Il presidente serbo Aleksandar Vučić nelle ultime settimane si sta trovando ad affrontare due situazioni estremamente delicate. Il forte malcontento interno sta portando ad una perdita di consenso senza precedenti, con migliaia di persone che continuano a manifestare in piazza contro gli episodi di violenza e le limitazioni alla libertà imposte dal governo di Belgrado.
Parallelamente, i rapporti con il Kosovo sono molto peggiorati e questo sta provocando tensioni e scontri nel Nord del Paese guidato da Albin Kurti (anche se gli attriti con Pristina sono utili a Vučić per distogliere l’attenzione dai problemi interni). In questo scenario la Serbia continua ad essere un Paese candidato all’ingresso nell’Unione europea senza però compiere, in più di dieci anni, passi in avanti significativi.
Alessandra Moretti, eurodeputata del Partito Democratico e Presidente della delegazione Ue-Serbia al Parlamento europeo, recentemente è stata a Belgrado insieme ad altri eurodeputati per verificare a che punto è il percorso di avvicinamento della Serbia all’Unione europea.
«Partiamo dal presupposto che devono esserci due piani separati: le relazioni con il Kosovo – su cui l’Europa sta continuando ad impegnarsi per riportare la stabilità nella regione – e il percorso di integrazione della Serbia nell’Unione europea. La prima questione non può essere messa sul tavolo negoziale per accelerare la seconda. Sono due binari paralleli».
«La nostra delegazione, composta da me e altri quattro deputati provenienti da Romania, Francia e Slovenia, si è recata a Belgrado per verificare personalmente lo stato di avanzamento dei vari cluster richiesti nel percorso di adesione all’Ue. Purtroppo grossi passi in avanti non ne abbiamo visti», racconta l’europarlamentare.
Moretti fa riferimento a tre diversi aspetti: «Il Parlamento serbo deve rimanere la sede in cui si discutono e si decidono in modo serio i problemi che il Paese sta affrontando. Negli ultimi tempi la qualità dei dibattiti è andata sempre più deteriorandosi. Si tratta di uno sviluppo preoccupante e una responsabilità particolare ricade sugli attori politici del paese. Non migliora nemmeno la situazione della libertà di stampa, visto che i media indipendenti continuano ad essere totalmente emarginati. Chiediamo di agire in modo responsabile e obiettivo e di osservare gli standard e l’etica giornalistica professionale. Anche sulla giustizia non abbiamo visto sviluppi significativi. Si scrivono le riforme ma poi non vengono implementate».
La delegazione europea si è recata in visita alla scuola elementare Vladislav Ribnikar e nei villaggi vicino a Mladenovac, i luoghi dove sono avvenute le sparatorie che hanno causato decine di vittime tra il 3 e il 4 maggio. Da allora migliaia di serbi continuano a riversarsi nelle piazze in segno di protesta: «Molti cittadini hanno espresso il loro disagio per il livello di violenza nella società serba».
«Sono preoccupati per il deterioramento del dialogo, sia in pubblico che nel loro Parlamento – continua Moretti –. Siamo consapevoli delle richieste dei manifestanti e molte di queste riguardano questioni affrontate anche nella risoluzione sulla Serbia che abbiamo adottato a Strasburgo il 10 maggio di quest’anno». Una risoluzione molto dura che tra le altre cose evidenzia come Belgrado sia l’unico Paese dei Balcani occidentali non allineato sulle sanzioni alla Russia.
«Vogliamo sottolineare ancora una volta che il Parlamento europeo è solidale con l’Ucraina – prosegue l’eurodeputata – e che ci aspettiamo lo stesso da tutti gli Stati candidati poiché l’adesione all’Ue è il loro obiettivo strategico dichiarato e devono quindi sottoscrivere la nostra comunità di valori. Purtroppo la Serbia si distingue come l’unico paese dei Balcani occidentali che finora non si è allineato con le sanzioni europee alla Russia. Di conseguenza, il suo allineamento sulla Politica estera e di sicurezza comune (Pesc) è notevolmente diminuito».
Tradotto: i negoziati faranno passi avanti solo se la Serbia adotterà le misure europee nei confronti della Russia. Ma nonostante il presidente Vučić alle Nazioni Unite segua la linea dei Paesi occidentali, sulle sanzioni al suo amico Putin non sembra intenzionato a cambiare idea.
Nel frattempo Bruxelles sta continuando a mantenere gli impegni economici presi con Belgrado mettendo in campo investimenti per quattrocento milioni di euro all’anno nel triennio 2020-2022, che hanno contribuito in maniera importante a finanziare vari progetti di sviluppo per il Paese. Come la realizzazione della tratta ferroviaria Belgrado-Nis, parte integrante del corridoio X della rete transeuropea Ten-T, a cui ha collaborato nella fase di modernizzazione anche Ferrovie dello Stato.
«L’Ue ha rispettato gli impegni presi con la Serbia a livello economico. Abbiamo aggiunto a bilancio 168 milioni di euro solo per far fronte al caro energia. Dobbiamo fare di più dal punto di vista della comunicazione, raccontare ai serbi che i principi per i quali sono scesi in piazza sono gli stessi che Bruxelles chiede di rispettare da anni. E che se la Serbia riuscirà a compiere maggiori sforzi, l’Europa continuerà ad investire nel Paese», conclude Moretti.
Insomma, il percorso di avvicinamento è sempre in fase di stallo e dopo oltre dieci anni Belgrado sembra essere ancora al punto di partenza. Se si aggiungono il deterioramento dei rapporti con il Kosovo e le manifestazioni di piazza, si prefigura uno scenario molto complesso per Vučić nei prossimi mesi. Soprattutto se agli investimenti dell’Unione europea – primo partner commerciale e primo investitore – continuerà a preferire i corteggiamenti di Putin