Capitalismo magicoL’identità di genere è una distrazione di massa per evitare la lotta di classe

Sui social si è diffuso un marxismo da Wikipedia, a causa del quale i militanti dei cuoricini confondono i pocoricchi con i milionari. Il risultato è che l’Internet se la prende con Bebe Vio, dimostrando ancora una volta che le campagne sulla rete sono il sedativo perfetto per non assaltare la Bastiglia

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Non sarò certo io, dopo essermi lamentata per anni che la militanza dell’internet si concentrasse sui dettagli sbagliati – la razza, la sessualità, l’identità – e mai sull’unico che conta – la classe sociale – non sarò certo io a lamentarmi del fatto che l’Instagram abbia scoperto Marx.

Capiamoci: non intendo che si siano messi a studiare. Figuriamoci. Trattasi di un secolo in cui coloro che si definiscono «divulgatori» pensano che leggere la voce Wikipedia d’un qualche argomento significhi aver approfondito l’argomento stesso.

Però a un certo punto hanno intuìto che la ricchezza e la povertà erano un tema. Che tutto faceva cuoricino, non solo i difetti estetici, non solo l’infanzia infelice, non solo il tizio un po’ stronzo con cui sono stata e che una voce Wikipedia mi svela posso più instagramgenicamente definire «narcisista»: anche il fatto che qualcuna possa permettersi Prada e qualcuna no, anche quello fa storytelling (che è il modo in cui questo secolo chiama la retorica, non avendo intenzione di affaticarsi a capire cosa significhi «retorica» ma trovandosi benissimo a copincollare parole inglesi di cui pure non conosce il significato ma trova più suadente la suggestione).

Lunedì una utente di Twitter (o come si chiama ora) con un seguito che normalmente non va oltre il suo pianerottolo ha ripubblicato due foto prese dall’Instagram di Chiara Ferragni. Sono le foto dei bagni dei bambini nella casa in cui la famiglia Ferragni si trasferirà. La didascalia dell’utente qualunque era: «Leone e Vittoria non sapranno mai quanto cazzo è brutto aspettare tuo fratello che caga quando il bagno è solo uno e devi cagare anche tu».

Nelle prime settantadue ore, il tweet (o come si chiama ora) è stato condiviso con commento da duecentocinquantuno rivoluzionari, ognuno dei quali determinato a dirci che a casa sua il bagno era condiviso da quattordici persone, chi offre di più, noi dormivamo in cinque in un letto, no aspetta, la medaglietta di più povero la vinco io che il bagno neanche ce l’avevamo, twittano primatisti della nullatenenza dai loro telefoni da parecchie centinaia di euro.

Nel frattempo su Instagram si porta assai (o, come dicono sui giornali: è virale) il montaggio di una tizia che, usando sempre le immagini della Ferragni (che a giudicare dai social è la prima e l’ultima capitalista d’occidente), ci fornisce il “Brutti, sporchi e cattivi” che ci possiamo permettere. Prima Chiara che beve un cappuccino con la scritta «Prada» sulla schiuma; poi la tizia di Instagram che c’informa che il latte che sta bevendo l’ha preso in offerta a novantanove centesimi.

Com’è successo che l’idea di ricchezza sia diventata Chiara Ferragni che, pur di scroccare il cappuccino, ci s’instagramma? Com’è successo che l’idea di ricchezza sia diventata Chiara Ferragni che fotografa due bagni dei bambini che, santiddio, sono bagni ciechi? Esiste un segno di pocoricchismo più preciso del bagno cieco? Se fossi cresciuta con un bagno senza finestre, allora sì che scriverei memoir dolenti sulla mia poca ricchezza.

Temo che c’entri la scarsa confidenza che gli italiani hanno con la ricchezza non ereditata. Ci siamo abituati persino meno di quanto lo fossimo nel secolo scorso, in cui il capitalismo era ereditario, ma almeno il mondo dello spettacolo era pieno di figli di gente che aveva fatto la fame divenuti divi miliardari. Adesso, che il fallimentare star-system di questo secolo è costituito pressoché interamente di figli di gente semiricca e famosa, l’ultima rimasta a essere della razza sua la prima con una Lamborghini in garage è la Ferragni.

