Domani è oggiCostruire il futuro con le lenti della demografia

Come spiega il rettore della Bocconi Francesco Billari nel suo saggio per Egea, le tendenze demografiche influenzano (e a loro volta sono influenzate) da politiche, economia, cultura e società

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Sul fatto che l’Italia abbia un grande problema demografico sembra esservi un’inusuale convergenza di opinioni, dal presidente Mattarella ai leader di tutti i partiti, da Confindustria ai sindacati dei lavoratori. Questa condivisione della diagnosi a livello bipartisan è molto importante, ed è forse la migliore notizia: occorre portare la demografia al centro della nostra attenzione per «dare un futuro alle giovani generazioni». Lo ha fatto la Francia, creando una corazzata della ricerca demografica che ha contribuito con analisi e proposte. Lo ha fatto la Svezia, con un sistema di welfare stabile e basato da diversi decenni sulla raccolta di dati per la valutazione dell’effetto delle politiche.

Porre il problema demografico al centro: questo ha condotto la Francia a creare l’Institut National d’Études Démographiques (Ined) con sede a Parigi, ancor oggi il più grande istituto di ricerca al mondo sul tema. I francesi si preoccupano della lenta crescita della loro popolazione nel secolo che conduce alle due guerre mondiali. Dal 1861, per esempio, Germania, Italia e Spagna crescono con un ritmo annuo tra il sei e il sette per cento, mentre la Francia cresce solo di poco più dell’uno per cento all’anno. Per questo i francesi, che partono con una popolazione simile ai tedeschi a metà dell’Ottocento, si trovano con quasi venti milioni di abitanti in meno, superati anche dagli italiani. 

L’Ined viene fondato nell’ottobre 1945, alla direzione Alfred Sauvy, il creatore dell’analogia dell’orologio, che tra l’altro suggerisce le prime misure politiche a sostegno della famiglia e della natalità. L’Istituto segue un approccio basato sui dati, sui contributi provenienti da più discipline e sulla rilevanza della demografia per la politica, la società e l’economia. Anche per questo la base delle politiche demografiche francesi è rimasta invariata nei decenni malgrado l’alternanza delle coalizioni: soprattutto in ambito di politiche per le famiglie, la Francia viene descritta come best practice. 

Il numero medio di figli per coppia nel dopoguerra non è mai sceso sotto 1,7. Nel 2022 sono nati settecentoventiremila bambini: il paese d’Oltralpe è vicino a doppiare l’Italia come nascite in un anno. La popolazione francese, che fino al 1985 era inferiore a quella italiana, ha continuato ad aumentare e nel 2022 è a sessantotto milioni, di quasi dieci milioni superiore a quella italiana nello stesso anno.

Anche la nascita del welfare state dei paesi scandinavi scaturisce dalla diagnosi di un problema demografico. Siamo tra le due guerre mondiali, non lontani dal periodo di fondazione dell’Ined. Come per la Francia, la bassa crescita o più esplicitamente la bassa fecondità preoccupano la Svezia: già nel 1925, al netto della mortalità, il numero medio di figli per donna non assicura la riproduzione delle generazioni, e nel 1936, quando non è ancora scoppiata la seconda guerra mondiale, la Svezia tocca un minimo di 1,73 figli per coppia. Il tasso di natalità svedese è il più basso al mondo, almeno per quanto risulta dai dati dell’epoca. 

Dopo varie analisi, Alva e Gunnar Myrdal (entrambi premi Nobel, lei per la Pace, lui per l’Economia) pubblicano nel 1934 il volume Kris i befolkningsfrågan (La crisi nella questione della popolazione), un bestseller per i tempi. I coniugi Myrdal illustrano l’importanza delle tendenze recenti della fecondità, discutendo le possibili conseguenze di un declino della popolazione ed esaminando potenziali risposte politiche.

Il dibattito pubblico che segue conduce nel 1935 alla costituzione di una Commissione Reale sui temi della popolazione, con la partecipazione di esperti. La Commissione propone innanzitutto di rispondere alla «crisi di popolazione» partendo da una diagnosi, con un censimento per costituire una base fattuale; successivamente, pubblica studi e suggerimenti di politiche innovative. 

La Svezia inizia così a sviluppare un welfare particolarmente votato alla compatibilità tra lavoro e vita familiare, all’eguaglianza tra generi, e con una grande enfasi sul benessere dei bambini e dei giovani, fino alla scuola e all’università. Inoltre, gli svedesi, che dal XVIII secolo già dispongono di registri delle nascite, dei matrimoni, dei decessi, giungono a sviluppare un sistema statistico e di valutazione delle politiche senza pari, diffuso poi negli altri paesi nordici. 

Dal 1947, utilizzando il «numero di identificazione personale» (il nostro codice fiscale, per intenderci), i «registri di popolazione» permettono di collegare i dati sulle misure di welfare con gli esiti demografici, sanitari, le carriere lavorative, le condizioni economiche e gli esiti scolastici dei beneficiari. In questo contesto, il numero medio di figli per coppia nel dopoguerra non è sceso in Svezia sotto gli 1,5. La popolazione svedese non è mai calata, ed è oggi di quasi 10,5 milioni.

Da “Domani è oggi – Costruire il futuro con le lenti della demografia” di Francesco Billari, Egea, 144 pagine, 13,99 euro

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