AlambicchiConoscere la grappa, goccia per goccia

È il fine pasto italiano per antonomasia, ma troppo spesso la scegliamo, e la beviamo senza l’attenzione che merita: chi la produce e la conosce ci spiega come sceglierla

Particolare degli alambicchi discontinui a vapore delle Distillerie Nonino, Foto Ciol

«La denominazione “Grappa” è esclusivamente riservata all’acquavite di vinaccia ottenuta da materie prime ricavate da uve prodotte e vinificate in Italia, distillata ed elaborata in impianti ubicati sul territorio nazionale». Così si legge nel decreto 28 gennaio 2016 del Ministero delle Politiche Agricole. Qui si definiscono anche le caratteristiche fisiche della “bevanda spiritosa”, oltre alle metodiche di produzione.

Il nome “grappa” è dunque tutelato dal marchio Ig, Indicazione Geografica, che si estende poi ad alcune specifiche zone, come la Valle d’Aosta, la Lombardia, il Veneto, il Trentino o il Friuli.

Il Friuli vanta una tradizione antichissima nell’ambito della produzione della grappa. Il primo documento in cui se ne trova menzione certa è datato 1451: si tratta dell’inventario relativo ai beni di un notaio di Cividale, Ser Everardo, dove compare un alambicco, «ferrum ad faciendam aquavitem». E sono proprio gli alambicchi, cuore della produzione, a fare la differenza, insieme alla selezione delle materie prime, quando si parla di qualità della grappa.

Questione di distillazione
«La distillazione delle vinacce – si legge ancora nello stesso decreto – è la prima fase di elaborazione della “Grappa”. La distillazione delle vinacce, che possono essere fermentate o semifermentate, avviene direttamente mediante vapore acqueo, oppure dopo l’aggiunta di acqua nell’alambicco insieme alle vinacce. Gli impianti di distillazione possono essere di tipo continuo o discontinuo, essi tipicamente sono composti da uno o più alambicchi, o da apparecchi per la disalcolazione, cui segue una separazione degli alcoli in colonna di distillazione, e un raffreddamento per ottenere la condensazione dei vapori alcolici».

Particolare della campana di distilleria delle Distillerie Nonino

Il processo produttivo qui descritto può variare in alcuni passaggi, che fanno davvero la differenza. Il più importante è il metodo di distillazione utilizzato. «Sono i dettagli che contano. Da cinque generazioni la nostra famiglia lavora al cento per cento con metodo artigianale, usando il metodo di distillazione a vapore discontinuo».

A parlare è Antonella Nonino, che illustra il metodo di lavorazione seguito nell’azienda di famiglia: «Cinque distillerie artigianali consentono di distillare contemporaneamente alla vendemmia: le vinacce, appena raccolte, vengono immesse in tini d’acciaio per la fermentazione che dura dai tre ai sei giorni; la raccolta avviene lo stesso giorno della vendemmia».

Il metodo discontinuo prevede la distillazione di piccole quantità di materiale per volta, con un’interruzione tra una distillazione e l’altra, e richiede il coinvolgimento sensoriale del mastro distillatore, la cui sapienza rende unica ogni cotta, ogni ciclo di distillazione.

L’impianto di distillazione con apparecchio continuo-industriale, invece, è completamente automatico, tarato a priori e prevede una continua alimentazione dell’apparecchio di distillazione con la materia prima, che viene immessa senza che il distillatore abbia la possibilità di intervenire nel corso dell’operazione. L’acquavite che se ne ottiene sarà neutra.

Vinacce fresche
Altro passaggio fondamentale per ottenere un prodotto di qualità è la lavorazione delle vinacce fresche: «La vinaccia, giunta nelle Distillerie Nonino, viene immediatamente diraspata e immessa in tini di acciaio inossidabile per effettuare la fermentazione a temperatura controllata in ambiente anaerobico. Chi segue un procedimento diverso si trova a gestire fermentazioni secondarie nella materia prima, che portano a elevate concentrazioni di alcol metilico, e che obbligano all’utilizzo della colonna di demetilizzazione. Questa però denatura il prodotto. Di qui la nostra scelta, sicuramente impegnativa e costosa, in termini economici ma anche di tempo e di fatica. Una scelta che però ripaga ampiamente quando si guarda alla qualità».

Sono proprio le scelte di qualità artigianale che hanno portato la grappa a trasformarsi da bevanda da osteria, simbolo della Grande Guerra e dell’epopea degli alpini, a prodotto da intenditori: proprio il Friuli è parte di quel territorio in cui la grappa è nata ed è sempre esistita, il Triveneto e, dall’altra parte, il Piemonte. In queste zone la grappa è parte della cultura.

