Paese impermeabileL’emergenza cementificazione e il disperato bisogno di parlare di soluzioni

Come se non esistesse la crisi climatica, l’Italia consuma suolo a un ritmo insostenibile e ignora l’importanza di interventi come la depavimentazione. Le “nature based solutions” occupano ancora una posizione marginale nella narrazione sul tema: urge un passo avanti anche per condizionare le scelte politiche

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Leggere i report dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sul consumo di suolo è sempre doloroso: ridimensionano tante misure (apparentemente) green e ci riportano in una realtà composta da città non attrezzate per affrontare i cambiamenti climatici di origine antropica. Ma quest’anno – anche se i dati sono riferiti al 2022 – il peso di un documento del genere è tristemente diverso. Nei nostri occhi, infatti, le immagini delle alluvioni in Emilia-Romagna sono ancora vivide, mentre i cittadini, le imprese e le associazioni delle zone più colpite sono tutt’oggi alla prese con una ricostruzione complessa (anche) a causa dei ritardi nell’erogazione dei fondi promessi dal governo.  

Proprio l’Ispra, circa un anno fa, ricordava che nella Regione amministrata da Stefano Bonaccini si costruisce e si asfalta addirittura nelle aree protette (+2,1 ettari tra il 2020 e il 2021), nelle zone esposte al rischio frana (+11,8 ettari) e nei territori ad alta pericolosità idraulica (+78,6 ettari). Le conseguenze della crisi climatica, come dimostra il caso dell’Emilia-Romagna, sono amplificate dall’impermeabilizzazione dei terreni. Ma in Italia, dove non esiste una legge nazionale sul consumo di suolo, si continua a cementificare senza sosta, soffocando di grigio aree verdi potenzialmente essenziali per rendere i centri urbani “climaticamente” più resilienti. A poco servirà la proposta della Commissione europea, avanzata a luglio, sul monitoraggio del suolo. 

Consumo di suolo in aree a rischio
Il numero principale che emerge dal nuovo report è 2,4 metri quadri al secondo. Si tratta della velocità del consumo di suolo nel nostro Paese nell’arco del 2022. In dodici mesi, spiega l’Ispra, le coperture artificiali hanno coinvolto altri 76,8 chilometri quadrati, ossia il 10,2 per cento in più rispetto al 2021: «Si tratta, in media, di più di ventuno ettari al giorno, il valore più elevato degli ultimi undici anni, in cui non si erano mai superati i venti ettari», si legge nel documento.

Questi numeri, nel concreto, si traducono in più asfalto e più aree impermeabili, a dispetto del concetto di “città spugna”. In totale, stando ai dati di fine 2022, il 7,14 per cento del suolo italiano risulta cementificato. I dati Eurostat del 2017 mostrano che l’Italia è il quinto Paese peggiore d’Europa per consumo di suolo; al primo posto ci sono i Paesi Bassi, seguiti da Belgio, Lussemburgo e Germania. 

Ispra

Sono più di novecento gli ettari di territorio reso impermeabile – quindi non più in grado di “assorbire” l’acqua delle precipitazioni violente – nelle zone a pericolosità idraulica media. «Considerando il consumo di suolo nell’ultimo anno, più del trentacinque per cento si trova poi in aree a pericolosità sismica alta o molta alta» e il «7,5 per cento è nelle aree a pericolosità da frana», sottolinea l’Ispra. Un altro numero drammatico riguarda il sessantotto per cento del consumo di suolo nazionale che coinvolge le aree agricole: in dodici mesi sono spariti quattromilaottocento ettari. Costruiamo anche dove una volta c’erano delle coltivazioni. 

Mentre i Comuni e le Regioni continuano a edificare e cementificare in aree a rischio frane, terremoti o alluvioni, le città diventano sempre più calde anche a causa dell’insopportabile temperatura del suolo. Secondo l’Ispra, nei centri urbani di pianura (Milano su tutti) ci sono mediamente quattro gradi in più rispetto al resto del territorio. 

Il consumo di suolo nel concreto
La prima causa evidenziata da Ispra racchiude la logistica e la grande distribuzione organizzata (supermercati, ipermercati), che nel 2022 hanno vissuto l’espansione maggiore dal 2006. Il picco di crescita di cinquecentosei ettari, senza troppe sorprese, si è verificato nell’area più industrializzata del Paese, ossia il nord-est; il podio è completato dal nord-ovest e dal centro. 

Ispra

In Italia, inoltre, consumiamo tantissimo suolo costruendo grandi infrastrutture, che sono costantemente al centro dei pensieri dei politici e delle aziende del Paese (anche se non essenziali). Basti pensare alla Milano Laghi, che di recente è diventata la prima autostrada italiana a cinque corsie (per ora solo per 4,4 chilometri); il progetto fa parte di un piano da oltre 1,5 miliardi di euro, promosso da Autostrade per l’Italia (Aspi), per potenziare la rete autostradale della Regione più cementificata d’Italia assieme al Veneto. In quest’epoca non è contemplato fermarsi e fare un passo indietro: bisogna innovare a tutti i costi, indipendentemente dalle condizioni climatiche e ambientali. 

