Dopo l’approvazione dei provvedimenti cruciali del Fit for 55, procede la marcia del Green deal europeo, il piano di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra che dovrebbe rendere l’Europa climaticamente neutrale entro il 2050. Questa volta tocca al metano, gas considerato responsabile di circa un terzo dell’attuale riscaldamento globale: l’Unione europea dovrà ridurne le emissioni in tutti i settori produttivi, secondo la posizione adottata sul tema dal Parlamento europeo, che ora avvierà i negoziati con il Consiglio dell’Ue sul testo finale del regolamento.
Nemico pubblico numero due
Tagliare le emissioni di metano è uno dei modi più efficaci per contrastare il riscaldamento globale, hanno ripetuto diversi eurodeputati nel dibattito sul tema durante la sessione plenaria a Strasburgo.
L’idrocarburo formato da un atomo di carbonio e quattro di idrogeno è infatti «secondo soltanto all’anidride carbonica in termini di contributo complessivo ai cambiamenti climatici», si legge nell’introduzione al regolamento.
Sebbene abbia un tempo di permanenza nell’atmosfera molto più breve rispetto alla CO2 (tra i dieci e i dodici anni, invece che secoli) il metano è molto più dannoso in termini di effetto serra: a parità di quantità nell’atmosfera, cioè, contribuisce molto di più dell’anidride carbonica a trattenere i raggi solari e surriscaldare il pianeta.
Secondo un rapporto dell’Ipcc, su un periodo di cento anni, il metano ha un «potenziale di riscaldamento globale» 29,8 volte superiore a quello dell’anidride carbonica, che è di gran lunga il gas serra più emesso nell’atmosfera.
Per questo, centoquarantanove Paesi del mondo hanno sottoscritto il Global Methane Pledge, un impegno collettivo a ridurre le emissioni globali di metano di origine antropica entro il 2030 di almeno il trenta per cento rispetto ai livelli del 2020.
Per l’Unione europea, che figura tra i firmatari assieme a molti dei suoi Stati membri, la traduzione concreta di questa promessa è proprio il regolamento in questione. Secondo la posizione del Parlamento, dovrà prevedere obiettivi vincolanti di riduzione entro il 2030 per tutti i settori coinvolti, con le percentuali specifiche che dovranno essere decise dalla Commissione entro il 2025.
Stando ai dati forniti dall’esecutivo comunitario, oggi nell’Unione il cinquantatré per cento delle emissioni di metano imputabili all’attività umana deriva dall’agricoltura, il ventisei per cento dal trattamento dei rifiuti, e il diciannove per cento dal settore dell’energia.
Negoziati ed emendamenti
Proprio sull’energia si è giocata la partita politica all’interno dell’Eurocamera. La Commissione aveva infatti valutato una riduzione del cinquantotto per cento delle emissioni in questo comparto entro il 2030 e i gruppi politici del Parlamento hanno negoziato i dettagli di una lunga serie di misure molto tecniche per raggiungere concretamente il risultato.
Si tratta in sostanza di efficientare i metodi di estrazione, trasporto e stoccaggio dei combustibili fossili, visto che il metano, cioè il gas naturale utilizzato come fonte di energia, viene disperso nell’atmosfera accidentalmente durante queste procedure.
Il testo adottato dall’Eurocamera chiede che le indagini di rilevamento siano più frequenti, le falle riparate più velocemente e che venga bandita entro il 2027 la «combustione in torcia»: la pratica di bruciare sulla sommità delle piattaforme estrattive il gas che non si riesce a immagazzinare.
«Il 75% delle emissioni di metano possono essere ridotte senza costi aggiuntivi per le aziende: ogni molecola non immessa nell’atmosfera potrebbe essere rivenduta», spiega a Euronews Jutta Paulus, eurodeputata dei Verdi tedeschi e relatrice del regolamento per l’Eurocamera.
«Se il settore dei combustibili fossili investisse il tre per cento dei suoi profitti dell’anno scorso in questo campo, si eviterebbero fino all’ottanta per cento delle emissioni».
Insoddisfazione a destra
Non ne erano così convinti, evidentemente, i gruppi politici di destra del Parlamento comunitario. La relazione finale è frutto di un duro negoziato in cui Partito popolare europeo, Conservatori e riformisti europei e Identità e democrazia hanno cercato di «ammorbidire» alcune delle regole previste, principalmente per ridurre gli aggravi a carico delle aziende.
In più, un manipolo di eurodeputati di questi gruppi ha provato a presentare una serie di emendamenti al testo concordato, tutti respinti dall’aula. La votazione finale ha registrato quattrocentonovantanove deputati a favore, settantatré contrari e cinquantacinque astensioni. Tra gli italiani hanno votato contro solo alcuni parlamentari della Lega, mentre si sono accodati al voto positivo Forza Italia e Fratelli d’Italia.
Anche se il risultato complessivo non è particolarmente soddisfacente per il forzista Massimiliano Salini, uno dei promotori degli emendamenti. «La relatrice ha adottato un approccio ideologico, inserendo disposizioni superflue per la riduzione delle emissioni di metano, e funzionali invece a disincentivare in ogni modo l’utilizzo del gas».
Uno dei punti cruciali è rappresentato dalla legislazione sulle importazioni, visto che l’Ue acquisisce all’estero la maggior parte dei combustibili fossili che utilizza. Secondo la posizione del Parlamento, a partire dal 2026, gli importatori di carbone, petrolio e gas dovranno essere obbligati a dimostrare che i requisiti del regolamento vengano rispettati anche nei Paesi di origine delle materie prime.
Una richiesta insensata per Salini, ridotta entro «limiti ragionevoli» solo dopo il negoziato tra i gruppi politici: «La proposta della relatrice imponeva l’onere di verificare e sanzionare eventuali difformità alle aziende importatrici, che tra l’altro non hanno l’autorità per farlo in altri Paesi».
Alla critiche nel merito della legislazione si aggiungono quelle sul metodo quando Salini sottolinea un passaggio opaco: «La Commisione europea, che non dovrebbe intervenire in questa fase, ha indirizzato a Jutta Paulus dei commenti sugli emendamenti in discussione e lei li ha girati ai colleghi. Questo denota una totale mancanza di autonomia da parte della relatrice».
Secondo l’eurodeputato è il secondo grave scivolone della collega dei Verdi: in fase negoziale gli eurodeputati avevano ricevuto dalla relatrice un documento con degli emendamenti redatto dalla Ong ambientalista Clean Air Task Force. La questione era stata denunciata dall’eurodeputata leghista Silvia Sardone, che era correlatrice del testo e per questo motivo ha rinunciato all’incarico.
Proprio Sardone, che in aula ha votato contro, parla in una nota di «elementi di criticità che possono mettere in difficoltà aziende e operatori attraverso prescrizioni tecnicamente infondate e sproporzionate rispetto ai possibili benefici ambientali».
Probabilmente è solo un antipasto della battaglia politica che si consumerà più avanti sul metano: la riduzione delle emissioni nel settore dell’energia era infatti considerata a Bruxelles e Strasburgo molto meno problematica di quella da ottenere nel settore agricolo e nello smaltimento dei rifiuti. Che già si prefigura come uno scontro tra la parte destra e quella sinistra del Parlamento europeo.