«Ma negli anni Settanta i miei genitori Giannola e Benito – spiega Antonella Nonino ­– si sono resi conto che la grappa veniva snobbata. Così iniziano ricerche ed esperimenti, per ottenere la grappa più buona del mondo e dimostrare che questo distillato nulla ha da invidiare ai vari cognac o whiskey. E nell’annata 1973-1974 creano la prima grappa Monovitigno® rivoluzionando tutto il settore. Lavorando le vinacce dell’uva Picolit separatamente dalle altre vinacce, Giannola e Benito ottengono un distillato elegantissimo che conserva le caratteristiche del vitigno di origine; alla Grappa Monovitigno® Picolit sono seguite il Monovitgno® Ribolla, il Fragolino, il Moscato, il Merlot e anche le Riserve come il Prosecco, che seguono un invecchiamento rigorosamente naturale in barriques e vengono imbottigliate senza aggiunta di caramello».

1973-2023, il Monovitigno® Nonino compie 50 anni

Acquistare, scegliere e degustare
Tantissimi sono gli Italiani che comprano al supermercato: e la grappa più venduta nella grande distribuzione organizzata è la Candolini, marchio della Fratelli Branca Distillerie. E sappiamo che il consumatore si è fatto via via più attento e consapevole, benché i canali di acquisto siano diversi quanto lo sono i gusti e le possibilità economiche: si va dalle enoteche ai negozi specializzati, dagli e-commerce di bevande agli shop online delle distillerie, senza contare la possibilità di andare a degustare e ad acquistare proprio in distilleria, direttamente dal produttore.

E quando si visita una distilleria è facile farsi guidare nella scelta dal produttore, come quando al ristorante o al bar ci facciamo aiutare da sommelier, camerieri e barman. Bisogna comunque avere una base minima di conoscenza per selezionare una grappa che ci soddisfi.

La prima domanda che ci viene fatta se ordiniamo «Una grappa» è spesso «Secca o morbida?». Si tratta di una semplificazione estrema, e in parte fuorviante. «L’espressione “morbida” è una sorta di calco sul tedesco mild, che ha un significato molto preciso: indica cioè che si vuole un prodotto dolce».

È Bruno Pilzer a parlare, al timone delle distillerie Pilzer in Trentino: con la sua esperienza nella produzione artigianale di grappa ci spiega che «Tutto dipende dalla buccia; è la parte più esterna del chicco di uva, la più profumata e colorata, perché la natura l’ha destinata ad attirare gli animali affinché prendano il frutto e portino in giro il seme. È questa parte che il distillatore ha a disposizione, e con cui può creare grappe più o meno profumate, e più o meno morbide.

Faccio un esempio: la vinaccia di Müller-Thurgau dà una grappa morbida per natura; ma il distillatore può rendere dolce una grappa aggiungendo fino a un massimo di venti grammi per litro di zucchero. È legale, ma non è facile ricreare un equilibrio, e la dolcezza che sentiamo in bocca può a volte poi riflettersi in bruciori allo stomaco».

Per questo Pilzer sconsiglia di limitarsi a chiedere una grappa morbida: «Meglio chiedere una grappa distillata da vinacce di uve bianche, e fare degli esempi come Fiano, Greco, Chardonnay o Nosiola, che hanno grandi profumi ed eleganza. Se le vinacce arrivano da uve rosse, la grappa avrà sensazioni più intense. L’unico consiglio che posso dare è di guardare le etichette, cercare, documentarsi».

Il produttore che lavora con cura riporterà in etichetta anche informazioni che non sono richieste per obbligo di legge, con chiarezza, senza ambiguità, perché la qualità è qualcosa di cui vantarsi. «Ormai è abitudine per i distillatori dire ai barman o ai ristoratori quali sono le grappe morbide nella loro produzione. Ma non basta. Anche dire che la grappa rispecchia le caratteristiche del vino è vero solo in parte, perché alcuni tratti tipici del vino non passano nella grappa, perché sono dovuti alle fermentazioni.

La correlazione tra il profumo delle uve e il profumo della grappa è più diretta di quella presente tra uve e vino, perché si distilla la buccia, spesso sede di tanti profumi, e le fermentazioni intervengono in maniera meno determinante. Ma quando le vinacce fermentano si aggiungono altri profumi, come quello di lievito o di frutta.

La sensazione di morbidezza è data anche dall’uso di vinaccia fresca, che ha ancora una piccola parte del suo mosto di partenza o parte del suo vino, da una vinaccia umida, che non è stata lavorata e sfruttarla all’estremo. Ricordiamo anche che una grappa perfetta spesso non dà emozioni, è troppo lineare».

Particolare degli alambicchi discontinui a vapore delle Distillerie Nonino

Altra domanda che viene spesso posta, semplificando, è se chi ordina desidera una grappa «Bianca o scura»: «La grappa bianca è giovane, non invecchiata. Il colore è dato dal contatto con il legno, che dà i suoi profumi e incrementa quelli della grappa. La grappa bianca non ha visto il legno, ma le mie grappe riposano comunque per almeno un anno nell’acciaio. Occorre anche tenere conto che per fare una buona grappa si possono mescolare più annate diverse ma dello stesso vitigno, come si fa per fare il vino base degli Champagne».

Insomma, per una scelta consapevole, la strada giusta è sempre informarsi, leggendo e parlando con chi la grappa la produce, senza dimenticare di assaggiare lasciandosi guidare dal proprio gusto e olfatto, per scoprire, nel bicchiere di grappa, storie e territori.

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