia e Finlandia, e rendendo le basi navali e aeree russe nella penisola di Kola più vulnerabili. Un altro grandissimo risultato ottenuto da Putin con la sua aggressione in Ucraina.

L’Occidente infatti teme che Cina e Russia possano cercare di sfruttare le crescenti tensioni geopolitiche nell’Artico per aumentare la loro influenza sulla regione e sulle sue abbondanti risorse naturali. Durante la visita di Xi Jinping a Mosca, a marzo, le due parti hanno annunciato la creazione di un organismo di lavoro congiunto per lo sviluppo della Northern Sea Route, una rotta di navigazione che potrebbe avere un impatto significativo. Allo stesso tempo, Pechino sta lavorando a una “Via della Seta polare”. Alti funzionari occidentali hanno espresso il timore che l’era dell’eccezionalismo artico – quando la regione era isolata dalle tensioni globali – sia finita.

Soprattutto, negli ultimi decenni, il cambiamento climatico ha avuto un impatto gigantesco. A causa del riscaldamento globale, il ghiaccio marino si è ridotto in modo significativo, aprendo nuove opportunità di navigazione e sfruttamento delle risorse naturali. Questa situazione ha portato a un aumento dell’interesse e delle tensioni tra i Paesi che rivendicano diritti sulla regione, in particolare per quanto riguarda la sovranità territoriale e l’accesso alle risorse.

Le nuove rotte potrebbero rappresentare un cambiamento epocale per il commercio mondiale, paragonabile all’apertura del canale di Suez. La strada è spianata anche per le industrie desiderose di sfruttare la ricchezza di risorse della regione, tra cui petrolio, gas e metalli come oro, ferro e terre rare. L’ex ministro degli Esteri finlandese Pekka Haavisto si era detto preoccupato che l’impasse possa creare «un Artico senza regole, o un’area senza un obiettivo comune per il cambiamento climatico. Sarebbe libera di essere utilizzata da tutti per le rotte di navigazione e per le materie prime».

La Nato però è più solida che mai: lo scorso maggio i membri hanno spedito forze provenienti da Stati Uniti, Gran Bretagna e Norvegia, insieme a circa seimilacinquecento truppe finlandesi e a circa mille veicoli per effettuare la più grande esercitazione moderna delle forze terrestri finlandesi al di sopra del Circolo Polare Artico. Putin è avvisato.

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