Un gruppo armato libico accusato di torture, detenzioni arbitrarie, riduzione in schiavitù, protagonista di respingimenti illegali verso la Libia con l’aiuto dell’Agenzia Frontex. È questo il risultato più eclatante emerso, tra vari, da un dettagliato report di Lighthouse Reports al termine di un’inchiesta congiunta cui hanno contribuito anche Al Jazeera, Syrian Investigative Reporting for Accountability Journalism (Siraj), Malta Today, Le Monde e Der Spiegel e che ha richiesto mesi di ricerche sul campo, decine di interviste e un attento studio della documentazione di operazioni condotte dalla polizia di frontiera dell’Unione Europea.
Secondo il report, in varie occasioni nel corso del 2023, le coordinate Gps rilasciate da Frontex sono finite nelle mani della Tareq Bin Zayed, una milizia libica gestita da Saddam Haftar, il potente figlio del generale Khalifa Haftar (l’uomo forte del governo della Cirenaica, non riconosciuto dalla comunità internazionale, opposto a Tripoli, ndr), nota per essere tra le più attive organizzazioni di traffico di esseri umani e artefice di respingimenti illegali di migranti intercettati in acque europee e riportati in Libia.
Dopo lo scandalo dei maltrattamenti di migranti e dei respingimenti illegittimi nell’Egeo che ha travolto e costretto alle dimissioni il direttore Fabrice Leggeri ad aprile del 2022 e le denunce di un anno fa di Human Rights Watch che accusava l’agenzia di utilizzare le strumentazioni di sorveglianza per informare prevalentemente la guardia costiera libica, rendendosi così complice delle intercettazioni e delle consegne dei migranti ai famigerati centri di detenzione in Libia, Frontex è di nuovo accusata dalle organizzazioni umanitarie.
Questa volta, però, la denuncia è ancora più infamante: non si tratterebbe, infatti, solo di dialogare con la Guardia costiera libica e sostanzialmente appaltare alla stessa le operazioni di salvataggio in mare che si risolvono sempre in intercettazioni e riconsegna alle autorità libiche (azioni considerate da giuristi e Ong gravemente lesive del diritto internazionale e marittimo poiché non si può in nessun caso considerare la Libia porto sicuro, ndr) ma addirittura di favorire organizzazioni criminali.
La Tareq Bin Zayed è già nota all’Unione europea per la sua attività criminale. Un rapporto del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), l’organismo dell’Unione che gestisce le relazioni diplomatiche con altri Paesi al di fuori dell’Unione europea, afferma che la Tareq Bin Zayed è notoriamente sostenuta da mercenari sudanesi e dai miliziani russi della Wagner. La sola remota possibilità che una simile organizzazione – che da maggio ad oggi ha riportato nei lager libici oltre mille migranti – possa, essere direttamente o indirettamente collegata a Frontex, fa gridare allo scandalo e alimenta il timore che l’agenzia si stia trasformando nello strumento più efficace per bloccare ogni afflusso di migranti verso l’Europa.
«La strategia di Frontex – non ha dubbi Klaas van Dijken, Lighthouse Reports, uno dei giornalisti autori del rapporto – è quella di tenere il maggior numero possibile di migranti lontani dai confini europei a ogni costi. Sono ormai diventati esperti a non infrangere le leggi e se capita, riescono ad aggiornare di continuo il loro modo di evitare denunce o sanzioni. Sanno che non possono comunicare con le guardie libiche e che i respingimenti sono illegali e lasciano ad altri il compito di fare il lavoro sporco. E poi approfittano della difficoltà di attribuire responsabilità certe. Il sistema ti permette in un certo senso uno scaricabarile permanente in cui tutti possono prendersela con gli altri: «Noi abbiamo lanciato il mayday – ti dicono – la nostra responsabilità finisce lì« perché il centro di coordinamento dell’operazione da quel momento in poi spetta alle autorità nazionali che lo ricevono. È difficilissimo a quel punto stabilire chi ha fatto il lavoro sporco».
