Correlazione dimostrataLa crescente infertilità maschile è legata anche all’inquinamento ambientale

Gli inquinanti possono causare alterazioni dello sviluppo dell’apparato maschile già nell’utero materno e sono definiti “distruttori endocrini”. Come ci spiega Agostino Specchio dell’Associazione medici endocrinologi (Ame), l’impatto non si limita alla qualità dello sperma, ma riguarda anche le dimensioni dei testicoli e del pene

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Nel corso dell’ultimo secolo la popolazione mondiale è aumentata in modo vertiginoso. Solo settant’anni fa il nostro Pianeta ospitava 2,5 miliardi di persone, mentre lo scorso novembre le Nazioni Unite hanno annunciato il raggiungimento di un traguardo storico: la presenza stimata di otto miliardi di individui sulla Terra. 

Eppure, negli ultimi anni il tasso di crescita è rallentato: oggi oltre il cinquanta per cento della popolazione globale vive in Paesi con un tasso di fertilità inferiore a due figli per donna, con il risultato che tali realtà, senza migrazioni, si contrarranno gradualmente. Questo calo riguarda soprattutto l’Europa e in modo particolare l’Italia, terzultimo Paese nell’Unione europea per tasso di natalità secondo i dati Eurostat (davanti solo a Spagna e Malta), che come altre Nazioni ha sofferto sempre di più la mancanza di incentivi e di sostegno alle famiglie.

Le motivazioni sociali ed economiche sono determinanti e rappresentano la fonte principale del fenomeno, ma non completano il mosaico. La scienza suggerisce che l’infertilità maschile nel mondo stia aumentando come conseguenza di una serie di problemi riproduttivi: il minore numero di spermatozoi presente nei soggetti adulti, la riduzione dei livelli di testosterone e la maggiore diffusione di disfunzione erettile e di cancro ai testicoli. Poche settimane fa è stata la Società italiana di andrologia (Sia) a lanciare l’allarme, mettendo in guardia sul rischio concreto che la perdita di fertilità negli uomini si trasformi in un problema irreversibile per la specie umana.

In questo scenario, la ricerca scientifica sta dimostrando che fattori come l’inquinamento influiscono in maniera determinante sul problema. Per esempio sulla qualità dello sperma maschile, con conseguenze devastanti per gli individui (dal punto di vista prettamente riproduttivo ma anche psicologico) e per intere società.

Uno studio pubblicato lo scorso anno sulla rivista Human reproduction update dell’Oxford Academic ha rivelato che tra il 1973 e il 2018 la conta spermatica dei soggetti presi in esame è diminuita in media dell’1,2 per cento all’anno, passando da centoquattro a quarantanove milioni/ml. A partire dal 2000 questo declino è accelerato, fino a raggiungere il 2,6 per cento annuo. Le cause sono molteplici (e comprendono stili di vita più sedentari, stress, uso di alcol e droghe) ma l’impatto negativo degli agenti contaminanti è osservabile.

«Gli inquinanti possono causare alterazioni dello sviluppo dell’apparato maschile già nell’utero materno e sono definiti endocrine disruptor, distruttori endocrini», spiega a Linkiesta Agostino Specchio, medico endocrinologo e coordinatore della commissione andrologia dell’Associazione medici endocrinologi (Ame). 

«Gli inquinanti come gli organofosfati (che sono alla base di molti insetticidi, erbicidi o gas nervini, ndr) assomigliano nella loro molecola agli ormoni e per questo vanno a interferire con l’azione degli ormoni veri, quelli naturali. Interferendo in utero, quando nelle prime settimane si deve sviluppare l’apparato genitale (in modo particolare nel maschio), possono determinare alterazioni congenite evidenti alla nascita. Oppure molto lievi, che si manifestano solo dopo anni, per esempio sulla fertilità». 

Quello relativo ai cosiddetti distruttori (o interferenti) endocrini è un capitolo enorme e ormai universalmente acclarato dal mondo accademico. Una ricerca della società italiana di andrologia ha registrato che le anomalie sul piano della fertilità maschile sono più evidenti nelle zone inquinate: le cause sono legate a una mancanza di androgeno (gli ormoni steroidei) nella fase di sviluppo embrionale dei soggetti, con conseguenti problematiche sul piano riproduttivo. Laddove la concentrazione di Pfas (sostanze perfluoroalchiliche) è più alta, come in Veneto, la distanza ano-genitale nei soggetti ventenni è ridotta, così come il volume dei testicoli.

«C’è una condizione che viene chiamata sindrome da disgenesia gonadica», prosegue Specchio. «Si tratta di una condizione che raggruppa tutta una serie di manifestazioni, che vanno dal testicolo che non scende nello scroto all’infertilità, ma che riguarda anche lo sviluppo del pene». La letteratura scientifica ha ormai ampiamente dimostrato la correlazione tra disgenesia gonadica e inquinamento ambientale. 

«In tutta Italia si stanno sviluppando screening andrologici: in pratica si va nelle scuole e si visitano i ragazzi. Questi studi stanno dimostrando che, man mano che passa il tempo e le generazioni si succedono, il testicolo dei giovani è sempre più piccolo rispetto a quello dei loro padri e dei loro nonni, così come le dimensioni del pene. Questi fenomeni sono aggregabili alle problematiche da inquinamento ambientale».

Non finisce qui. Nel Regno Unito, un team di ricerca della University of East Anglia ha evidenziato quanto l’aumento delle temperature e le ondate di calore danneggino gli spermatozoi negli insetti, causando effetti collaterali sulla loro fertilità in maniera analoga a quanto potrebbe succedere negli uomini. Un altro studio asiatico del 2022 sottolinea quanto le temperature ambientali più elevate influiscano negativamente sulla qualità dello sperma e in generale sulle funzioni riproduttive maschili. 

Si tratta di un campo di ricerca ancora piuttosto limitato. Tuttavia, al momento sappiamo che affinché i testicoli funzionino in maniera corretta la loro temperatura deve essere adeguata. Chi svolge determinati lavori ed è esposto frequentemente ad alte temperature – come i fornai o i saldatori – è più soggetto a complicazioni legate alla produzione di spermatozoi nei tubuli seminiferi, e quindi a infertilità. In questo senso, secondo la legge dei grandi numeri, il riscaldamento globale rappresenterebbe una pessima notizia anche per la procreazione umana.

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