Per proseguire, il consumo di suolo nel 2022 ha riguardato anche edifici realizzati su suoli agricoli o naturali (ma, secondo i dati Istat del 2017, abbiamo circa sette milioni di case vuote, abbandonate), piazzali, parcheggi e altre zone pavimentate, aree estrattive e impianti fotovoltaici. Per l’installazione a terra dei pannelli solari, sottolinea Ispra, «si sono resi necessari quasi cinquecento ettari di terreno, duecentoquarantatre dei quali rientrano nella classificazione europea di consumo di suolo». Quest’ultimo è forse l’unico esempio per cui vale davvero la pena edificare. 

Dando uno sguardo alle singole province, Monza Brianza si è confermata quella con la percentuale più alta (quarantuno per cento) di suolo artificiale; sopra il trenta per cento ci sono le province di Napoli e Milano; sopra il venti per cento troviamo invece Trieste, Varese, Padova e Treviso. A livello comunale preoccupa l’andamento di Roma, non tanto per la conferma come città con il consumo di suolo più elevato d’Italia, ma – citando l’Ispra – per la «tendenza alla riduzione che quest’anno subisce un’inversione di tendenza e la crescita delle superfici artificiali raggiunge livelli mai registrati prima». Roma, Venezia e Milano sono i tre capoluoghi di Regione con l’aumento maggiore di coperture artificiali nel 2022. 

Ispra

A confermare l’emergenza (perché di emergenza si tratta) sul consumo di suolo in Italia è stato anche il report di Legambiente – realizzato in collaborazione con Ambiente Italia e Il Sole 24 ORE – “Ecosistema Urbano 2023”. L’«uso efficiente del suolo» era uno degli indicatori utilizzati dagli esperti per classificare le città italiane in base al loro approccio alla sostenibilità. Nel report si nota che «le città capoluogo decrescono in termini demografici, ma si espandono quanto a occupazione e impermeabilizzazione di nuovo suolo». Nello specifico, Legambiente ha osservato che dal 2017 al 2021 le città capoluogo hanno perso cinquecentotredicimila abitanti abitanti (-2,9 per cento), a fronte di una crescita del suolo consumato per ogni abitante: da 364,8 metri quadri per abitante nel 2017 a 372,1 nel 2021. 

Cultura della soluzione
Nella narrazione sul consumo di suolo c’è ancora poco spazio per le soluzioni. Queste devono essere “basate sulla natura” (si chiamano, non casualmente, nature based solutions), costano relativamente poco e si possono applicare anche in corso d’opera, non per forza in fase di pianificazione. Un esempio calzante, ma purtroppo scarsamente applicato in Italia, è quello del drenaggio urbano sostenibile.

Come funziona? Si toglie l’asfalto scavando (depavimentazione) e si creano delle aree composte da ghiaia, piante, terra battuta. In questo modo, l’acqua piovana in eccesso – accumulata durante una forte precipitazione – viene assorbita, filtrata dalle piante e destinata alle falde, scongiurando potenziali crisi idriche, evitando allagamenti e favorendo la biodiversità: si ottengono tre benefici in un colpo solo. Con un suolo impermeabile, tutto ciò non sarebbe possibile. Uno dei casi più virtuosi in Italia è a Bovisio Masciago, in Brianza, e anche la riqualificazione di piazzale Loreto, a Milano, prevede la realizzazione di un sistema di drenaggio urbano sostenibile (Suds). Ma, come detto, si tratta di esempi isolati. 

Elena Granata, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano che ha appena pubblicato un nuovo libro (“Il senso delle donne per la città”, Einaudi), ci ha più volte spiegato che le nature based solutions non si sono ancora integrate nella nostra cultura: «Ogni Comune dovrebbe poter fare un bilancio di ciò che riesce a mettere in campo in termini di ripristino della natura e di “desigillazione” dei suoli. I tecnici e gli amministratori locali devono capire che, investendo in questo costo marginale, si possono evitare rischi e danni economici ancora più elevati». In Nord Europa questi interventi sono l’anima dei progetti di rigenerazione urbana, mentre in Italia domina la solita resistenza all’innovazione. 

Ovviamente non esistono solo la depavimentazione e i Suds. In tante città del nostro continente, infatti, stanno nascendo tunnel sotterranei e bacini di raccolta, soprattutto in corrispondenza dei cosiddetti flooding hotspots, ossia le zone dove è più probabile che la risorsa idrica si accumuli in caso di piogge intense. Da non sottovalutare anche la rigenerazione dei terreni degradati, ovviamente attraverso tecnologie bio-based e non impattanti sull’ambiente e sulla salute. 

In Italia, il consumo di suolo cresce in quanto alimentato da un circolo vizioso: «I Comuni devono incrementare l’utilizzo di suolo per avere introiti da utilizzare non solo per le opere pubbliche e per le manutenzioni straordinarie, ma anche per la spesa corrente con la quale pagano servizi i cui costi aumentano esponenzialmente a seguito dell’espansione dell’edificato», ha scritto l’Ispra qualche anno fa. La cementificazione, insomma, è ancora troppo competitiva per le amministrazioni locali e nazionali: l’obiettivo è riequilibrare i rapporti di forza e ridare alla natura un nuovo valore, prima che sia troppo tardi. 

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