«È la fine di tempi oscuri, è la fine del dominio del PiS, ce l’abbiamo fatta». Donald Tusk rivendica la vittoria alle elezioni politiche in Polonia. L’ex premier e presidente del Consiglio europeo e leader del partito Piattaforma civica può esultare davanti ai suoi sostenitori, nella sede del partito: «Ha vinto la democrazia, ha vinto la libertà, ha vinto la nostra amata Polonia. Questo giorno sarà ricordato nella storia come un giorno luminoso, la rinascita della Polonia».
Il Paese sembra aver voltato pagina in quelle che rischiano di essere le elezioni più importanti della sua storia recente. Secondo gli exit poll Piattaforma civica raggiunge il 31,6 per cento (quindi centosessantatré seggi al Sejm, la Camera bassa, dati di Gazeta Wyborcza). Al suo fianco i centristi di Terza via hanno il tredici per cento (cinquantacinque seggi) e la Nuova sinistra l’8,6 per cento (trenta seggi seggi). Se questi numeri fossero confermati l’opposizione avrebbe 248 seggi, cioè più di quanti ne abbia la coalizione di destra al governo oggi.
Diritto e Giustizia sarebbe ancora primo partito in Polonia, con il 36,8 per cento dei voti e duecento seggi. Ma non avrebbe la maggioranza sufficiente per governare. Neanche se affiancato dall’ultradestra di Konfederacja, che si ferma al 6,2, solo dodici seggi. Non è abbastanza per formare un governo. Jarosław Kaczynski, presidente del PiS, sottolinea il risultato del suo partito ma deve ammettere che «non sappiamo cosa succederà per la formazione del governo. Abbiamo davanti a noi giorni di lotta e di tensioni». Poi, aggiunge: «Sia che siamo al potere sia che siamo all’opposizione, continueremo a realizzare il nostro progetto e non permetteremo che la Polonia venga tradita».
Tutti i risultati e le reazioni si basano ancora solamente sulle previsioni, su quello che dicono gli exit poll. E anche se gli exit poll rispecchiassero poi il conteggio definitivo dei voti, potrebbero passare settimane prima che il prossimo governo polacco prenda forma. Stanley Bill, docente di Studi polacchi all’Università di Cambridge, scrive che forse sarà necessario aspettare addirittura fino a fine novembre prima che l’attuale opposizione abbia la possibilità di formare un nuovo esecutivo. Andrzej Duda potrebbe dare prima un’occasione al PiS, che comunque ha la maggioranza relativa, e nel frattempo potrebbero succedere molte cose. Anche per questo anche il minimo margine d’errore degli exit poll rispetto ai risultati ufficiali potrebbe cambiare di molto lo scenario politico.
Big decision ahead of President Duda. If exit polls are right, PiS is largest party (200 seats), but opposition coalition has majority (248). Who will Duda give first shot at forming government? If he sides with PiS, they could delay opposition taking power for many weeks. 1/
— Stanley Bill (@StanleySBill) October 15, 2023
Il dato più certo, e forse anche uno dei più interessanti, è che ai seggi in tutto il Paese, nonostante il freddo, si sono formate sin dall’alba di domenica code lunghissime per il voto: la voglia di cambiamento ha prodotto la più grande affluenza di sempre, che ha toccato il settantadue per cento.
Una vittoria – confermata – dell’opposizione porterebbe un cambiamento enorme nel Paese, a livello politico, economico, sociale, dopo otto anni in cui Diritto e Giustizia ha cercato di governare con piglio orbaniano, non riuscendoci sempre, scontrandosi più volte con l’Unione europea per la questione dello Stato di diritto.
Sul fronte internazionale, e primo tra tutti sul fronte ucraino, se Donald Tusk avesse la possibilità di formare un nuovo governo ci sarebbe un cambiamento sostanziale. Meno di un mese fa l’esecutivo di Mateusz Morawiecki aveva gettato la maschera della solidarietà e – complici le tensioni legate all’importazione del grano ucraino – aveva annunciato un nuovo embargo unilaterale contro Kyjiv, in un provvedimento draconiano in cui la Polonia aveva trovato come unici sodali europei Ungheria e Slovacchia. Non proprio i campioni della democrazia occidentale. «Non trasferiremo più armi all’Ucraian, perché stiamo dotando la Polonia di un arsenale più moderno», aveva detto il premier, dimostrando che l’afflato europeista e solidale con il Paese invaso dalla Russia era solo di facciata.
Una vittoria di Tusk e dei suoi alleati, con conseguente formazione di un governo finalmente non populista e non conservatore sarebbe una buona notizia anche per le donne polacche, che da anni devono fare i conti con la repressione del PiS sul diritto all’aborto. Un percorso di radicale indurimento iniziato con la sentenza del 28 ottobre 2020 della Corte Costituzionale, diretta espressione dello stesso PiS, che ha nominato ben cinque giudici, rendendo il confine tra potere esecutivo e giudiziario sempre più sfumato. La sentenza del 2020 ha dichiarato incostituzionale l’interruzione di gravidanza in caso di malformazione del feto, lasciando la possibilità di abortire solo nei casi in cui la gravidanza metta in pericolo la vita o la salute della donna o quando questa sia vittima di stupro. In tutti gli altri casi, le donne devono fare da sé.
Una vittoria del fronte progressista produrrebbe una trasformazione anche sul piano energetico e ambientale. La Polonia è un Paese ancora profondamente legato al carbone, ma come ha scritto Ajit Niranjan sul Guardian, Diritto e Giustizia si era schierata senza troppi indugi al fianco dell’industria del carbone. Il partito ha promesso ai lavoratori che potranno continuare a estrarre il combustibile fossile più inquinante fino al 2049. Eppure l’Agenzia internazionale per l’energia spera che i Paesi industrializzati chiudano tutte le centrali a carbone entro il 2030 per mantenere il riscaldamento globale entro l’obiettivo degli 1,5 gradi. Prima delle elezioni, Piattaforma Civica aveva dichiarato che punterà a produrre – entro il 2030 – fino al sessantacinque per cento dell’elettricità del Paese da fonti rinnovabili.