Gentile signor Bartolini, che poi non si chiama più Bartolini ma BRT, neanche fosse un trapper, e quindi non so bene come rivolgermi a lei, forse col vocativo «signor consonanti», come sta? Io ho i piedi freddi e gli occhi struccati, e di ciò la ritengo responsabile.
Lasci che le parli, signor consonanti, del mio portiere. Il mio portiere è l’unica persona efficiente che abbia incontrato in questo secolo. È l’unica persona equipaggiata di voglia di lavorare che io conosca, e quindi, quando qualche mese fa gli ho detto che dovevo ricevere un qualche pacco ma Bartolini sosteneva l’indirizzo non esistesse, ha sospirato: ma se consegnano qui cento cose al giorno.
E che non lo so. Ogni tanto (raramente: si vede che si servono di corrieri che non sono quello del signor consonanti) mi capita con Amazon: mi dicono che il corriere gli ha detto che l’indirizzo non esiste, e io divento pazza. Mi consegnate pacchi tutti i giorni allo stesso indirizzo, il giorno che un corriere sfaccendato si sveglia e dice che quell’indirizzo è inesistente, prima di venire a lamentarvi con me che avrei sbagliato il mio stesso indirizzo, non vi viene in mente di strigliare lui? Certo che no.
Ora, caro signor consonanti, chiunque abiti in questo secolo ha storie di corrieri che hanno detto di essere passati senza trovare nessuno e non sono mai passati, o storie di compagnie telefoniche che ti abbandonano senza connessione. È mia convinzione, al netto del mio avercela in questo preciso momento proprio con te, che in generale funzioni in quel modo che tanti anni fa irritava Nanni Moretti: siete tutti uguali.
Il giorno che Carmine o Astolfo non trovano parcheggio, non ti consegnano il pacco e mentono sostenendo che non eri a casa: dipende dai parcheggi, mica dal fatto che Carmine o Astolfo lavorino per Ups, per Dhl, o per te, caro signor consonanti. Allo stesso modo le aziende che ti forniscono una connessione vanno tutte bene, finché non si rompe qualcosa; quando si rompe qualcosa, l’assistenza fa democraticamente schifo per tutti.
D’altra parte io vent’anni fa pagavo ottocento euro a bimestre solo di cellulare, adesso con ottanta euro a bimestre sto connessa tutto il giorno sia dal cellulare sia da casa: possiamo pretendere che la qualità sia la stessa? Vent’anni fa farmi consegnare due libri da Amazon mi costava diciotto dollari di spedizione: adesso, se qualcuno mi dice che c’è un costo per la spedizione di qualcosa, fosse pure di due euro, m’indigno e non compro quel qualcosa. Possiamo pretendere che Carmine o Astolfo, ai quali non ho pagato la spedizione, siano efficienti?
Insomma, caro consonanti, io tendo a credere siate tutti uguali, e non voglio avere pregiudizi per il fatto che la tua azienda, caro consonanti, abbia sede a Bologna, patria d’elezione degli sfaccendati, però è un fatto che tu, caro consonanti, hai in ostaggio i miei calzini di cashmere dal 4 gennaio, e le mie matite per gli occhi dal 13 dicembre.
Il tuo servizio clienti non si degna di rispondere alle mail. Dev’essere per quello che il primo risultato per il tuo nome su Google è «come si fa a contattare Bartolini al telefono?», una domanda che è più filosofica che pratica: sappiamo tutti che ormai è impossibile contattare chicchessia al telefono, persino i ristoranti ti fanno passare dalle app per le prenotazioni, un po’ per risparmiare sul personale un po’ per sentirsi moderni (e un po’ perché il mondo è sempre più pieno di gente con la fobia di parlare al telefono, un disturbo psichiatrico che non capisco cos’aspettino a codificare nell’apposito manuale diagnostico).
Mi sembra già di sentire quelli che mi spiegano quanto sono pagati poco e che brutta vita fanno quelli dei servizi clienti (che comunque stanno più comodi di quelli che raccolgono pomodori o puliscono cessi, ma siccome con loro non interagiamo ci preoccupiamo meno di mostrarci empatici).
