Normale anomaliaL’inverno che non c’è e le gravi conseguenze dell’estremizzazione climatica

L’Europa occidentale è investita da un anticiclone subtropicale che non va inserito nella cornice del “bel tempo”. Temperature così elevate, associate all’assenza di neve e pioggia, aumentano la probabilità di una crisi idrica estiva e rendono l’aria irrespirabile. Benvenuti nel nuovo clima che non conosce vie di mezzo

Stefano Porta/LaPresse

Temperature superiori di otto-dodici gradi rispetto alla media del periodo, assenza di precipitazioni, stabilità atmosferica. Nell’Europa occidentale, Italia compresa, è come se l’inverno fosse sparito dopo una serie di giornate molto fredde, ma spesso in linea con la stagione attuale. La colpa è di un anticiclone subtropicale che, risalendo dall’Africa settentrionale, in alcune zone della Spagna e della Francia ha portato il termometro a indicare più di venti o venticinque gradi. L’esempio più eclatante è quello di Gavarda, piccolo comune della Comunità Autonoma Valenciana, dove il 25 gennaio la temperatura massima ha toccato i 30,7°C.

Nonostante sia impossibile – al momento – stabilire una relazione diretta tra questo fenomeno e il riscaldamento globale di origine antropica, l’evento è riconducibile al cambiamento climatico in corso da decenni. Le vie di mezzo sono sempre più rare perché si passa rapidamente da un estremo all’altro.

Questa anomalia anticiclonica, che molti siti di news stanno erroneamente e impropriamente chiamando con il nome “Zeus”, è legata alla circolazione atmosferica, anche se il riscaldamento dei mari potrebbe comunque aver giocato un ruolo. Principalmente, però, parliamo della risalita di una massa d’aria molto calda a latitudini anomale. Ecco spiegate le temperature così elevate in zone di montagna dove è facile scendere “sotto lo zero”. A Breuil-Cervinia, che si trova a 2.050 metri sopra il livello del mare, questa settimana sono stati registrati ben otto gradi centigradi. 

Le conseguenze sono preoccupanti non solo per il presente, ma anche per il futuro. E con “futuro” intendiamo la prossima estate, quando l’effetto combinato tra El Niño e il riscaldamento globale potrebbe portare temperature a tratti proibitive. Se il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato, il 2024 potrebbe rivelarsi ancora più rovente

Come spiega a Linkiesta Serena Giacomin, climatologa, meteorologa e presidente dell’Italian climate network (Icn), uno degli effetti di questo ciclone subtropicale è «la stabilità atmosferica, per cui non si hanno perturbazioni di passaggio nell’area interessata. Questo fa sì che non ci siano precipitazioni nevose e piovose». In più, sottolinea l’esperta, «le temperature sono nettamente oltre la norma climatica perché la massa d’aria è più calda rispetto a come dovrebbe essere. Intorno ai 1.500 metri di quota si hanno anche otto, dieci e in alcuni casi dodici gradi in più rispetto alle temperature che dovremmo registrare in questo periodo dell’anno».

Il tema della stabilità atmosferica a gennaio è serio: se non nevica d’inverno, la probabilità di una crisi idrica estiva sale vertiginosamente. Inoltre, la neve accumulata nelle scorse settimane rischia di sciogliersi con largo anticipo a causa delle temperature attuali. Il picco dell’anomalia anticiclonica è previsto nella parte finale di questa settimana, ma il caldo è destinato a durare fino alla fine del mese di gennaio: saranno dei “Giorni della Merla” (29, 30 e 31 gennaio) diversi rispetto al solito. 

Un’altra caratteristica di questo “nuovo clima” riguarda l’abbassamento dello zero termico, ossia l’altitudine in cui la temperatura è di 0°C in atmosfera libera (più si va in alto, più si scende sotto lo zero): «Lo zero termico sulle Alpi occidentali è attorno ai tremilacinquecento metri. Non è climaticamente normale che questo dato schizzi oltre i tremila metri di quota anche durante la stagione invernale. Lo zero termico dovrebbe stare a tremilacinquecento metri durante l’estate, non adesso», spiega Giacomin.

La presidente dell’Italian climate network ha definito le nostre montagne «un hotspot dell’hotspot del riscaldamento globale», perché «se già il Mediterraneo è un’area particolarmente vulnerabile (alla crisi climatica, ndr), le Alpi lo sono ancora di più». Secondo Giacomin, «non abbiamo bisogno di inverni eccezionalmente freddi, ma di inverni che non siano caldi, perché la neve e i ghiacciai devono mantenere e preservare la risorsa idrica per le stagioni più calde». Con questi aumenti di temperatura in alta quota, però, il sistema va in disequilibrio, con impatti anche sulle pianure e i loro sistemi produttivi. 

Come anticipato all’inizio dell’articolo, le condizioni di queste settimane sono un perfetto esempio di estremizzazione climatica, che indica il passaggio repentino tra una condizione climatica estrema a un’altra. Fa molto freddo e poi, dopo pochi giorni, molto caldo. Le ondate di gelo sono quindi possibili anche in pieno riscaldamento globale. 

Fino al 19-20 gennaio si parlava di «freddo artico», mentre oggi in molte zone d’Italia si può camminare per strada con la giacca aperta. La natura è sottoposta a continui shock termici e, al tempo stesso, la capacità umana di adattare i propri sistemi economici e produttivi a quest’altalena climatica si riduce: «Ciò che si osserva a livello di modifica dei comportamenti climatici è che aumentano sia gli estremi di freddo, sia di caldo. Tuttavia, crescono più frequentemente gli estremi di caldo», dice Serena Giacomin. 

aqicn.org

L’ennesima conseguenza del caldo anomalo riguarda l’inquinamento atmosferico. La qualità dell’aria, soprattutto nel nord Italia, sta registrando valori pericolosi per la salute ormai da giorni. In parte è una condizione (tristemente) in linea con la normalità, ma la colpa è anche dell’attuale ciclone subtropicale.

«Le anomalie di temperatura più marcate in termini di caldo le registriamo in montagna, mentre alle basse quote l’aria fredda – che è anche più pesante – tende a stazionare. Sotto un mio post su Facebook qualcuno ha scritto: “Ma io abito a Rovigo e la mattina ci sono le gelate come di consueto”. Questa è una conseguenza del fatto che l’aria fredda tende a stazionare. Dovremmo registrare sempre più freddo in montagna, ma succede il contrario», dice la meteorologa.

Nel bacino orografico della Pianura Padana, con la sua forma a “conca”, si accumula aria fredda, pesante e stagnante, perché la stabilità atmosferica di questi giorni implica l’assenza di precipitazioni in grado di “ripulire”: «C’è una mancanza di ricircolo, quindi l’aria pesante che staziona non fa altro che peggiorare la qualità dell’aria che respiriamo, anche perché in contemporanea continuiamo a emettere inquinanti in atmosfera. In più, non c’è vento e non ci sono correnti d’aria dal basso verso l’alto e viceversa», conclude Giacomin. 

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