KanpaiPiccolo dizionario di cucina giapponese

Anche le parole, in una nazione di profonda cultura riflessiva, sono importanti. Ecco quelle più utili a comprendere la filosofia che sta dietro a un semplice piatto, assaporandone meglio il senso

Photo courtesy IYO Omakase e Nogizaka Shin

Una cena particolare ci ha dato l’occasione di capire meglio i termini base della cucina giapponese e di comprendere, anche attraverso le parole, quanto questa gastronomia sia fatta di ingredienti ma soprattutto di pensiero.

Kaiseki-ryori
La kaiseki-ryori è una cena tradizionale giapponese che prevede un servizio composito, con tante piccole portate che si susseguono durante il pasto. Spesso gli ingredienti base utilizzati sono di stagione e sempre la presentazione curata e scenografica è una parte determinante dell’esperienza. L’equilibrio, principio cardine della cucina giapponese, qui è esaltato ai massimi livelli, sia nelle singole portate che nel totale del pasto. Sapore, consistenza e colore sono curati nel dettaglio, così come importantissima è la scelta di piatti e posate da usare nel percorso.

Hassun, photo courtesy IYO Omakase e Nogizaka Shin

I pasti Kaiseki hanno un ordine prestabilito per i loro piatti, la maggior parte dei quali sono preparati utilizzando una delle tecniche comuni della cucina giapponese. Tuttavia, gli chef kaiseki hanno una notevole libertà di aggiungere, omettere o sostituire le portate per mettere in risalto le prelibatezze regionali e stagionali e lo stile personale. Storicamente il kaiseki ha una storia centenaria in Giappone, che risale al periodo Heian (794-1159), quando la corte iniziò a organizzare banchetti rituali. Come i moderni kaiseki, questi banchetti prevedevano un’ampia varietà di cibi, in alcuni casi addirittura 28 tipi, suddivisi in quattro tipi principali: cibi secchi, cibi freschi, cibi fermentati e dessert.

Photo courtesy IYO Omakase e Nogizaka Shin

Il pesce o il pollame essiccati venivano serviti a fette sottili, a volte anche crudi, con un condimento all’aceto o alla griglia. I cibi fermentati potevano includere pesce o spiedini di mare fermentati con sale, o anche meduse. Il dessert era tipicamente a base di frutta o noci. Come nel kaiseki moderno, il pasto veniva consumato lentamente, nell’arco di diverse ore. Un’esperienza gastronomica totalizzante e unica, diversa da qualsiasi altra.

Shiizakana, photo courtesy IYO Omakase e Nogizaka Shin

Omakase
La cucina giapponese è tradizionalmente molto ricca e non sempre è facile scegliere cosa ordinare quando si va al ristorante. Per chi è indeciso, ma anche per chi si vuole affidare a chi conosce meglio i piatti e le ricette, si usa la parola “omakase”, ovvero si lascia allo chef carta bianca sulla scelta delle pietanze da preparare. Il menu non sarà casuale, ma seguirà un preciso schema, ma tutto sarà a sorpresa. Dai gusti più delicati ai sapori più intensi, si arriverà man mano al centro del menu con sorprese e ricette inaspettate. (Proprio per questo la nostra newsletter sulle scoperte che facciamo della cucina del mondo si chiama così).

Da sinistra chef Masashi Suzuki e chef Shinji Ishida, photo courtesy IYO Omakase e Nogizaka Shin

Izakaya
Questo tipo di locale per bere si trova in tutto il Giappone e serve alcol di solito con una varietà di snack e cibi più leggeri, tra cui edamame, karaage (pollo fritto nell’olio) e yakisoba (spaghetti fritti). Sono luoghi molto popolari, un po’ le nostre trattorie o enoteche con cucina. C’è spesso un’offerta  all-you-can-drink, dove si possono ordinare tutte le bevande che si desiderano per due o tre ore, mentre per il cibo si paga a parte. Sono locali spesso frequentati dai giovani e dagli studenti universitari, che qui si incontrano e socializzano.

