In Italia, dalla Costa d’Avorio arrivano chili di caffè, barili di greggio e migliaia di persone. Nel 2023 i migranti ivoriani sbarcati sul territorio italiano sono al momento quindicimila: la nazionalità più rappresentata insieme a quella guineana. Con il decreto di marzo 2023, poi convertito in legge, la Costa d’Avorio è stata aggiunta – insieme a Gambia, Georgia e Nigeria – alla lista dei «Paesi di origine sicuri». L’elenco si riferisce agli Stati i cui cittadini non hanno, in linea generale, necessità di protezione internazionale. Eppure, dalla Costa d’Avorio si emigra. Le persone che lo fanno, in accordo con le procedure accelerate alla frontiera, hanno poco tempo e poche possibilità di ottenere un permesso di soggiorno. Le norme però sono di dubbia legittimità.
Negli ultimi vent’anni in Costa d’Avorio ci sono state due guerre civili: la prima cominciata nel 2002, la seconda a seguito delle elezioni del 2010, in cui è stato eletto Alassane Ouattara, ancora oggi presidente. Tre mandati nonostante il limite costituzionale di due e le proteste dei partiti di opposizione. Anche se nel 2023 non ci sono conflitti armati, quello raccontato dai migranti ivoriani in Italia, è un Paese politicamente instabile, da cui le persone cercano di andare via per trovare lavoro e condizioni sociali migliori.
Per inserire uno Stato nell’elenco dei «sicuri» – spiega Filippo Venturi, giurista al Sant’Anna di Pisa – bisogna valutare tre elementi che devono valere «in via generale e costante»: l’ordinamento giuridico, il sistema politico democratico e la situazione politica generale. La valutazione finale deve consentire di dichiarare che in quel Paese «non sussistono atti di persecuzione o tortura».
Gli Stati membri dell’Unione europea possono, ma non sono obbligati a fare questa lista. L’elenco è nazionale: ogni membro dell’Unione decide quali Paesi considerare «sicuri». In Italia ad occuparsene è il ministero degli Affari esteri, insieme a quello dell’Interno e della Giustizia.
Il primo elenco è del 2019. Il successivo ampliamento di marzo 2023. I Paesi inclusi sono sedici: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e poi, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia e Nigeria, che sono gli ultimi aggiunti. «Molti di questi sono Stati non democratici o dove i diritti civili e sociali non sono garantiti. La scelta del governo di includere nuovi quattro Paesi è evidentemente di tipo politico o, meglio, rivolta a considerare sicure quelle nazioni da cui provengono molti richiedenti asilo, indipendentemente dal fatto che lo siano effettivamente», afferma Dario Belluccio, avvocato e membro del consiglio direttivo dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi).
Le sue dichiarazioni sono confermate dall’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (Euaa) che in un report di dicembre 2022 afferma: «Gli Stati tendono a designare un Paese di origine come sicuro quando ricevono un significativo numero di richiedenti asilo da quel Paese. Di conseguenza, le differenze negli elenchi nazionali riflettono in certa misura le differenze nei paesi di origine dei richiedenti asilo nei paesi dell’Unione europea».
Volendo guardare l’erba del vicino, la Germania ha una lista di nove Paesi, la Francia di tredici, Malta di ventiquattro, la Spagna non ha alcuna lista. Nigeria e Costa d’Avorio compaiono solo nell’elenco italiano.
A raccontare a Linkiesta alcune delle criticità dell’elenco approvato dal governo italiano è Thomas Vladimir Santangelo, socio dell’Asgi. «Come avvenuto nel 2019, anche per l’aggiornamento del 2023, le valutazioni che hanno portato all’individuazione e alla conferma dei Paesi sicuri non sono state allegate al decreto e non sono state rese pubbliche le informazioni riguardanti le eccezioni previste per particolari aree del territorio o categorie di persone, come invece dovrebbe essere per legge». L’Associazione ha quindi chiesto ai ministeri di competenza l’accesso civico alle schede relative ai Paesi inclusi nel decreto. Il risultato? Le ha ottenute con l’oscuramento di alcune parti.
Per i migranti di queste nazioni però le criticità sono anche di carattere pratico. «Chi viene da un Paese della lista dei sicuri va incontro a una procedura per l’esame della protezione internazionale diversa dal regime procedurale ordinario per tre aspetti – spiega Venturi del Sant’Anna – il regime dell’onere della prova, cioè come si può dimostrare la necessità di ottenere protezione internazionale; i tempi della procedura di valutazione della richiesta di asilo e l’efficacia sospensiva dell’impugnazione giudiziale, ovvero la sospensione temporanea dell’esecuzione della decisione del giudice qualora si facesse ricorso».
Per ottenere protezione internazionale, un migrante che proviene da un Paese della lista dei «sicuri» deve riuscire a dimostrare la sussistenza di «gravi motivi». I tempi però sono brevissimi. Soprattutto perché il decreto Cutro stabilisce che le domande di asilo delle persone provenienti da Paesi considerati sicuri, possono essere fatte direttamente alla frontiera, seguendo una procedura accelerata. «Significa che, appena arrivati in Italia, devono consegnare alla questura la documentazione che attesti i gravi motivi per la protezione», afferma l’avvocato Belluccio dell’Asgi.
Consegnati i documenti, la richiesta di asilo viene esaminata dalle Commissioni territoriali. In attesa della risposta – secondo la nuova disciplina nell’ambito della procedura accelerata alla frontiera – il migrante di un Paese «sicuro» che non ha con sé il passaporto, ha due possibilità: essere trattenuto in uno stato di detenzione amministrativa o versare una somma di denaro, una garanzia finanziaria che consente di aspettare la risposta in libertà. Alternative entrambe illegittime, secondo il tribunale di Catania che, il 29 settembre 2023, ha accolto i ricorsi di alcune persone tunisine arrivate a Lampedusa. Così come illegittimo è l’automatismo con cui viene respinta la richiesta di protezione internazionale di un migrante che proviene da un Paese della lista dei «sicuri».
Quando le domande sono rifiutate, segue l’espulsione che è l’atto amministrativo o giudiziario con cui si obbliga lo straniero a lasciare il territorio nazionale, a cui può seguire il rimpatrio. Funziona? Secondo Belluccio «l’inclusione di un Paese nella lista dei sicuri non è collegata alla maggiore o minore facilità di rimpatriare, perché questo dipende innanzitutto dalla collaborazione delle autorità consolari del Paese di cui la persona straniera è cittadina».
Il rischio di questa lista è l’aumento del numero di persone che restano irregolari, prive di permesso di soggiorno e quindi senza possibilità di avere un contratto di lavoro o di locazione, di contribuire al sistema previdenziale e al fisco. In una spirale che avvantaggia solo le economie sommerse.