La catastrofe immane del 7 ottobre ha cambiato profondamente la strategia militare di Israele. Per la prima volta nella sua storia, infatti, il governo dello Stato ebraico subordina i tempi della sua reazione militare – che sarà durissima e risolutiva – ai tempi della diplomazia internazionale. Infatti, sono passati ben dodici giorni dall’eccidio di millequattrocento israeliani, un enorme dispositivo militare con intere divisioni di carri armati, blindati e truppe di terra è posizionato ai confini di Gaza, ma l’invasione non inizia. Sono i tempi complessi e convulsi della diplomazia a determinare l’azione militare. Azione che Israele intende definitiva, per «estirpare Hamas da Gaza», come ha detto il ministro dell’intelligence israeliano Gila Gamliel. Diplomazia che vede il presidente americano Joe Biden volare a Gerusalemme per concordare tempi e modi dell’attacco israeliano.
Per cinquantacinque anni, Israele ha agito in perfetta, algida, solitudine: forte della fondamentale alleanza con gli Stati Uniti, ha calibrato le proprie iniziative militari unicamente sui propri piani d’attacco e di vendetta. Ha sempre ignorato i “se” e i “ma” dell’Europa – il generale Charles De Gaulle nel 1967 sfiorò l’antisemitismo nel rimproverarla di questa alterigia –, non si è mai curata dei riflessi delle sue operazioni sull’opinione pubblica occidentale. E ha pagato un prezzo salato per questa scelta.
Dal 7 ottobre 2023, la svolta. La strategia militare dell’operazione “Spada di ferro” ingloba ora nelle sue direttrici un’attenzione profonda e vigile per i riflessi delle azioni militari sull’opinione pubblica internazionale. Inclusa quella araba. E della Cisgiordania. Con la evidente intenzione di non rompere la sottile tela di accordo tessuta con alcuni paesi arabi con gli Accordi di Abramo e soprattutto di potere riprendere, terminata la guerra di Gaza, le trattative avviate con la fondamentale Arabia Saudita.
Impresa complessa. A differenza delle quattro spedizioni precedenti contro Hamas, che hanno avuto l’obbiettivo limitato di indebolire il suo apparato militare, ma non di più, la nuova sfida è sradicarla completamente da Gaza, schiantarla.
Un’operazione che prevede a grandi linee anche l’assetto futuro di una Striscia di Gaza non più controllata e governata da Hamas.
Quindi, per la prima volta – lo stratega della svolta è palesemente l’ex capo di Stato Maggiore, il generale Benny Gantz – Israele si raccorda alla comunità internazionale, in primis agli Stati Uniti, poi all’Egitto e a quella minoritaria parte dell’Europa che è senza ipocrisie al suo fianco, ben rappresentata da Ursula von der Leyen (e da Emmanuel Macron e Giorgia Meloni), per evitare che la popolazione civile di Gaza paghi un prezzo troppo alto della guerra.
Le direttrici delle operazioni sono implicite nell’esortazione ai civili di abbandonare Gaza City e di ritirarsi a sud del Wadi Gaza, il piccolo fiume che divide in due la Striscia, e nel creare strutture umanitarie di accoglienza per i profughi.
Nel far questo, Israele preme sull’Egitto e accetta in pieno le pressioni americane perché si mobiliti largamente la comunità internazionale, Onu in testa, per dare alloggio, acqua, viveri, tendopoli al milione e più di profughi palestinesi in fuga.
Uno schema strategico inedito con i tempi di una operazione militare mai vista subordinati alla messa in sicurezza della popolazione civile, e che prefigura anche l’assetto della Striscia una volta finita l’attività bellica.
Concentrato il grosso della pressione aggressiva su Gaza city, estirpata Hamas, pagando un enorme prezzo di sangue, liberati gli ostaggi superstiti, è evidente che Israele rifugge alla prospettiva di rioccupare in modo permanente la Striscia.
La soluzione, in fieri, è dunque delineata, già da prima dell’inizio delle operazioni: la comunità internazionale, l’Onu, la Lega Araba troveranno un assetto concordato per impedire il riarmo di Hamas.
L’attacco terroristico del 7 ottobre non può e non deve essere un problema di Israele, che ne paga il prezzo di sangue. La comunità internazionale deve farsi carico del potere esercitato su Gaza in futuro. Questo ha chiaro Israele e agisce di conseguenza. Ne è consapevole pienamente l’amministrazione Biden, ma non un’Europa divisa e debole che guarda solo alle elezioni europee del 2024.