Sakizuke, photo courtesy IYO Omakase e Nogizaka Shin

Shabu-shabu e yakitori
Ci sono tante preparazioni giapponesi che vanno finalizzate a tavola. È il caso per esempio della zuppa shabu-shabu , dove una grande pentola viene riempita con un ricco brodo aromatico e posta sopra un fornello. Le persone intingono man mano verdure e fette sottili di carne che sono rapidamente cotte e pronte da mangiare. Succede più o meno la stessa cosa nei ristoranti yakitori o yakiniku  (che servono pollo alla griglia o carne alla griglia). Invece di avere una pentola in comune, c’è una piccola area per grigliare condivisa al centro di ogni tavolo, e le persone possono cucinare la loro scelta di carne direttamente al tavolo.

Okonomiyaki
Se ricordate “Kiss me Licia” vi ricorderete anche Marrabbio, e le sue frittatone cotte sulla piastra e riempite con ogni genere di ingrediente. Si chiama okonomiyaki e significa friggere di tutto. L’okonomiyaki è un piatto unico che ricorda una base di frittata condita come una pizza. Anche per questo piatto, è possibile fare da sé al tavolo, ma è anche preparato dai cuochi che lo completano con verdure, pesci, carni. Si può aromatizzare ulteriormente con una salsa dolce simile al Worcestershire, e talvolta con maionese. Lo stile di Hiroshima contiene spaghetti di soba e viene preparato più metodicamente a strati, mentre lo stile di Osaka di solito non contiene spaghetti ed è quasi sempre preparato mescolando tutti gli ingredienti in una ciotola.

Decorazioni per festività Tanabata, photo courtesy IYO Omakase e Nogizaka Shin

Sake
Il sake è la bevanda fermentata più celebre del Giappone, non è un distillato, non si beve come digestivo a fine pasto e non ha una gradazione alcolica simile a quella di una grappa o di un superalcolico. Il sake è appunto un fermentato, proprio come il vino e la birra, e viene prodotto con riso, acqua, koji (un fungo che serve a trasformare l’amido del riso in zuccheri semplici) e lieviti. Si beve esattamente come facciamo noi con il vino, a differenti temperature proprio come succede per noi con bianco e rosso. A seconda della tipologia di riso usata e del grado di sbiancatura a cui è sottoposto prima della fermentazione, il sake viene classificato ed è più o meno pregiato.

Sommelier Vanessa Simini, photo courtesy IYO Omakase e Nogizaka Shin

Il fulcro della produzione è il riso della varietà sakamai, usata solo per questa produzione, cresce solo in alcune aree e richiede tecniche di coltivazione complesse, ha chicchi più grandi e morbidi ed è in grado di assorbire meglio l’acqua, cosa fondamentale per la produzione del sake. L’altro elemento indispensabile per la fermentazione è il koji, Aspergillus oryzae, un fungo che trasforma l’amido del riso in zuccheri semplici; zuccheri che poi, con l’aggiunta del lievito, consentiranno la fermentazione alcolica. La sbiancatura, invece, serve a permettere ai lieviti di raggiungere la parte centrale di amido, che durante la fermentazione rilascerà aromi più (Daiginjoshu) o meno intensi (Ginjoshu). Per questo, in base al tipo di sake che si vuole produrre, si sceglie un livello di sbiancatura più o meno alto.

Washoku
È la parola che identifica il cibo giapponese nella sua interezza, un concetto più culturale che gastronomico. È questo che è stato aggiunto, nel 2013, all’elenco dei patrimoni culturali immateriali dell’Unesco, perché merita di essere custodito come una parte inestimabile della cultura mondiale. L’Unesco definisce il washoku come una “pratica sociale basata su un insieme di abilità, conoscenze, pratiche e tradizioni legate alla produzione, lavorazione, preparazione e consumo di cibo”. L’Unesco ha prestato particolare attenzione al cibo tradizionale preparato intorno al nuovo anno, tra cui torte di riso mochi e osechi, elaborati cibi in scatola.

