Paghe basse, lavoro nero, stipendi fuori busta, giornate infinite tra tavoli e fornelli. Contro la fuga di cuochi e camerieri dai ristoranti italiani, da quasi quattro anni l’azienda torinese Restworld sta provando a rendere più «umano» questo lavoro, selezionando solo gli annunci migliori e provando a risollevare la fama di un settore centrale per l’economia italiana. Spingendosi fino a realizzare un manuale destinato agli imprenditori, “Step By Step”, per provare ad applicare la settimana lavorativa di cinque giorni su sette anche in cucina. Un lusso per pochi in Italia, visto che sette ristoranti su dieci oggi lavorano sei giorni a settimana con un solo giorno di riposo. E l’80 per cento degli operatori lavora più di quaranta ore settimanali.
«Io e gli altri fondatori della società veniamo dalla psicologia del lavoro, accomunati dalla passione per la ristorazione», racconta Luca Lotterio, ceo di Restworld. «Ci siamo chiesti perché nessuno consiglierebbe al proprio figlio o figlia di fare il cameriere nella vita». Le motivazioni, certo, sono note. «Però volevamo capire cosa si poteva fare».
Così nasce Restworld, partendo dalla creazione di una piattaforma per l’incrocio di domanda e offerte di lavoro “certificate”, ovvero quelle che rispondono a un preciso codice etico sulla regolarità dei contratti, ritmi di lavoro tracciabili e inclusività. A ogni ristoratore viene fatta un’intervista con cinquantacinque domande standard, sulla base delle quali si valuta l’offerta lavorativa proposta.
L’avvio di Restworld risale al 2020, esattamente due settimane prima dell’esplosione dell’emergenza sanitaria legata al Covid. I ristoranti chiudono. E quando riaprono, i camerieri e i cuochi non si trovano più. Diventa evidente che, mentre il resto del mondo cambiava, la struttura imprenditoriale dei ristoranti italiani è stata incapace di aggiornarsi.
«Siamo nati proprio nella tempesta perfetta», ammette Luca. «Quando i ristoranti hanno cominciato a riaprire, la nostra idea è stata quella di offrire non la solita piattaforma di annunci, ma qualcosa che creasse valore da entrambe le parti, proprio in un momento in cui veniva denunciata la carenza di manodopera».
Il team di Restworld è composto prevalentemente da psicologi del lavoro, tutti giovanissimi, che aiutano da un lato i ristoratori a comprendere quali figure stanno cercando per il proprio staff e dall’altro i candidati a capire se quelle opportunità sono adatte o meno a loro.
«Una volta comprese tutte le ben note problematiche settore», dice Lotterio, «quello che noi facciamo è concentrarci sulle soluzioni. E il primo punto su cui abbiamo deciso di lavorare è proprio quello dei turni della ristorazione». Partendo da una constatazione: sebbene si tratti di un comparto ad alta intensità di lavoro, la produttività delle imprese di ristorazione italiane è decisamente bassa. Nel 2022 si è attestata a 58, ovvero il 42 per cento sotto il valore medio.
«Il nostro primo manuale “Step By Step”, realizzato con Studio Necchio, prova a risolvere proprio questo gap, proponendo la riduzione della settimana lavorativa a cinque giorni su sette. Cosa che in Italia è rarissima. Mentre negli altri Stati europei i due giorni di riposo sono la normalità», dice Lotterio. «Nel testo, forniamo la “cassetta degli attrezzi” per arrivare a questo obiettivo, spiegando che con un giorno libero in più si ha più tempo per la famiglia e per i propri hobby, e si arriva al lavoro con più tranquillità e meno stress. Per le imprese, questo significa avere persone più motivate, che potenzialmente possono far crescere anche i fatturati».
Le ricerche dicono che un cameriere più felice e più soddisfatto del proprio lavoro può vendere un dolce in più a fine pasto perché è più motivato. Si riducono le richieste di permessi e pure le malattie legate allo stress.
E in un momento di grande carenza di manodopera, una settimana di lavoro paragonabile a quella di amici e coetanei può attirare nuovi candidati. Soprattutto i più giovani. I dati raccolti da Restworld dicono che, a parità di ruolo, stipendio e geolocalizzazione, per le posizioni lavorative che prevedono cinque giorni su sette si ricevono dal 40 al 350 per cento di candidature in più rispetto alle offerte di sei giorni.
«Nel manuale spieghiamo che il “si è sempre fatto così” non vale. Il cambiamento è possibile, se si fanno tutta una serie di piccole cose», spiega Lotterio. «Non serve rivoluzionare la gestione».
Tra i consigli forniti, c’è in primis la migliore gestione dei turni. «Spesso i turni nella ristorazione vengono fatti ancora su fogli di carta, imposti dall’alto, senza un sistema flessibile per scambiarli», spiega Lotterio. «E per il servizio spesso si fanno pacchetti di fasce orarie senza declinare meglio cosa c’è in queste fasce. Non sempre c’è bisogno di tutte quelle risorse per tutte quelle ore. Alcuni potrebbero arrivare prima e staccare prima, altri arrivare dopo e staccare dopo».
Anche la tecnologia, ovviamente, può aiutare a ottimizzare il lavoro. Qualche esempio? Un Qr code per permettere di pagare direttamente dal tavolo, senza fare la fila in cassa o richiedere la presenza del cameriere al tavolo con il Pos. O anche una piattaforma che faccia arrivare direttamente le comande in cucina, riducendo i passi percorsi ogni giorno dai camerieri.
«Ottimizzando i tempi del lavoro, si aumenta la produttività e ci si può concedere un giorno di riposo in più», dice Lotterio. «Un’altra soluzione, poi, è quella di avere più persone nel proprio staff per farle ruotare meglio. È un aumento dei costi? Dipende. Se consideriamo le ore lavorate come costo, così facendo le ore lavorate restano uguali, se non di meno».
La peculiarità della ristorazione italiana è che, anche in questo comparto, prevalgono le piccole imprese. Nel 59,5 per cento dei casi si tratta di imprese a vocazione familiare con uno-cinque dipendenti. L’imprenditore in oltre il 90% per cento dei casi è anche un lavoratore nel proprio ristorante o bar. Nel Regno Unito, per fare un paragone, la metà delle imprese della ristorazione sono catene in franchising. In Italia, questa tipologia di aziende sono solo l’8 per cento.
«Sicuramente le catene in franchising hanno maggiore possibilità di ottimizzare i processi e i costi, massimizzando dei guadagni», dice Lotterio. «Però non è vero che la piccola ristorazione non può permettersi di offrire condizioni di benessere ai propri lavoratori. L’85 per cento dei nostri clienti è composto da aziende che hanno meno di 15 persone all’interno del loro staff. Ai piccoli ristoranti dico: invece di fare i pagamenti fuori busta, trasformino quei soldi in welfare. Non spenderebbero di più e agirebbero nella legalità, creando valore».