E qui, caro consonanti, se non ti spiace scansarti un attimo vorrei parlare del servizio clienti di Nabla, quelli che fanno le matite per gli occhi che hai in ostaggio da un mese. Non ce l’ho con Silvia, che – dandomi tenacemente del tu – prima mi copincolla una risposta precompilata che dice che devo aspettare quarantott’ore dalla spedizione prima di poter vedere il tracking – sì, Silvia, ma come le ho scritto è passato un mese – e poi mi dice che è compito mio badare al tracking e non metterci un mese a svegliarmi.
Ce l’ho con Nabla, che avrà pagato qualche consulente dell’internet che ha istruito il servizio clienti a dare del tu alle acquirenti, che così percepiranno calore e s’incazzeranno meno se le loro matite non arrivano, che così non si sentiranno vecchie come accadrebbe se Silvia le chiamasse «signora». Non possiamo evitare di contrattualizzare gente che dovrebbe insegnare alle aziende a stare sull’internet e investire quei soldi per pagare meglio Silvia, pretendendo in cambio ch’ella impari a coniugare la terza persona?
Evidentemente non possiamo o meglio non vogliamo, perché evidentemente le aziende non falliscono quando le loro matite non arrivano e tornano indietro e gli tocca rimborsarle, perché alle aziende nessuno fa causa quando le Silvia del caso dicono che comunque loro non hanno modo di contattare il corriere. Un’azienda non ha modo di contattare il corriere con cui ti spedisce la merce, e la marmotta incarta il cioccolato.
Piccola parentesi che fa pensare io abbia un problema con le aziende di matite per gli occhi. Mesi fa ne compro da Victoria Beckham. Stupende, peccato che il temperino che ti mandano non le temperi. Scrivo al servizio clienti. Mi rispondono con una pappardella precompilata su come posso stringere il temperino con un cacciavite. Cioè: sanno benissimo che mandano in giro dei temperini non funzionanti (due lire per pagare meglio Silvia, ma pure due lire per produrre dei temperini che funzionino: è chiedere troppo?).
Dico: ora me ne mandate un altro. Mi dicono: certo, glielo spedisco subito. Sono passati tre mesi, mai arrivato. Significa che non ho più potuto usare quella matita, significa che l’ho pagata ventotto euro per usarla una volta. Chissà dei miei ventotto quanti ne hanno dati al corriere (e quanti al fabbricante di temperini).
Forse ti ricordi di me, consonanti. Sono quella che mesi fa scriveva al tuo servizio clienti che se non le consegnavano il suo pacco in orario di portineria invece di continuare a passare all’ora di pranzo e meravigliarsi se non c’era nessuno, come non fosse il loro lavoro sapere come funzionano le portinerie, sono quella che scriveva «io vi denuncio», come gli editorialisti fessi quando Vongola75 commenta sui social «ma taci, cretino», e loro promettono querele e fanno immancabili battutine sul fatto che Vongola dovrà pagar loro le vacanze.
Ecco, sappi che, persino mentre lo scrivevo, in fondo al cuore speravo dall’altra parte ci fosse una me che rispondesse «ma per quale reato, quello di tentata consegna in orario di pausa pranzo?». È chiaro che, come disse Berlusconi ai calciatori, «Lo sapete quanto dura in Italia una causa», e nessuno ha tempo e voglia e pazienza di fare causa a nessuno (idea per una puntata di Black Mirror: il reato d’inefficienza che finalmente svuoterebbe Bologna, rendendo però necessaria la costruzione di nuove carceri).
Nell’attesa del dissequestro dei miei calzini (che non si sa dove siano, perché Nabla avrà pure Silvia, che mi ha già detto che sono gran cazzi miei e resterò senza matite che stanno tornando indietro perché consonanti non è riuscito a recapitarmele; ma Calzedonia non ha proprio un servizio clienti contattabile: riusciranno i miei calzini a venire rilasciati da quella grotta in Aspromonte dove sono probabilmente prigionieri?), caro consonanti, proporrei una miglioria al commercio on line.
Che tutti i siti specifichino, nella pagina in cui si finalizza l’acquisto, di che corriere si servono. Dopo questo doppio sequestro, io sono disposta a fare compere solo presso coloro che per la consegna non si avvalgono dei servigi di consonanti, che per tutta la vita (vabbè: per i prossimi tre quarti d’ora) ricorderò come il corriere che mi fece trascorrere un inverno coi piedi gelati.