Capita con sempre maggiore frequenza di sedersi a un tavolo di un ristorante o di un locale e di aspettare. E di aspettare. E di aspettare ancora. Pochi camerieri affannati passano davanti agli avventori a testa bassa, sgattaiolano nel retro della cucina, e cercano invano di evitare il tuo sguardo che si fa via via più truce. La situazione peggiora man mano che il tempo passa. Tu, da cliente rispettoso, aspetti. Loro, quei pochi che sono professionisti in crisi, soffrono. La cassa del locale langue, e il pensiero che qui non ci tornerai inizia a palesarsi.
Spesso, dopo tante decine di minuti di attesa, l’unica alternativa è alzarsi e andarsene. Spesso, questa uscita alla chetichella, che a te da cliente rispettoso scoccia anche un po’, avviene nell’assoluto silenzio generale, nell’indifferenza totale. Te ne vai amareggiato, e pensi che il mondo della ristorazione deve cambiare registro, se non vuole involvere e crollare su sé stesso.
Appena varcata la soglia del locale ti chiedi se qualcuno si è accorto che ha appena perso un cliente, o almeno una consumazione, che tu, in fondo, sei uno scontrino mancato. Oppure, se nel delirio della mancanza di personale, dei rincari e delle sale chiuse perché non c’è nessuno che le gestisca, forse la tua uscita è stata solo un grande sollievo. Evviva, uno in meno da servire, uno in meno per cui fare corse, un tavolo in meno da pulire. Nel ristorante pizzeria sotto casa il gestore, sempre più demoralizzato, ha deciso che limita i coperti: sempre meno personale a disposizione, sempre meno posti a tavola, ma anche sempre meno problemi.
Quando nessuno vorrà più fare il cameriere, capiremo il danno clamoroso che hanno fatto i due anni che hanno stravolto le nostre certezze, e forse ritorneremo ad avere rispetto di un ruolo, ad apprezzare il sacrificio, e a pagare il giusto prezzo persone e cose. Se ce ne daranno l’occasione.