Da sinistra chef Masashi Suzuki e chef Shinji Ishida, photo courtesy IYO Omakase e Nogizaka Shin

L’occasione di approfondire la cultura enogastronomica giapponese l’abbiamo avuta durante una cena a quattro mani, che ha visto lo chef e il sommelier di Shinji Ishida, di Nogizaka Shin, un ristorante una stella Guida Michelin Tokyo 2023, impegnato nella preparazione di un menu abbinato a rari Champagne dalla cantina della Maison Krug e ai sake di uno dei più esclusivi produttori di Junmai Daiginjo, insieme a Masashi Suzuki, chef di IYO Omakase – il primo banco tradizionale giapponese di Milano. Il pairing è stato curato dai sommelier Yasuhide Tobita (Nogizaka Shin) e Vanessa Simini (IYO Omakase), insieme alla Maison Krug e alla sakagura Tatenokawa. Un’occasione unica, celebrata con uno speciale menu kaiseki che ha animato lo scenografico ristorante di piazza Alvar Aalto a Milano.

Sommelier Yasuhide Tobita, photo courtesy IYO Omakase e Nogizaka Shin
Gli chef giapponesi non sono soliti lasciare il proprio ristorante, ma in occasione del loro settimo anniversario di attività, lo chef Shinji Ishida e il socio general manager e sommelier Yasuhide Tobita, hanno deciso di rinnovare il locale e nel mentre di fare alcuni selezionati pop-up dinner in Giappone. Lo chef di IYO Omakase Masashi Suzuki ha colto così l’opportunità unica di averli ospiti, per la prima volta, in Italia, direttamente da Tokyo. Il ristorante Nogizaka Shin è una delle rappresentazioni più autentiche del Giappone di oggi e della sua cucina kaiseki contemporanea. E a proposito di parole, il nome stesso del ristorante, Nogizaka Shin, include la parola “shin” che in giapponese ha diversi significati: richiama il nome dello chef ma soprattutto significa “nuovo”, come il desiderio di esprimere la propria personalità e innovazione nei gusti, nelle tecniche e negli ingredienti e “cuore”, in rispetto delle tradizioni culinarie giapponesi della prefettura dello chef, Tokushima.
Shokuji, photo courtesy IYO Omakase e Nogizaka Shin
Il menu kaiseki preparato in collaborazione dai due chef ha previsto il servizio di undici portate con presentazioni di fine eleganza con stuzzichini iniziali, passando per i piatti principali, sino al riso che conclude il pasto (shokuji) e al dessert, in una varietà di materie prime preziose, tecniche ed estetiche mai ripetitive. Alcuni ingredienti – come riso, katsuobushi, alga kombu e zucchero di canna (wasanbon) – sono arrivati direttamente dal Giappone per l’occasione, altri sono stati selezionati per riprodurre quanto più fedelmente l’esperienza oltreoceano – come l’acqua utilizzata per la cottura del riso e la preparazione del brodo dashi le cui caratteristiche influiscono sul gusto finale – ma il menu ha anche visto la presenza di ingredienti locali come pesche bianche dal Veneto e limoni dalla Sicilia.
Yakimono, photo courtesy IYO Omakase e Nogizaka Shin
Protagonista il pesce, in un ventaglio di specie e lavorazioni: crudo, al vapore, marinato, alla griglia, fritto. Unica presenza di carne, uno shabu shabu di wagyu, il pregiato manzo nobile giapponese. In puro stile kaiseki, ogni portata era una piccola opera d’arte da assaporare ancor prima con gli occhi.
Owan, courtesy IYO Omakase e Nogizaka Shin

In abbinamento al menu, proposte di sake con la collaborazione di Tatenokawa, una delle sakagure più importanti e storiche del Giappone, che dal 1832 si è specializzata nella produzione solamente di Junmai Daiginjo, la categoria che maggiormente rappresenta l’eccellenza nel mondo del sake, da quelli con una sbramatura del chicco del cinquanta per cento in un percorso a scalare di struttura ed eleganza sino ad un sake realizzato con solo il diciotto per cento del chicco, il cuore del riso, chiamato in giapponese shinpaku. «Un viaggio fra varietà di riso, stili di levigazione, eleganze, finezze e strutture diverse per mettere in evidenza la storicità della maestria tecnica ma anche l’innovazione e le moderne tecniche studiate dalla sakagura Tatenokawa» come ha spiegato la sommelier di IYO Omakase, Vanessa Simini.

Da sinistra Gelatina all’anguria e gelato al sale e Warabi mochi, photo courtesy IYO Omakase e Nogizaka Shin


IYO Omakase

Piazza Alvar Aalto / Viale della Liberazione, 15 –  Milano

 

X