«L’intelligenza artificiale (IA) è l’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività». Questa è la definizione che l’Unione Europea dà alla disciplina che sta rivoluzionando le nostre vite da oltre cinquant’anni, ma che solo di recente inizia a essere percepita dal grande pubblico nella sua concretezza. E ciascuno, a seconda della propria indole o del proprio background, la accoglie come fonte di opportunità strategiche o di insidiosi pericoli.
Con le dovute precauzioni (quale innovazione tecnologica non ne richiede?), l’IA può rivelarsi un prezioso alleato per tutte le aziende che scelgono di sfruttarne le potenzialità, incluse quelle del settore alimentare. Un settore a cui viene richiesta sempre maggiore flessibilità per far fronte alla volatilità del mercato, ma senza dover rinunciare alla propria sostenibilità economica, e al contempo dimenticare quella ambientale e quella sociale.
Un prodotto qualitativamente ineccepibile – dove la “qualità” va declinata nelle sue molteplici sfaccettature – e un servizio eccellente sono gli ingredienti imprescindibili di un’esperienza gastronomica sufficiente, che può diventare appagante solo quando il livello di personalizzazione dell’offerta incontra quello (incredibilmente esigente) della domanda.
Una ricetta tutt’altro che banale anche per le imprese più navigate: troppi sono i fattori in gioco, ed è praticamente impossibile controllarli tutti, per giunta in tempo reale. Almeno per noi. Ma se esiste una macchina in grado di farlo, perché opporsi? Non è più intelligente guidare la rivoluzione, scegliendo un copilota incredibilmente efficiente, autonomo e preciso?
L’IA si sta facendo spazio a partire dal settore produttivo: ne è un esempio il modello di vertical farming perseguito da Planet Farms, azienda italiana specializzata nella produzione di insalate baby leaf e basilico. I fondatori Luca Travaglini e Daniele Benatoff sono stati i primi a interpretare l’agricoltura verticale ricercando la completa automazione dei processi attraverso tutta la filiera. Tutti i parametri di crescita vengono supervisionati da Gaia VF, il sistema di intelligenza artificiale che documenta il percorso dal seme allo scaffale garantendo una tracciabilità totale.
E se la gestione della qualità in una camera di crescita isolata dall’ambiente esterno può essere relativamente semplice, il monitoraggio degli standard attraverso l’intera catena di produzione richiede particolare attenzione quando il viaggio verso il consumatore finale si fa più tortuoso. In questo scenario complesso l’IA sta contribuendo a rendere più rapidi e accurati i controlli qualitativi e i test antifrode: la startup svizzera Stop Fake Food offre soluzioni che impiegano l’apprendimento automatico per riconoscere i parametri di sicurezza alimentare e verificare la conformità e la composizione dei prodotti in varie fasi della catena di approvvigionamento.
L’identificazione delle sostanze pericolose, la prevenzione della contraffazione, la revisione dell’etichettatura sono solo alcuni dei campi di applicazione di questo portentoso cocktail tecnologico – per giunta economico, non invasivo e facilmente scalabile – che diversamente dai metodi convenzionali è capace di fornire risultati affidabili in pochi minuti.
Mentre qualcuno opera dietro le quinte, altri provano a sfruttare le virtù dell’intelligenza artificiale sotto gli occhi del consumatore. Il 6 dicembre la McDonald’s Corporation e Google hanno annunciato una nuova partnership globale pluriennale finalizzata a integrare una vasta gamma di tecnologie – IA inclusa – in migliaia di ristoranti in tutto il mondo. La catena di fast food statunitense punta a facilitare la gestione dei punti vendita al fine di potenziare piattaforme e attrezzature, e prevenire il loro malfunzionamento: il tutto a beneficio del personale, libero di concentrarsi sull’accoglienza della clientela.
Ma non sono solo le informazioni generate dai macchinari a catturare l’attenzione delle aziende: più interessanti, e probabilmente più utili, sono i dati raccolti dall’esperienza – “socialmente condivisa” – dei consumatori. Sempre più spesso l’interazione con il cibo passa attraverso i media, e capitalizzare i dati che ne derivano è un imperativo finanziario: la profilazione dei clienti garantita dall’IA diventa un asset strategico fondamentale per accattivarsi la fedeltà del pubblico in un mondo pieno di rumore pubblicitario, perché l’iper-personalizzazione di prodotti, contenuti e servizi aumenta (inevitabilmente) la probabilità di vendita.
Starbucks ha abbracciato il marketing one-to-one introducendo Deep Brew: una piattaforma basata sull’IA capace di suggerire ai clienti – ma anche ai baristi, negli store fisici – bevande specifiche identificate sulla base degli ordini precedenti e delle condizioni metereologiche (consigliare un Frappuccino a dicembre non sarebbe del tutto appropriato).
Knorr ha inventato Eat Your Feed per analizzare i post di Instagram e generare ricette sulla base dei gusti degli utenti; e pensando a coloro che fondano le proprie scelte sentimentali sull’affinità gastronomica, ha lanciato la campagna “Love at First Taste” per creare un profilo di gusto personalizzato da condividere sui social media nella speranza di trovare il palato gemello.
Campbell’s Soup e Kellogg’s hanno collaborato con Chef Watson – l’intelligenza artificiale di IBM – per comporre zuppe e granole con ingredienti selezionati direttamente dagli utenti o consigliati sulla base delle loro esigenze nutrizionali.
Dove non arrivano la creatività e l’inventiva dell’essere umano, o almeno non in tempi brevi, possono arrivare quelle delle macchine. Foodpairing è una flavor Intelligence company che digitalizza il profilo aromatico degli alimenti per creare combinazioni di gusto vincenti e sviluppare di conseguenza nuove ricette e nuovi prodotti, come la Philadelphia Milka e le Pringles Roast Beef & Mustard.
E se inventare sapori nuovi può sembrare complicato, replicare quelli esistenti cambiando le materie prime lo è ancora di più. NotCo è un’azienda cilena di food-tech che produce alternative vegetali ai prodotti di origine animale, altrettanto gustose ma più rispettose dell’ambiente. E il merito è tutto di Giuseppe, un motore di intelligenza artificiale che analizza la struttura del cibo a livello molecolare per poi imitarne gusto, odore, consistenza e valori nutrizionali.
Ma c’è un limite? E se esiste, chi può o deve porlo? Il primo quadro normativo dell’Unione Europea è stato proposto nel 2021 con l’obiettivo di «assicurare che i sistemi di IA siano sicuri, trasparenti, tracciabili, non discriminatori e rispettosi dell’ambiente», e precisa che a garanzia e supervisione di ciò non devono esserci automatismi.
Di qui la necessità di formare nuovi leader capaci di affrontare l’impresa 5.0. “Smart Leadership Canvas: come guidare la rivoluzione dell’intelligenza artificiale con il cuore e il cervello” è un libro scritto da Filippo Poletti e Alberto Ferraris, edito da Guerini Next, che presenta nuove teorie manageriali e racconta le esperienze di venti grandi leader italiani proponendosi di aiutare gli amministratori delegati di oggi e di domani a prendere parte consapevole al processo di trasformazione ormai avviato.
La chiave del successo è chiara, anche se di ardua realizzazione: sviluppare il giusto mix di competenze e promuovere una cultura organizzativa orientata alla collaborazione tra persone e macchine, affinché «l’intelligenza artificiale possa assumere il ruolo di co-pilota e l’essere umano quello di pilota della rivoluzione in atto».