Era il 1991. Annunciarono d’aver trovato un’attrice protagonista per “L’amante”, il film tratto dal romanzo in cui Marguerite Duras raccontava la sé stessa adolescente. Duras aveva la faccia interessante e imperfetta che tutti conoscevamo (una foto d’epoca era la copertina del romanzo). L’attrice scelta per interpretarla, Jane March, aveva una faccia simmetrica, proporzionata, perfetta.
Duras, sempre pronta a farsi nuovi amici, dichiarò scocciata che il casting non aveva la sua approvazione: la ragazza era troppo bella per interpretare una che fin da piccola si guarda intorno e racconta il mondo. Se una è così bella, spiegò, può solo essere guardata, mai guardare.
Era il gennaio del 2002. Ho ritrovato l’altro giorno un articolo che avevo scritto, e sono andata a cercare le foto, ed era come guardare un film in costume. Era il gennaio del 2002, e a una sfilata di Versace, a Parigi, in prima fila c’erano Chelsea Clinton, e Madonna, e Gwyneth Paltrow.
Erano tre bambine, e all’epoca mi sembravano tre signore adulte, ma non è questo il punto. Era un altro mondo. Era un mondo in cui le prime file delle sfilate erano quella roba lì: gente da fotografare, gente da guardare con più attenzione delle passerelle, gente che ti faceva trasecolare. Guarda, tre pezzi di storia del Novecento.
Anche chi non ha mai seguito i programmi di Daria Bignardi si ricorda il suo più memorabile momento televisivo. Quella sera del 2007 – di nuovo: un’altra epoca, un altro modo – in cui aveva seduta di fronte Franca Sozzani, ed ebbe il genio di chiederle cos’avrebbe pensato se, arrivando a una sfilata, si fosse accorta che l’avevano messa a sedere in seconda fila. «Che è tutto finito», rispose la Franca.
Poi è in effetti tutto finito: sono arrivati i telefoni con la telecamera. A Chiara Ferragni piace molto raccontare che all’inizio alle sfilate non la volevano, non la invitavano, la mal sopportavano. Non è che non sia vero, eh: lavoro per le riviste di moda da quando c’era la lira, e sono quanto chiunque altro testimone di quanto la Ferragni sia passata, com’è ovvio accada con la forza dei numeri, da tizia considerata troppo cheap a tizia che le direttrici darebbero un rene per intervistare (i direttori: le riviste di moda ormai le fanno quasi tutte direttori uomini; ora che i giornali non contano più nulla, noialtre abbiamo ceduto il territorio).
È vero che la più desiderata nelle prime file di questo decennio era l’indesiderata di non tantissimi anni fa, ma non è il riscatto che racconta lei: è un fallimento. È la prima fila ceduta a gente col telefono in mano. È la prima fila data in appalto a gente che ha sempre un attrezzo con telecamera davanti alla faccia. Molto si è riso di madre e sorelle ferragne che, nella puntata sanremese di “The Ferragnez”, filmano col telefono il televisore in cui c’è Chiara che conduce Sanremo. Ma non facciamo tutti ovunque comunque perunque la stessa cosa? Non riprendiamo tutti ciò che riprendono tutti onde postare le stesse immagini che posteranno tutti, ma filmate da noi proprio da noi?
Negli ultimi anni in cui mi sono presa il disturbo di andare alle sfilate c’erano già i telefoni con le telecamere, e gli influencer della moda che filmavano tutto. Dopo, c’era sempre qualcuno che mi mandava un filmino di me instagrammato da qualche Brian Boy della fila di fronte. Cioè: non era un filmino di me: era un filmino di quel che aveva davanti chi filmava, e io ero parte del paesaggio, come quando allo zoo filmi le foche e un custode con la ramazza finisce nell’inquadratura.
È comodo che tutti abbiano un telefono: possiamo non muoverci da casa, e vedere la sfilata. È comodo che tutti facciano i reporter dilettanti e ci facciano sentire come il vecchio abbonato Rai, quello che ha sempre un posto in prima fila. Però insomma, vuoi mettere tra quell’istantanea del Novecento che erano Chelsea e Gwyneth e Madonna, e gente coi follower e il telefono davanti alla faccia?
È perciò col cuore colmo di gratitudine che ho accolto la foto quissù, che immortala la prima fila alla sfilata di Fendi di mercoledì. Il chi è chi delle celebrità di questo secolo è ricco e interessante. C’è Cara Delevingne, la modella grazie alla quale le ventenni di oggi non faranno l’errore delle ventenni delle generazioni precedenti: quello di assottigliarsi le sopracciglia.
Ci sono Linda Evangelista e Naomi Campbell, in rappresentanza degli anni Novanta che proprio non vogliamo far finire e del documentario sulle modelle di quando eravamo piccole che è appena uscito sulla piattaforma di Apple.
C’è Kate Moss, l’ultima delle vere famose e delle vere maledette e delle vere determinate a non dir nulla di sé in cambio di consenso popolare. Si accompagna a un tizio che non sapevo essere il suo più recente fidanzato, un fotografo che è il pronipote di Bismarck – sì, quel Bismarck che avevamo nel sussidiario da piccole.
C’è Demi Moore (abbiamo già detto che gli anni Novanta non finiscono mai?), c’è Amber Valletta, c’è una del “Trono di spade” (parlandone da vivo), c’è Naomi Watts e c’è l’ex fidanzata di Bradley Cooper (che se ho capito bene è attualmente fidanzata di Robert Pattinson).
Ci sono dieci donne e un uomo, nella foto più illusoria della settimana della moda, quella che potrebbe convincerci che non tutto sia finito, che le prime fila d’una volta possano tornare. Sono in undici, quasi tutte sono famosissime, e solo una di loro, Christina Ricci, somiglia a questo decennio. Solo Christina Ricci non guarda la passerella ma guarda dentro al proprio cellulare, col quale sta, come una influencer qualunque, riprendendo la sfilata.
Esistono ancora quindi dieci (nove, più un pronipote di sussidiario) dive che sono abbastanza dive da sapere che lo spettacolo sono loro. Da non avere bisogno di dire ai loro follower: guardate, sono una persona così importante che m’invitano alla sfilata e mi mettono pure in prima fila, là dove una volta c’erano Madonna e Franca Sozzani ora ci sono io (chissà quanti follower pensano: declino delle élite).
Esistono nove signore, e un pronipote della storia d’Europa, che sanno ancora fare quella cosa che credevamo perduta, quella cosa novecentesca, quella cosa che richiede un ego abbastanza solido da non aver bisogno di continue conferme in forma di cuoricini: essere quelle che si fanno guardare, e non quelle che guardano.