Passano gli anni, ma la proposta di rendere balneabile la Darsena e un tratto di Naviglio Grande torna ciclicamente in cima all’attualità meneghina. Il fatto che l’idea vada al di là dei colori politici conferma quanto a Milano l’elemento acqua sia distante dal tempo libero dei cittadini, soprattutto nel pieno di ondate di calore sempre più lunghe e intense a causa del riscaldamento globale di origine antropica. L’Italia, ricordiamo, è il Paese europeo in cui nel 2022 sono morte più persone a causa del caldo estremo (diciottomila decessi).
Nel capoluogo lombardo, le piscine comunali all’aperto non stanno attraversando un periodo particolarmente prospero, lasciando i milanesi senza alternative valide per affrontare temperature spesso superiori ai trentadue-trentatré gradi. L’Argelati resterà con le serrande abbassate per la stagione estiva, la Suzzani è fuori uso per tutto luglio, il Lido è nel pieno dei lavori di ristrutturazione (termineranno nel 2025) e il Saini chiuderà a ottobre per due anni. In più, le tariffe delle piscine sotto Milanosport sono state soggette a rincari: «Non credo che riusciremo entro tre anni a far riaprire le piscine scoperte da ristrutturare, ma almeno per la prossima estate dovremo avere un piano B», ha detto Angelica Vasile (Pd), presidente della commissione Sport.
Visto l’andazzo, anche quest’estate alcuni consiglieri comunali hanno avanzato una proposta di sperimentazione per permettere ai milanesi – non dall’anno in corso – di fare il bagno nel naviglio e in Darsena. Abituati alle acque limpide del Salento, della Costa Smeralda e delle Cinque Terre, noi italiani ci approcciamo con una certa diffidenza ai bagni nei corsi d’acqua cittadini, nonostante sia perfettamente normale in molte zone d’Europa.
Di recente, anche l’amministrazione comunale di Parigi ha confermato che, grazie a un lungo intervento di risanamento delle acque, dal 2025 tre tratti della Senna diventeranno balneabili. Ci saranno i bagnini, le cabine per cambiarsi, le boe che delimiteranno l’area delle piscine naturali, le docce e le cassette di sicurezza. Esattamente come una spiaggia o una piscina pubblica.
La proposta bipartisan e i dubbi di Beppe Sala
Da quando la Darsena è stata riconsegnata ai milanesi in vista dell’Expo, diversi politici e cittadini hanno cominciato a sognare un “modello Idroscalo” a pochi minuti dal centro storico. Milano, come vedremo, parte in vantaggio rispetto a Parigi grazie alla buonissima qualità dell’acqua dei navigli, che rimangono non balneabili per una serie di difficoltà complesse da superare: dalla vigilanza alle correnti, passando per i soliti scogli burocratici.
Nel luglio 2017, i consiglieri Enrico Marcora (ai tempi nella Lista Sala, ora con Fratelli d’Italia), Franco D’Alfonso (Alleanza Civica), Marco Fumagalli (Alleanza Civica) e Alessandro Morelli (Lega) si sono tuffati nella Darsena per promuovere la loro proposta di “balneazione regolamentata”. L’idea è stata sostenuta da esponenti di tutte le parti politiche, dal Partito democratico a Fratelli d’Italia, ma ciò non è bastato per evitare una multa da 1.032 euro a testa per aver infranto il Codice della navigazione.
Nel giugno di quest’anno, la balneabilità della Darsena e di un breve tratto di Naviglio Grande (quello fino alla circonvallazione, per intenderci) è tornata in agenda grazie al consigliere Marco Mazzei (Lista civica Beppe Sala sindaco), che è anche presidente della sottocommissione Mobilità attiva e Accessibilità.
Si tratta di una sorta di sperimentazione, un progetto embrionale da sviluppare (potenzialmente) durante il prossimo anno, ma il sindaco Beppe Sala ha messo subito le cose in chiaro: «Sono un po’ perplesso, perché il tema non è solamente la balneabilità o la qualità dell’acqua, ma anche la vigilanza. Se succede un incidente in una piscina ci si rende conto subito. Ma sui navigli come fai a delimitarli? E lo stesso vale per la Darsena». Nel 2017, dopo il tuffo simbolico dei quattro consiglieri, l’ex amministratore delegato di Expo 2015 si era detto «non entusiasta».
I temi sollevati frettolosamente da Sala sono reali, e si aggiungono a una lista di complessità che difficilmente – nel breve-medio periodo – trasformeranno la Darsena e il Naviglio Grande in un lido urbano. Lo stesso Marco Mazzei, intervistato brevemente da Linkiesta, ha detto che per quest’anno «l’opzione è stata scartata» soprattutto perché «la Darsena è considerata un porto dal punto di vista tecnico e legale». Il cambio di “status” dovrebbe arrivare grazie a un intervento di Regione Lombardia.