Per comprendere un po’ meglio questo gioco al rimpallo, si può citare un caso riportato nello studio di Lighthouse Reports. La mattina del 26 luglio, Frontex ha lanciato un allarme dopo essersi resa conto del pericolo che correva una imbarcazione partita due giorni prima dalla Libia orientale e che ancora si trovava nella zona di salvataggio della Libia, vicino alle acque maltesi. Ma né le autorità libiche né quelle maltesi, che hanno l’obbligo di condurre le operazioni di ricerca e salvataggio nelle loro aree di responsabilità, hanno risposto alla chiamata. Le immagini marittime mostrano anche che due navi commerciali che navigavano nelle vicinanze non hanno cambiato rotta. È stata invece la Tareq Bin Zayed a rispondere al mayday e a navigare verso l’Europa verso l’imbarcazione in pericolo Sette ore dopo, sebbene la barca fosse entrata nella zona di salvataggio di Malta, sono stati i miliziani ad intercettarla, a salire a bordo e a ordinare ai rifugiati di spostarsi sulla nave della Tareq Bin Zayed. «Frontex – di nuovo van Dijken – ha violato il diritto internazionale secondo gli esperti. Avrebbe dovuto fare di tutto per assicurarsi che chiunque, tranne la Tareq Bin Zayed, si dirigesse verso il natante».
L’inchiesta è riuscita addirittura a denunciare che Malta in alcuni casi sembra svolgere un ruolo diretto. Durante un incidente avvenuto lo scorso agosto, una registrazione audio suggerisce con dettagli che un pilota dell’aviazione maltese ha trasmesso le coordinate di un’imbarcazione in difficoltà alla Tareq Bin Zayed. «È l’ennesima dimostrazione – dice Judith Sunderland, direttrice associata per l’Europa di Human Rights Watch – di una collaborazione indiretta e diretta di Frontex con forze libiche al fine di bloccare l’arrivo di migranti, non di salvare vite. Certo, arrivare a favorire in qualche modo un gruppo criminale tra i peggiori dell’area come Tareq Bin Zayed è clamoroso, ma non pensate che sia molto meglio la collaborazione con la guardia costiera libica, che ormai Frontex ammette liberamente, formata a sua volta da milizie locali più che da operatori addestrati e rispettosi dei diritti, come noi denunciamo da anni».
La questione del salvataggio è cruciale. L’agenzia di frontiera dell’Unione europea, infatti, è preposta al servizio di pattugliamento e sicurezza dei confini, così come alla segnalazione e alla fornitura di assistenza nel caso di avvistamenti di natanti in pericolo di naufragio. Ma sono tanti i dettagli che fanno comprendere come il secondo obiettivo di Frontex sia sempre più marginale. «I mayday – riprende Sunderland – sono strumenti più efficaci una volta avvistato un natante in difficoltà perche arrivano a ogni imbarcazione nell’area, quindi anche Ong e mercantili, e facilitano un intervento tempestivo, e noi di Human Rights Watch insistiamo perché si usino con maggiore regolarità. Ma Frontex ci risponde che vanno usati solo quando c’è un rischio imminente di perdita di vita, cioè ci sono già persone in acqua o la barca sta già affondando. Infatti tra gennaio 2020 e aprile 2022 ne ha lanciati solo ventuno a fronte di oltre quattrecentotrentatré avvistamenti solo nel 2021. Purtroppo, Frontex, che nel frattempo ha ritirato le sue navi e aumentato la potenza di sorveglianza aerea, utilizza i suoi mezzi per avvertire i libici ignorando in gran parte imbarcazioni delle Ong che sono spesso presenti».
Nel frattempo l’agenzia, il cui budget è salito costantemente fino a raggiungere gli ottocentoquarantacinque milioni di euro quest’anno, è sotto esame dell’Ombudsman europeo Emily O’Reilly. Il funzionario investigativo, infatti, ha avviato un’indagine sul ruolo di Frontex nelle operazioni di ricerca e salvataggio in mare, nel tentativo di fare luce sulla risposta dell’agenzia di frontiera dell’Unione europea a una serie di gravi naufragi nel 2023, primo fra tutti quello di Pylos, Grecia, dove nel giugno scorso trovarono la morte oltre ottanta persone.