Ci mancano completamente gli strumenti per riconoscere il poco arricchito (nonché arricchito da poco) che ostenta quel che prima non aveva vestendosi di loghi; e per capire che chi ha case valevoli invidia sociale certo non le fotografa per Instagram. Ce la vedete Ginevra Elkann che posta le foto dei bagni dei bambini? Ce lo vedete Brocco81 in grado d’immaginare quanta gente non divida il bagno e non ritenga questa normalità un lusso valevole una fotografia?

Non è colpa di Brocco81, se non immagina un altrove. Brocco81 non pensa che quelli instagrammabili siano i lussi eccezionali. Brocco81 è abituato a un universo in cui si fotografa anche la pizza, e ignora l’esistenza d’un’umanità che non ritiene sia una notizia ch’essa consumi pasti, e ignora la possibilità di osservare le condivisioni altrui facendosi domande: ma quindi cosa stai cercando di dirmi, che ti puoi permettere la pizza, che hai degli amici con cui andare a cena, che non fai la no carb?

Per anni mi son detta che la classe sociale era il grande rimosso. La spiegazione più convincente della fissazione per l’identità di genere me la diede una tizia che lavorava coi ventenni. Non hanno niente, mi disse. Non hanno un futuro, non avranno carriere, prospettive di ricchezza, welfare, niente. L’unica cosa che hanno è la possibilità di sentirsi speciali cambiandosi i pronomi e il colore di capelli e i gusti sessuali.

L’identità di genere come distrazione di massa per evitare la presa della Bastiglia, come sedativo sociale, come l’eroina, come l’anoressia (mi scuso per la trasformazione dell’aneddotica raccolta tra conoscenti in statistica, ma: a giudicare dal numero di preadolescenti anoressiche di cui sento, la sostituzione non mi sembra aver funzionato benissimo).

Ma non dovrebbero invece fare la rivoluzione proletaria o qualcosa di simile, mi domandavo. Oddio, forse a vent’anni è abbastanza tutto ancora intero da non porti il problema che dovrai lavorare fino a novantacinque: io il fatto che non avrò mai la pensione ho iniziato a prenderlo in considerazione quando ho iniziato a pensare ogni giorno alla morte, verso i quaranta.

Poi i giornali si sono riempiti d’uno slogan che in confronto l’identità di genere era reale e razionale: quiet quitting, scrivono entusiasti gli stessi di storytelling (di solito scrivono «quite quitting», un refuso che avrebbe fatto venire un’erezione a Freud). I giovani non vogliono più essere schiavi del lavoro, ci spiegano, senza spiegarci quale sia l’alternativa (a parte la solita: ereditare).

Temo c’entri la gratuità d’un po’ tutto: se le notizie non si pagano, la musica non si paga, i film non si pagano, l’intrattenimento non si paga, perché uno dovrebbe voler lavorare e guadagnare? Quando Miuccia Prada (ieri, al termine della sfilata) dice a Suzy Menkes che il suo messaggio per le donne è che ci vuole una cultura del lavoro, ha ragione lei, o siamo vecchi arnesi del Novecento che pensano ancora in termini di chi il marxismo non l’ha intravisto su Wikipedia?

Parlare di soldi è molto in voga, accertarsi d’avere qualcosa d’intelligente da dire assai meno: se ne parla con un tasso di delirio paragonabile a quello applicato alle fissazioni instagrammatiche precedenti. L’altro giorno una trentaequalcosenne con centomila follower (e, santiddio, degli studenti cui insegnare non so bene cosa: spero non la disciplina del senso del ridicolo) ha fatto delle storie su Bebe Vio.

Bebe Vio che, dopo essersi laureata mentre è una campionessa paralimpica, ha commesso il massimo peccato possibile nel secolo della lagna perpetua: ha invitato gli studenti a impegnarsi di più e lamentarsi di meno.

Si tratta, ha accusato vibrante la docente di economia politica che questo secolo si può permettere, di capitalismo magico: Bebe Vio viene da una famiglia benestante, ha studiato in un’università costosa, per lei è stato tutto facile.

Siamo talmente prigionieri dei nostri tic culturali che riusciamo davvero a dire che sparecchiare i tavoli mentre dai gli esami all’università sì che fa di te una persona che fatica e che ha dovuto guadagnarsi tutto quel che ha. Altro che Bebe Vio, con la privilegiatissima e avvantaggiata vita di una che non ha le braccia e le gambe.

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