Qualità dell’acqua, topi, correnti e manufatti idraulici
Come anticipato, la qualità dell’acqua dei navigli Grande e Pavese è uno dei pochi “non problemi” all’interno di questa storia. Dal punto di vista chimico e batterico, ogni anno viene promossa a voti altissimi dalle autorità dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa). E non potrebbe essere altrimenti: una buona parte del riso che si mangia in Lombardia viene coltivato con l’acqua dei navigli milanesi – proveniente dal Ticino –, che irrigano tutti i campi a sud di Milano.
I navigli sono canali artificiali irrigui e navigabili, e renderli – anche solo in parte – balneabili significherebbe stravolgere il loro scopo iniziale. C’è chi la ritiene un’intrigante opportunità turistica-ricreativa e chi, come il Consorzio di bonifica Est Ticino Villoresi (ETVilloresi), lo reputa un potenziale spreco di risorse a discapito degli agricoltori: «Sono tutte belle proposte, ma portano costi aggiuntivi che non possiamo far ricadere sul mondo agricolo. Se vogliamo una visione allargata dei navigli, servono risorse provenienti da più portatori di interesse», spiega a Linkiesta Carla Colombo di ETVilloresi, nato dall’associazione dei proprietari di terreni e fabbricati situati all’interno del comprensorio.
Questo ente, che si occupa anche degli interventi di manutenzione dei navigli milanesi, ha ribadito il «divieto assoluto di balneazione» non per la qualità dell’acqua, ma per altri motivi: la presenza di manufatti per la regolazione come le paratoie (un elemento appartenente alle dighe mobili), le correnti e la conformazione delle sponde, che non agevola la fuoriuscita dai canali a causa di pareti difficili da risalire: «A volte si è parlato di mettere delle scalette per la risalita, ma abbiamo preferito investire i fondi a disposizione per mettere i parapetti. Quelle scalette, infatti, incitano la balneazione, al momento vietata», puntualizza Colombo.
«Il divieto di balneazione c’è da anni perché si reputa il canale particolarmente pericoloso: risalire con le correnti che puntano verso valle è difficile. Poi, per regolamento, non si possono posizionare funi da sponda a sponda e mettere delle griglie: se una persona ha un malore, non avrebbe nemmeno un appiglio per fermarsi», dice a Linkiesta Marco Galli del Consorzio di bonifica Est Ticino Villoresi. Le sponde del naviglio sono verticali, non ci sono appigli e rientranze che fanno da intralcio al flusso idrico. La paura degli agricoltori, quindi, è che la balneazione possa snaturare la funzione originaria del canale: portare acqua ai campi.
Nel tratto fino alla circonvallazione, a causa dell’assenza di grate, non ci sono particolari gorghi e vortici. Tuttavia, secondo Galli, non è la stessa cosa per le bocche di derivazione, presenti anche in quei punti. Stando ai dati dell’Associazione amici dei Navigli, lungo il Grande sono presenti centosedici bocche, di cui ottantacinque funzionanti.
Si tratta di questioni sottovalutate dai cittadini, spesso contrari alla balneazione dei navigli e della Darsena per via della presenza di topi e nutrie: «Siamo in costante contatto con Arpa Lombardia, che fa delle analisi periodiche. Di solito ci avvertono appena c’è qualcosa che non va, e devo dirti che negli ultimi anni non hanno segnalato alcun tipo di fenomeno problematico. La qualità dell’acqua rimane buona perché i nostri primi portatori di interesse sono gli agricoltori», sottolinea Carla Colombo.
I rifiuti, però, potrebbero rappresentare una minaccia: «Noi facciamo due volte l’anno la manutenzione dei navigli, togliendo l’acqua e portando il canale in asciutta. Lì troviamo dentro il mondo: plastica, mascherine, divani, frigoriferi», aggiunge Colombo.
In più, il “modello Senna” pare difficilmente applicabile al Naviglio Grande. Secondo Galli, «gli interventi di manutenzione – che vanno a intervenire sul livello dell’acqua – complicherebbero il galleggiamento delle boe». Inoltre, i rami e i tronchi portati dalle correnti potrebbero aggrovigliarsi attorno alle corde delle boe, che rischierebbero di strapparsi e di andare a valle. «Delimitare un’area per la balneazione è difficile anche a causa del passaggio di navigazione», sostiene Galli.
Meglio, allora, puntare sulla Darsena. Marco Galli ritiene che la zona più adatta sia quella verso piazzale Cantore, dopo il ponte pedonale. I punti dove sfociano i due canali si rivelerebbero critici. In alternativa, all’interno del Naviglio Grande «si potrebbero anche realizzare dei nuovi bacini lungo la sponda destra, prevedendo degli allargamenti grazie alle tombinature sotto la strada. In questo modo non si andrebbe a toccare la navigabilità del corso d’acqua». Al momento, però, siamo ancora nel campo delle idee. Il tema sarà probabilmente oggetto di discussione durante il Consiglio comunale del 4 agosto, quando la commissione Sport del Municipio 6 parlerà degli «obiettivi 2024», tra cui il nuovo «Regolamento della Darsena».