Labour WeeklyIl lavoro degli addestratori di intelligenze artificiali

Un’attività frustrante coperta da clausole di riservatezza aggressive che servono a tutelare l’immagine dell’azienda committente. La reputazione dell’impresa sarebbe altrimenti compromessa dalla rivelazione riguardante l’utilizzo di “operai digitali” pagati una miseria

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L’intelligenza artificiale è ogni giorno più sofisticata. Negli ultimi anni abbiamo assistito alla diffusione di software in grado di creare un’immagine dal nulla o quasi, di fornire risposte a quesiti sempre più complessi o di scrivere una sceneggiatura quantomeno credibile per un cortometraggio. Questi software, tuttavia, sono nati e continuano a svilupparsi anche grazie all’attività di moltissimi esseri umani che spesso svolgono attività lavorative ripetitive, noiose e mal retribuite.

I colossi della tecnologia sono soliti utilizzare delle piattaforme online dove reclutare lavoratori, spesso residenti in Paesi in via di sviluppo, per eseguire compiti alienanti. Pensate ad esempio a quei lavoratori che devono catalogare centinaia di migliaia (forse milioni) di immagini di vestiti per insegnare al software la banale differenza tra una canottiera, una maglietta, una polo e una camicia. Un’attività frustrante coperta da clausole di riservatezza aggressive che servono a tutelare l’immagine dell’azienda committente. La reputazione dell’impresa sarebbe altrimenti compromessa dalla rivelazione riguardante l’utilizzo di forza lavoro pagata una miseria. Tanto per capirci, un impiegato qualificato in Kenya può benissimo essere pagato con una remunerazione che oscilla tra 1 e 3 euro l’ora.

Gli addestratori di intelligenze artificiali vengono nascosti dalle aziende committenti anche per minimizzare l’impatto concreto delle attività umane nello sviluppo dei software. In questo settore, esisteranno (quasi) sempre i casi limite dove è necessario l’intervento umano. I software che conducono gli autoveicoli, ad esempio, richiedono un continuo aggiornamento, considerato che è molto difficile – se non impossibile – prevedere in anticipo tutti gli scenari possibili durante la guida. In questa situazione sarebbe opportuno che i datori di lavoro aumentino il loro grado di trasparenza e corrispondano ai lavoratori delle retribuzioni dignitose. Sappiamo tutti che per i colossi del web il «sarebbe opportuno» non è un fattore determinante per prendere le decisioni. Un intervento dei legislatori è dunque più che auspicabile.

*La newsletter “Labour Weekly. Una pillola di lavoro una volta alla settimana” è prodotta dallo studio legale Laward e curata dall’avvocato Alessio Amorelli. Linkiesta ne pubblica i contenuti ogni. Qui per iscriversi

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