Si scrive Euro7 ma si potrebbe leggere Euro6, almeno per quanto riguarda gli standard di emissione delle automobili. Nel regolamento dedicato alle sostanze inquinanti che escono dai tubi di scappamento dei veicoli, gli Stati membri dell’Ue ammorbidiscono la proposta della Commissione europea al punto di assottigliarne le ambizioni in tema di miglioramento della qualità dell’aria. Dopo le barricate sul divieto di vendita per le auto a combustione dal 2035, ancora una volta l’Italia guida il fronte dei Paesi più attenti alle esigenze dell’industria e meno a quelle ambientali e climatiche.
Standard inalterati
Per automobili e van, il Consiglio dell’Unione vuole mantenere inalterati gli standard di emissione fissati nel regolamento Euro6, mentre la Commissione nella sua proposta originaria, presentata a novembre 2022, aveva previsto di abbassarli. Una riduzione rispetto all’Euro6 c’è invece per i veicoli pesanti, come bus e camion. Tra le novità rispetto alla precedente versione del regolamento ci sono anche le soglie di emissione massima per pneumatici e freni e di performance minima per le batterie dei veicoli elettrici: nuovi strumenti per limitare l’impatto ambientale del trasporto su strada.
Secondo la Commissione europea, il regolamento dovrebbe entrare in vigore dal primo luglio 2025 per quanto riguarda le auto e i van, e due anni dopo per i veicoli pesanti. Ora il Parlamento Ue dovrà adottare la sua posizione negoziale, lasciando poi spazio alle trattative tra le istituzioni.
Gli Stati membri chiedono più margine: trenta mesi di tempo dall’adozione del regolamento per i nuovi modelli di automobili e quarantadue per i nuovi pezzi già in produzione (quarantotto e sessanta mesi il tempo di adattamento per i veicoli pesanti).
Un aspetto della proposta originale che invece gli Stati sembrano aver accettato è il cosiddetto sistema Obm (On-board monitoring of emissions), ideato per tenere sotto controllo le emissioni dallo scarico di ammoniaca, ossidi di azoto e particolato e rilevare «i superamenti pari ad almeno 2,5 volte i limiti prescritti».
Nel complesso, quella del Consiglio è una posizione decisamente soft rispetto alle prescrizioni della Commissione, tanto da indispettire le organizzazioni ambientaliste. Transport & Environment, la Federazione europea per il trasporto e l’ambiente, la definisce «un disastro per la qualità dell’aria» e un palese tentativo di greenwashing, per appiccicare l’etichetta Euro7 sugli stessi veicoli che già rientrano nell’Euro6.
A difesa dell’industria dell’auto
Diametralmente opposta la reazione dell’industria automobilistica: «La posizione degli Stati membri costituisce un miglioramento rispetto alla proposta della Commissione, che era sproporzionata, con costi altissimi per l’industria e limitati benefici ambientali», le parole di Sigrid de Vries, direttrice generale di Acea, l’associazione europea dei costruttori di auto.
Il pressing delle case automobilistiche ha sicuramente influito sulla posizione di molti governi, così come il peso specifico di un settore che in totale impiega tredici milioni di europei e genera il sette per cento del Prodotto interno lordo dell’Unione. Alcuni Paesi, poi, sono particolarmente sensibili: il ministro ceco dell’Industria e del Commercio Jozef Síkela ha detto chiaramente che «bisogna essere consapevoli dell’impatto» quando si regola l’industria automobilistica, che nel suo Paese vale il dieci per cento del Pil e oltre il venti per cento delle esportazioni.
Non a caso la Cechia era uno dei Paesi firmatari di un documento teso a ridimensionare pesantemente il testo presentato dalla Commissione, e sottoscritto pure da Bulgaria, Francia, Ungheria, Romania, Slovacchia e Italia: una minoranza di blocco in grado di evitare qualunque risultato sgradito.
Il compromesso finale tra gli Stati membri, infatti, non si discosta molto dalle richieste principali del documento: nessuna nuova soglia per auto e van e tempi dilatati per l’entrata in vigore delle nuove regole. «Ha prevalso la linea italiana di responsabilità, concretezza e pragmatismo: abbiamo messo sulla giusta strada il dossier Euro7», il commento compiaciuto del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, all’uscita dall’incontro con i suoi omologhi a Bruxelles.
La «larga maggioranza» citata da Urso su questo capitolo legislativo spinge il governo all’ottimismo anche su altri fronti collegati. A partire da quello, teatro di una battaglia campale a Bruxelles la scorsa primavera, su cui l’Italia proprio non si rassegna: l’introduzione di una deroga per i biocarburanti nel divieto di vendita delle auto con motore a combustione dopo il 2035. «Anche su questo campo sembra che gli orientamenti siano finalmente di ragionevolezza, di buon senso, di pragmatismo, di realtà» le parole di Urso, che forse pensa alla clausola di revisione prevista nel 2026, con cui il governo italiano spera di rimettere in gioco i carburanti di origine biologica.
«Mi auguro che questo voto sia anche un viatico per affermare la centralità di tecnologie potenzialmente vincenti come i biocarburanti avanzati. Un’Europa che guardi agli obiettivi green facendo prevalere il realismo sull’ideologia è possibile, e oggi ne abbiamo avuto una dimostrazione», ha dichiarato Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica.
La deroga sui biocarburanti, ottenuti dalle biomasse, sembra un’ipotesi al momento remota, ma in Europa il vento sembra soffiare sempre più debolmente nelle vele del Green deal, ora pure orfano di Frans Timmermans, l’ex vice-presidente della Commissione e titolare del dossier climatico che ha lasciato il suo posto per candidarsi come primo ministro nei Paesi Bassi.
Da quando non c’è lui, sostiene Urso, «l’Europa si è rimessa sulla carreggiata giusta». Che per il governo italiano è una morbida salita verso la transizione ecologica, mai troppo ripida da infastidire il mondo industriale.