Un’ora d’auto e poco più, a causa del traffico che collega l’aeroporto internazionale di Heathrow con l’Oxfordshire, contea a sud est dell’Inghilterra, e il gioco è fatto. È un salto nel tempo quello che accoglie il visitatore sul lungo viale di accesso all’iconico Le Manoir aux Quat’Saisons, prezioso Belmond immerso nell’edenico paesaggio british dalle mille sfaccettature. Si parte con quel drappo sventolante, la bandiera francese, riconoscibile già a distanza sul punto più alto della sua facciata.
Non è frutto di eccentricità inglese, ma attestazione identitaria di un luogo che incarna diverse anime. La prima racconta di una geografia le cui coordinate conducono al pittoresco villaggio di Great Milton, nella bucolica campagna inglese. Siamo a circa undici chilometri da uno dei centri più floridi del regno in quanto a bellezza e cultura: Oxford, luogo di connessioni e suggestioni che ha attirato a sé autori (completi e in erba), poeti e accademici in virtù della sua Università. La grande avventura della pubblicazione del principale dizionario storico della lingua inglese – il leggendario Oxford English Dictionary – è cominciata proprio qui, presso la casa editrice dell’università.
Il viaggio di queste parole, lungo 139 anni dall’uscita del primo volume del dizionario, oggi conta oltre 500mila voci ed è allestito nel Museo della University Press, in Great Clarendon Street. Che nella contea, con il suo paesaggio digradante nel terreno verde e fertile della Valle del Tamigi, abbiano attecchito semi eccezionali è presto detto: Dame Agatha Christie, la scrittrice dei record, con oltre due miliardi di copie vendute nel mondo, ha vissuto e scritto la gran parte dei suoi romanzi a Wallingford, nella zona meridionale dell’Oxfordshire.
Lo spirito di un luogo influisce (e anche molto) in termini di ispirazione e creatività. Ne sa qualcosa Aldous Huxley, pioniere di quella distopia letteraria che ha aperto le porte della percezione a una forma di misticismo filosofico ancora oggi ricco di spunti per il mondo della spiritualità contemporanea, mosse i primi passi nella poesia proprio a Oxford, mentre Oscar Wilde, studente al Magdalen College, affinava il proprio gusto, costruendo qui la sua identità estetica, quella che lo avrebbe ritratto per l’eternità.
Dovessimo dare un nome all’anima dell’Oxfordshire sarebbe qualcosa di molto vicino alla magia. Charles Dogson, l’eccentrico professore di matematica pura a Oxford, nei suoi lenti pomeriggi passati sulle sponde del Tamigi ha veleggiato talmente oltre le ali della fantasia da valicare i confini di una realtà al di là del nostro mondo. Alice, con le sue avventure nel paese delle meraviglie e oltre lo specchio della nostra realtà, abita qui. Quell’inventore di giochi e indovinelli di Dogson, ovvero Lewis Carrol, ha dato vita a un classico della letteratura per l’infanzia dall’apparente semplicità, in realtà continua a essere, ancora oggi, una sfida per la critica.
Poteva non cadere nel retino di queste atmosfere un giovane francese, appassionato e romantico come Raymond Blanc? L’uomo dietro la bandiera di Francia è il perfetto maître de maison de Le Manoir aux Quat’ Saisons, da 39 anni. Da allora ha costruito in questa tenuta tassello dopo tassello il suo mondo, in armonia con la natura, seguendo il ritmo delle stagioni. Non solo ambasciatore della cucina francese nel Regno Unito, ma chef tra i più influenti al mondo che dal 1984, ovvero dall’apertura de Le Manoir: con il suo ristorante più apprezzato d’Inghilterra, continua ad aggiudicarsi, anno dopo anno, due stelle Michelin.
«Una penna è per me ciò che un becco è per una gallina», ha detto J.R.R.Tolkien, che a Oxford scrisse due dei suoi capolavori assoluti (Lo Hobbit, pubblicato nel 1937, e Il Signore degli Anelli, scritto tra il 1937 e il 1949). Il motore di Raymond Blanc è di certo la curiosità, declinata in arte di vivere e che si esprime attraverso il gusto riflesso non solo nei piatti creati ma anche nel particolare calendario paesaggistico a cui ha dato vita in questo angolo d’Inghilterra. Le chiavi di questo regno sono molto vicine al linguaggio della fiaba: una tenuta risalente al XV secolo, in pietra di Oxford, dal colore caldo come quello del miele, 32 suite dallo stile differente, uno per ogni viaggio e passione del padrone di casa.
Al centro, i giardini dai colori in movimento, a seconda della stagione. L’apice della narrazione si spinge fino al giardino giapponese con la casetta dedicata alla cerimonia del tè, mentre le 40 sculture disseminate nella tenuta raccontano l’innegabile fil rouge che lega Le Manoir sux Quat’Saisons, nella figura di Raymond Blanc, all’arte classica.
Arborexence come linguaggio universale
Loris Cecchini, invece, è l’artista dietro l’ipnotica e seducente scultura in acciaio inossidabile, già visibile a distanza, che incornicia Le Manoir, intrecciandosi, con garbo, con la magnolia e il glicine di una delle facciate più iconiche del regno. Sul viale d’accesso, altre due installazioni creano un empatico rompicapo tra artificio e natura, che lega l’argento dell’acciaio con i sentori della lavanda.
«Uno dei punti forti del progetto Mitico è quello di trovare il giusto contesto per l’artista e la sua arte», dice Loris Cecchini. È fuori di dubbio che Lorenzo Fiaschi, cofondatore nel 1990 di Galleria Continua assieme agli amici Maurizio Rigillo e Mario Cristiani nonché anima della collaborazione con Belmond, abbia fatto centro nel dare carta bianca a un artista – tra gli italiani più importanti nella scena internazionale – a misurarsi con il concetto di identità e natura. Quello creato da Cecchini appare come un flusso di coscienza, unico e irripetibile del soggetto principale della sua opera: ovvero i giardini opulenti di vita a Le Manoir aux Quat’Saison. C’è qualcosa di arcano nel susseguirsi delle sue ramificazioni, rimandi ai principi chimici che regolano la vita degli organismi nella loro universalità.
«Arborexence è una forma di pensiero stratificato, portatore di significati diversi che uniscono natura e scienza. La chimica è presente in questa scultura perché la natura stessa è chimica», aggiunge l’artista. E che sia un profondo conoscitore degli elementi Cecchini lo dimostra appassionandosi alla lavorazione e all’utilizzo di materiali e strumenti diversi: dalle tecnologie al silicone, dalla plastica alle pietre e al vetro. «Usare la materia come strumento è una grande opportunità. Così come giocarci come farebbe un bambino. Solo in quel momento il suo utilizzo diventa un linguaggio».
L’incontro tra questi due espressioni – la scultura in acciaio e il colore caldo del miele della pietra di Oxford come simbolo di un’eredità storica – non è stato amore a prima vista. Al contrario, alla vista degli schizzi iniziali del progetto Raymond Blanc ha manifestato perplessità. Solo con il risultato finale ogni dubbio è stato fugato. La scultura di Cecchini in effetti si presenta come una forma altra, non estranea alla natura che la circonda bensì complementare in relazione alle dimensioni, agli spazi e alle architetture. Poterne osservare il cambiamento, a secondo della stagione, sarà per i cultori dell’arte il punto forte di questa seconda edizione di MITICO 2023.