ScaricabarileL’Italia sta perdendo la scommessa del Pnrr

Nel loro saggio sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (uscito per Feltrinelli), Tito Boeri e Roberto Perrotti affrontano il tema dei fondi europei per il rilancio dell’economia dopo la pandemia, analizzando le criticità che riguardano spesa e riforme

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Siamo in ritardo nell’attuazione del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Mentre il tempo disponibile per la sua realizzazione si riduce, è già da parecchio in atto lo scaricabarile fra i tre governi che lo hanno sin qui gestito – Conte II, Draghi e Meloni – nell’attribuirsi reciprocamente le colpe di questi ritardi. Inoltre la retorica sul Pnrr è cambiata, tanto che, da grande opportunità e occasione irripetibile per il paese, il Piano sembra essere diventato una sorta di obbligo cui non ci si può sottrarre, un incubo per chi è al governo.

I ritardi di attuazione sono innegabili e sono al centro del dibattito, ma a nostro avviso questo non è il problema principale. Dopotutto, se si trattasse di investimenti e riforme davvero risolutivi un anno in più o in meno farebbe poca differenza. Ci sarebbe qualche screzio con la Commissione europea, ma sarebbero incidenti di percorso, che verrebbero presto dimenticati. Il vero problema, di cui si parla molto meno, è come spendere bene questa enorme quantità di denaro che stiamo per la maggior parte prendendo a prestito, e quanto spenderne. L’Italia è di gran lunga il paese che ha ricevuto più risorse dal programma europeo NextGenerationEU che alimenta il Pnrr. Solo una decina di paesi ha chiesto un prestito, e solo tre di essi – tra cui l’Italia – hanno chiesto il massimo possibile. In totale ci siamo indebitati per ben 123 miliardi, cui vanno aggiunti i 69 miliardi di sovvenzioni, e altri 45 di fondi italiani ed europei. In totale 237 miliardi da spendere entro il 2026, una cifra enorme in tempi strettissimi.

La scommessa è che gli investimenti finanziati da queste risorse, e le riforme di sistema previste dal Pnrr, aumentino il tasso di crescita dell’economia italiana, permettendo non solo di non aumentare il rapporto fra il nostro debito pubblico e il prodotto interno lordo, ma addirittura di ridurlo. Una vittoria su tutti i fronti. È una scommessa scolpita nei principali documenti di finanza pubblica, che prevedono una forte accelerazione della crescita nei prossimi anni grazie alla «spinta proveniente dagli investimenti e dalle riforme previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza». Stiamo vincendo o perdendo questa scommessa? In che misura ci sono stati errori nella progettazione del Pnrr? Era davvero necessario prendere a prestito così tanti soldi? Quanto erano realistici gli obiettivi che ci siamo posti? Abbiamo davvero creato le condizioni per realizzare un piano di investimenti pubblici senza precedenti? Saremo in grado di attuare le riforme fondamentali per la riuscita del Pnrr? Come sono ripartite le responsabilità degli errori fra i tre governi che si sono sin qui succeduti nella gestione del Pnrr? Quali i possibili correttivi? […]

Il Pnrr ha molti aspetti positivi: si basa su strumenti per l’emissione di debito a livello europeo, affronta alcuni problemi annosi e alcune carenze evidenti del nostro paese, e lo fa introducendo un approccio rigoroso con tempi e modi ben scanditi, che le pubbliche amministrazioni sono tenute a rispettare se vogliono evitare di perdere i fondi loro assegnati. A scanso di equivoci, i due scriventi non sono assolutamente contrari agli investimenti pubblici, anzi. Come in tutte le cose, però, non conta solo il quanto, ma soprattutto il come. E qui il Pnrr presenta a nostro avviso numerose criticità […]: 1) l’Italia ha voluto prendere a prestito troppo; 2) ha avuto troppo poco tempo per programmare come spendere queste risorse e ha troppo poco tempo per spenderle efficacemente; 3) ha fatto affidamento su riforme che non tengono conto della realtà, e sono quindi destinate a fallire o sono già fallite; 4) non ha pensato al “dopo 2026”, quando la grande abbuffata del Pnrr cesserà ma le strutture create con i suoi fon- di andranno mantenute e gestite anno dopo anno, pena il degrado in poco tempo, e quando tante spese correnti dovranno tornare al loro livello normale, do- po un’effimera fiammata di soli tre anni; 5) ha sbagliato (in questo errore hanno in parte pesato i vincoli che ci sono stati imposti dall’Europa) nell’attribuire solo una piccola quota delle risorse a quello che riteniamo il problema principale del nostro paese, l’emarginazione e il degrado sociale.

Non vale a questo riguardo l’obiezione secondo la quale l’obiettivo del Pnrr era stimolare la crescita anziché l’integrazione sociale. Primo, perché il recupero di fasce di popola- zione in condizione di emarginazione sociale può avere effetti importanti sul tasso di scolarizzazione e sulla disoccupazione, dunque sulla crescita. Secondo, perché non esiste solo il tasso di crescita, ma anche il benessere emotivo, l’autostima e più in generale la vita sociale, emotiva e intellettuale della next generation che vive nelle centinaia di quartieri problematici del nostro paese. Recentemente abbiamo sentito un esponente del governo Draghi presentare la seguente metafora: il Pnrr si propone obiettivi e tempi irrealistici intenzionalmente, per dare una “visione” che ispiri e motivi, esattamente come si prende una persona che ha sempre corso i 100 metri in 15 secondi e la si motiva con il sogno di correrli sotto i fatidici dieci secondi. Noi crediamo invece che questa metafora illustri bene i problemi del Pnrr, piuttosto che i suoi pregi. Prendere una persona di una certa età che non è mai andata sotto i 15 secondi e portarla in poco tempo a 10 secondi è semplicemente impossibile, va contro le leggi della fisica.

Insistere con questo obiettivo impossibile è uno spreco, e può essere addirittura controproducente perché sottrae risorse a interventi futuri, ne mina la credibilità e riduce l’autostima e la motivazione delle amministrazioni coinvolte. Diverso è se si co- struiscono impianti di atletica semplici ma funzionali, li si mantiene in efficienza anno dopo anno, si assumono allenatori e assistenti e si crescono nuove generazioni con pazienza e continuità: qualche bravo centometrista emergerà, e anche quelli meno bravi avranno comunque fatto dello sport salutare per il fisico e la socializzazione, in semplicità e senza proclami. Esattamente l’opposto di buona parte del Pnrr, che promette grandi riforme abortite sul nascere, spesso si risolve in una fiammata di spesa – peraltro non sempre ben concepita – e raramente pensa a come fare funzionare la macchina dopo il 2026. […]

A questo proposito ci si permetta un’osservazione finale, che può sembrare una nota di costume ma è molto di più. Una certa differenza tra il linguaggio pubblico e quello privato è inevitabile, ma nel corso di questi ultimi anni non abbiamo potuto fare a meno di notare quanti “fautori” del Pnrr esprimessero in privato dubbi e critiche diametralmente opposti ai toni trionfalistici che assumevano in pubblico. Non un buon punto di partenza per un dibattito razionale, informato e trasparente.

Da “PNRR. La grande abbuffata”, Tito Boeri e Roberto Perrotti, Feltrinelli, 208 pagine, 17,10 euro

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