Ultima-màmmagàri-GenerazioneIl cretinettismo, le colpe dei padri e il lavoro rubato ai comici

Scene pasoliniane di lotta di classe e alcuni feedback su quanto siamo caduti in basso

Lapresse

Quand’è che i genitori hanno smesso di dire «hai fatto la metà della metà del tuo dovere»? Ogni volta che racconto che mio padre me lo disse le forse tre volte in cui presi un bel voto, i miei coetanei si precipitano a dire «anche il mio». Poi, a un certo punto, devono avere smesso.

Al tizio, apparentemente non giovanissimo, protagonista del video in cui spiega quanto sono stati magnanimi, lui e i suoi compari di cretinettismo di Ultima-màmmagàri-Generazione, a far passare un’ambulanza mentre stavano stesi a fare la rivoluzione sulla circonvallazione milanese, a quel tizio chiaramente nessun genitore ha mai detto che non è il caso di sentirsi eroici per aver fatto la metà della metà del proprio dovere. Non glielo dice neppure il poliziotto, apparentemente parecchio più giovane di lui (o forse a lavorare s’invecchia meglio che a fare il cretinetti).

E qui sono costretta a una digressione. Poche rese sono più sofferte, per noialtre privilegiate che abbiamo fatto delle antipatie culturali una grossa parte della nostra identità, di quella cui mi costringono i cretinetti ai quali i poliziotti devono perder tempo a spiegare che no, non possono fare la rivoluzione sdraiata col benestare delle forze dell’ordine.

Poche volte ho sofferto più di ora che sono costretta ad ammettere che sì, le altre novecentonovantanove volte aveva torto, ma sui prepotenti e ricattatori piccolo-borghesi che si sentono rivoluzionari, e rispetto ai quali è impossibile non stare coi poliziotti di periferia, beh, su quello Pasolini aveva in effetti ragione, e oggi farebbe una diretta Instagram per ribadire quella sua posizione, se fosse vivo.

(Adesso arriva qualcuno a spiegarmi che Pasolini mica stava coi poliziotti, come avrebbe potuto, proprio lui, perseguitato: cosa volete che vi dica, sarà stata sindrome di Stoccolma, si sarà voluto fare uno dei celerini, non lo so perché cinquantacinque anni fa Pasolini abbia deciso di scrivere delle cose sensate contro i figli di papà con velleità rivoluzionarie, ma sono grata che mi faccia da copertura culturale così la difesa degli sbirri non tocca a me).

«Scusatemi, noi abbiamo fatto passare l’ambulanza per correttezza» è la prima cosa che si sente dire, nel video postato da Local Team, dal tizio con calvizie incipiente la cui faccia mi ricorda un po’ quella del figlio di Sordi in “Un borghese piccolo piccolo”. Ed è il primo «metà della metà del vostro dovere» mancato.

È accaduto, infatti, che mentre i cretinetti stavano in mezzo alla strada sia arrivata un’ambulanza. Che ha comunque perso tempo ma che poi è stata lasciata passare (vorrei pure vedere). «Questa cosa non è minimamente giusta, ci fate rientrare», dice in tono perentorio il rivoluzionario piccolo piccolo ai poliziotti che stanno spostando da in mezzo alla strada i suoi compari di cretinettismo.

Scusate, un’altra digressione: ma non li investe nessuno? Io non ho la patente e mi sono accuratamente procurata una vita senza riunioni, scadenze, tragitti all’ora di punta, open space e altre mostruosità. Ma, se stessi andando al lavoro e mi trovassi uno di questi in mezzo alla strada, io non credo resisterei alla tentazione di arrotarlo. Lo so, è un brutto pensiero. Lo so, lo state pensando anche voi.

Comunque i poliziotti, ai quali se poi qualcuno li arrota si raddoppia pure il carico di lavoro, cercano di tutelare ogni cretinetto da sé stesso, e quindi li spostano pazientemente. E quindi il barbetta arriva e dice che ora però ci fate rientrare, come fosse un bambino ricco cui qualcuno ha interrotto il giro sull’autoscontro per il quale la tata aveva già pagato.

