È il 1923. A Ronco, frazione di Cortina d’Ampezzo, terminano i lavori di una pista da bob modernissima, dotata di tubazioni idriche interrate ricoperte d’erba e – in occasione delle Olimpiadi invernali del 1956 – raggi infrarossi dell’Agip per riscaldare le tribune. Un dedalo ghiacciato in mezzo ai boschi delle Dolomiti, ma anche un capolavoro di ingegneria accolto con entusiasmo. Nel 1928 l’impianto debutta in occasione dei Campionati mondiali universitari invernali, mentre nel 1936 è il turno della prima delle quattro ristrutturazioni.
Una storia, quella della pista successivamente intitolata al bobbista Eugenio Monti (1928-2003), costellata da manifestazioni di altissimo livello e decessi durante le gare (Toni Pensperger nel 1966 e James Morgan nel 1981) e le riprese di pellicole cinematografiche (lo stuntman Paolo Rigon per il film “Solo per i tuoi occhi”, parte della saga di James Bond).
Arriviamo così al 2008, l’anno della chiusura: troppo alti i costi di gestione e manutenzione, esattamente come gli investimenti necessari per omologarla allo skeleton. Ed ecco l’ennesima grande opera caduta in disuso, abbandonata in mezzo alla natura incontaminata.
Undici anni più tardi, nel 2019, viene però pubblicato il masterplan dei Giochi olimpici e paralimpici invernali di Milano-Cortina 2026, che vuole ridare un’altra possibilità a un impianto che non si è quasi mai rivelato profittevole in termini economici. L’obiettivo è ricostruirlo grazie a un investimento iniziale di cinquanta milioni di euro, successivamente lievitato a quota centoventiquattro milioni (senza contare i successivi costi di gestione a carico dei contribuenti, circa 1,5 milioni ). Le gare di bob, slittino, skeleton e parabob – a quanto pare – si disputeranno lì, ma il fallimento pare annunciato: il tempo passa, le gare d’appalto rimangono deserte e le proteste si accendono.
Nel dubbio, disboschiamo
Per quanto riguarda bob, slittino e skeleton, gli iscritti alla Federazione italiana sport invernale (Fisi) sono meno di cento. Cosa significa questo dato? Tolte le Olimpiadi invernali ed eventuali manifestazioni nazionali o internazionali, la pista verrebbe ricostruita per soddisfare le esigenze di poche decine di persone. La struttura avrebbe quindi un impatto turistico pressoché irrilevante, a differenza di quello ambientale.
Gli ottocentosette giorni di lavoro (stima ufficiale del bando) richiederebbero l’abbattimento di duecento larici storici, pari a venticinquemila metri quadri di vegetazione. Ma non parliamo solo di disboscamento: al netto delle emissioni dovute ai trasporti, la pista da bob necessiterebbe di sostanze chimiche per la refrigerazione e di acqua, tantissima acqua per il ghiaccio. La stima è di tremila metri cubi prelevati da un acquedotto comunale già in sofferenza per la carenza di precipitazioni.
Con il passare dei mesi, l’impianto si è trasformato in una questione di orgoglio nazionale, contraria alle esigenze del territorio e al modo di vivere la montagna nell’epoca dell’emergenza climatica. Un’altra opera finanziata per gli interessi dei pochi, a discapito dei molti. Cortina, come spiega lo scrittore Marco Albino Ferrari, autore del libro “Assalto alle Alpi” (Einaudi, 2023), «è un’isola separata da tutto il resto, i prezzi sono troppo alti, gli affitti irraggiungibili, e parte della popolazione è costretta al pendolarismo perché non può più vivere a Cortina».
Alzare la voce è utile
I residenti chiedono accessibilità e prezzi umani, trasporti efficienti e soldi da investire per una riconversione del turismo montano, anziché sull’accanimento terapeutico degli sport invernali. Stando ai primi sondaggi, il cinquantacinque per cento pensa che la nuova pista non sia una priorità, mentre circa il sessanta per cento ritiene troppo elevato l’impatto ambientale del progetto. Molti di loro erano tra le mille persone scese in piazza il 24 settembre, a Cortina, per ribadire l’assurdità di un progetto morto ancora prima di nascere. La manifestazione dello scorso mese è stata sostenuta da decine di associazioni: dal Club alpino italiano (Cai) a Ci sarà un bel clima, passando per Legambiente, Extinction rebellion, Fridays for future e Protect our winters.
«La nostra preoccupazione principale è che qui inizino i lavori, ma che – visti i tempi strettissimi – non finiscano. La pista da bob non ci serve, l’abbiamo chiusa nel 2008 perché era anti-economica rispetto a quanto rendeva. Cortina deve stare attenta, perché tra un po’ non potrà più ospitare molta gente», racconta Marina Menardi (Comitato Civico di Cortina) in un video di Cristina Guarda (Europa verde), la consigliera regionale veneta che si è opposta con maggior fermezza alla realizzazione dell’impianto.
Le proteste sono state fondamentali per accumulare ritardi su ritardi, e il risultato è quello ormai noto a tutti: il Cio (Comitato olimpico internazionale) e il governo italiano hanno alzato bandiera bianca a meno di novecento giorni dall’avvio dei Giochi. Su comunicazione dell’esecutivo, il presidente del Coni Giovanni Malagò ha annunciato che la pista da bob di Cortina non si farà. Secondo Repubblica, Roma avrebbe dovuto investire altri cinquanta-sessanta milioni, riformulare il bando e trovare un’azienda disposta a tuffarsi in questa impresa. I costi totali, insomma, avrebbero superato i centoquaranta milioni: una cifra oggettivamente insensata per un progetto così incerto.
Le gare di bob, slittino e skeleton si svolgeranno all’estero, dato che è stata scartata anche l’opzione di Cesana, in Piemonte. Probabilmente, la competizione non toccherà Innsbruck (Austria), la cui pista dista meno di duecento chilometri da quella di Cortina d’Ampezzo. I motivi sarebbero due: il primo, secondo Repubblica, sarebbe legato all’enorme quantità di ammoniaca utilizzata dall’impianto di refrigerazione; il secondo è di natura economica, perché il contributo richiesto all’Italia si aggira tra i 12,5 e i quindici milioni di euro. Ma l’Unione nazionale comuni comunità enti montani (Uncem), rappresentata dal presidente nazionale Marco Bussone, si è schierata per la soluzione austriaca. L’opzione più plausibile, accolta favorevolmente anche dal sindaco milanese Beppe Sala, rimane quella St. Moritz (Svizzera) e della sua Cresta Run, la pista da bob realizzata in ghiaccio naturale.