La classe non è Coca ZeroI treni, il golf macchiato e l’inesistente medietà del lusso

L’amore tra Mike Nichols e Diane Sawyer sbocciato nella lounge del Concorde, le fermate di Lollobrigida e i potenti di questo miserando paese che viaggiano in prime classi che paiono seconde

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La coppia più bella di fine Novecento, quella formata da Mike Nichols e Diane Sawyer, s’incontrò a Parigi, nella sala d’attesa del Concorde. Lei cercava di nascondersi perché veniva da notti insonni al capezzale della madre, che stava riportando a New York dopo che aveva avuto un problema al cuore, ma lui la vide lo stesso e il resto è storia.

Diane Sawyer racconta che quel mattino, devastata dalla stanchezza, aveva indossato un golf macchiato, e quindi questa dovrebbe essere la storia del grande amore che trionfa su tutto, anche sul golf macchiato – che, sulla giornalista più bella della televisione mondiale, faceva comunque miglior figura d’un vestito inappuntabile su noialtre mortali.

Ma invece è, per come la vedo io, la storia di: dove s’incontrerebbero oggi Nichols e la Sawyer? Oggi che la medietà del lusso è inesistente, e o puoi permetterti l’aereo privato o finisci su un Ryan Air sul quale un golf macchiato è il minore dei problemi?

Qualche settimana fa il New York Times ha pubblicato un articolo sui club dove si trovano i ricchi di New York, quelli che (giustamente) vogliono vedere solo altri ricchi, non gente che elemosini un prestito, un invito in barca, una notte di lenzuola stirate nella stanza degli ospiti. Insomma: quelli che magari avresti trovato nella sala d’attesa del Concorde ma certo non li trovi a bere Coca Zero nei bicchieri di carta nella sala d’attesa del Frecciarossa.

Una cosa che accomuna tutti questi club e che mi fa sempre molto ridere anche nelle di essi versioni inevitabilmente squalificate che esistono persino a Roma, una cosa che mi delizia è che tu non paghi una quota da ricco e poi hai finito di pagare, come accadeva col tennis club di quand’ero piccola.

Tu tanto per cominciare paghi cifre con cui compreresti un appartamento. Ricopio dall’articolo del NYT: all’Aman, hotel di proprietà d’un gruppo svizzero fondato da un indonesiano, per accedere sono duecentomila dollari iniziali, e poi quindicimila annui per mantenere l’iscrizione. Ma, a quel punto, mica il resto non lo paghi.

Cioè, tu gli dai dei soldi per potergli dare dei soldi. Paghi il privilegio di poter pagare, che magari a New York è vero privilegio, non come qui dove abbiamo versioni in saldo del concetto di lusso. Per accedere alla sala d’attesa del Frecciarossa, se non hai un biglietto di executive o una tessera con tot punti sopra, puoi pagare venti euro: la Coca Zero più costosa della tua vita, eppure una cifra da miserabili.

(Non è vero, sono ingiusta a dire che solo la Coca Zero: da qualche mese, la mestizia delle sale d’attesa è stata alleviata da piccole cose da mangiare e persino qualche bottiglia di vino. L’investimento temo sia stato fatto rendendo i biglietti “base”, quelli comprati a prezzo pieno per poterli cambiare a piacimento, praticamente immodificabili: è ormai impossibile cambiarne uno senza misteriose differenze di prezzo. Una piccola truffa che finanzia il fatto che non più di sola Coca Zero si viva nella lounge).

L’ultima volta che sono stata in una lounge Trenitalia è stato la mattina in cui dovevo andare a un festival letterario. Avevo un treno che, fosse stato puntuale, sarebbe arrivato in città un’ora e un quarto prima della mia presentazione. Era una scelta spericolata, ma per ragioni che mi vergogno di specificare non avrei potuto prendere il treno precedente (dovevo andare a farmi la piega, il parrucchiere non apriva in tempo per farmi prendere il treno prima: lo so, pensavate avessi delle vite da salvare come mio solito).

Sul binario, i monitor davano prima venti minuti di ritardo, poi trenta, poi quaranta. Quando i minuti sono arrivati a settanta, e la situazione da grave s’è fatta seria, dopo aver avvisato il festival che probabilmente quella del mio libro sarebbe stata l’unica presentazione alla quale mancava l’autrice, sono andata alla sala d’attesa onde scoprire se sapessero da cosa dipendesse quel crescente ritardo. Lo sapevano.

Tutti i treni erano fermi fuori Bologna giacché, mi ha spiegato l’impiegato che l’aveva probabilmente già spiegato ad altri cento viaggiatori smaniosi, sui binari c’era un fuggitivo: era scappato da un tentativo d’arresto e ora la polizia stava cercando di riprenderlo.

La sua collega ha interrotto la spiegazione dicendo che le sembrava incredibile che non riuscissero ad acciuffarlo; lui ha risposto che dovevano andarci cauti perché, se si fosse fatto male, sarebbe stata responsabilità loro; io e la collega, in spontaneo coro, abbiamo detto che se non si levava di mezzo andavamo a fargli male noi (è incredibile quali cose si possano dire senza che nessuno s’indigni quando si è donne e si pianificano lesioni a uomini).

Quando il bandito è stato infine rimosso dai binari, il treno è arrivato in stazione così velocemente che ho rischiato di perderlo, sono corsa dalla lounge al binario e sono arrivata a destinazione con cinquantanove minuti di ritardo, che credo siano il massimo che Trenitalia è disposta a dichiarare. (Ma perché quest’anno si sono estinti i treni puntuali? È per permettere ai battutisti stracchi di dirci, risatissime, che fascisti sono mai se i treni non arrivano in orario?).

Tutto questo per dire che il fuggitivo inseguito come nei film su Alcatraz ce l’ho avuto, e l’anno scorso ho avuto pure il treno in ritardo di un’ora perché era morto d’infarto qualcuno prolungando la sosta a Firenze. Mi manca l’annuncio «siamo in ritardo perché il ministro ha richiesto una fermata personalizzata», ma se fosse capitato mentre su quel treno c’ero io avrei avuto la stessa domanda che già posi a proposito di Alain Elkann.

Va bene che il Concorde non esiste più, ma è mai possibile che i potenti di questo miserando paese viaggino in prime classi che paiono seconde, a tariffe che non saranno neppure piene (cosa la fai piena a fare, tanto non te la fanno cambiare gratis), come noialtri poveretti?

Essendomi persa il treno lollobrigido, in ritardo come tutti gli altri ma più discusso di tutti gli altri, mi resta solo una domanda cui spero che i biografi della nazione vogliano rispondere. Nella sala d’attesa in cui incontrò il futuro padre dei suoi figli, Arianna Meloni indossava per caso un golf macchiato?

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