«Noi abbiamo chiamato il 118 per far sì che le ambulanze non passassero di qua», insiste il rivoluzionario che il secolo più stupido della storia dell’umanità si può permettere, evidentemente convinto che siano le emergenze mediche a doversi adeguare alla sua mattinata al luna park.

Al poliziotto, che a quel punto è già il sex symbol dell’intera Italia media riflessiva, viene da ridere: non decidete voi, però, il tragitto dell’ambulanza, capisci? Agente, detto tra noi: ma cosa vuole che capisca, su.

«Mi scusi per aver alzato la voce, è perché ho un bisogno di sentire una giustizia per cui lei lavora», performa a quel punto il barbetta che, ricordatosi della telecamera, ritiene di poter sembrare uno dei buoni, mica uno dei cretini.

Purtroppo l’accento del nord gli impedisce di aderire completamente a quello che è con ogni evidenza il suo modello estetico: Isabella De Bernardi in “Un sacco bello”. Quando il video finisce senza che il barbetta abbia detto «Guarda che io a mio padre gli ho già sputato in faccia: attento fascio, che non ci metto niente», penso che purtroppo Milano non è all’altezza di Roma, e infatti il poliziotto caruccetto è molto più garbato di Mario Brega.

«Noi però ci siamo spostati per far passare un’ambulanza, possiamo gentilmente rimetterci e poi ci spostate?». Sembrano le trattative sui compiti delle vacanze di uno che sta per andare in terza elementare: avevi detto che potevo giocare finché la lancetta grande non arrivava in basso, non è giusto. Ma, con una calvizie così incipiente, quante volte devi aver ripetuto la terza elementare?

«Ci stiamo prendendo in giro, se facciamo questo», gli spiega paziente il poliziotto, evidentemente montessoriano epperciò determinato a trattare come un adulto l’interlocutore che adulto sarà pure nell’invecchiamento dell’epidermide, ma non nella maturazione della corteccia prefrontale.

Il mio momento preferito, perdonerete il personalismo, è quello in cui l’agente gli spiega che se lui – lui barbetta – si mette in mezzo alla strada, impedendo agli automobilisti di transitare, è suo – del poliziotto – compito spostarlo, giacché «si chiama violenza privata». Sul volto del barbetta si dipinge lo sconcerto: come violenza, loro che sono i buoni.

Mi sono ricordata di quando l’inviato con velleità da giustiziere d’un varietà coi balletti è stato condannato per violenza privata nei miei confronti. I commenti dei fan del programma, avvezzi al codice penale quanto il barbetta, erano del genere: ma mica l’ha menata. Forse, quando i legislatori hanno dato nomi ai reati, avrebbero dovuto tenere maggior conto del secolo a venire, quello in cui gli adulti avrebbero avuto bisogno dei disegni come in terza elementare.

«Però, io le dico, un feedback per la prossima volta: se lei vuole fare dei negoziati non mi racconta farlocche». Non so da dove cominciare a commentare questa frase, forse nucleo d’un secolo in cui la cronaca ruba il lavoro ai comici, agli sceneggiatori, ai romanzieri.

Da «feedback», che svela la convinzione d’essere colui che usufruisce del servizio clienti delle forze di polizia ed esprime la propria insoddisfazione in merito e vuole dei punti fragola di risarcimento altrimenti vi stronca su TripAdvisor?

Da «negoziati», parola appresa dai film in doppiaggese, nel pronunciare la quale il barbetta – che un po’ si percepisce Denzel Washington in “Inside man”, un po’ gli viene un dubbio – fa le virgolette con le mani?

Dall’aggettivo «farlocche» che scambia per il sostantivo «fandonie»? Barbetta, ma se stavi a casa a finire quei benedetti compiti per le vacanze, e la prossima volta ti presentavi più preparato, non era meglio per tutti, specie per i cuoricini su Instagram?

In conclusione, ci tengo a dire che le colpe dei padri valgono fino a un certo punto. I «metà della metà del tuo dovere» di mio padre forse mi hanno resa meno megalomane, ma non più studiosa: esiste l’indole personale, e la mia di irredimibile ciuccia non veniva minimamente intaccata. Continuavo, novecentonovantasette volte su mille, a non aprire libro e prendere tre. Magari pure il padre del barbetta ha provato a fare di lui un adulto. Invano.