Abbiamo parlato innumerevoli volte del tema ristorazione e lavoro: e abbiamo capito quanto sia difficile spiegare il fenomeno, e quanto sia necessario ridare appeal alle professioni di cucina e di sala, che sembrano sempre più lontane dall’odierno modo di vivere e di intendere il lavoro.
C’è qualcuno che, però, ce la fa ad attirare talenti, e a coinvolgerli nella sua attività, costruendo team che funzionano e mettendo in luce le peculiarità di ciascuno. E poi c’è qualcuno che tenta un approccio scientifico al problema, come Tommaso Venturini, che con Silvia Banterle è alla guida di Stilla, un ristorante sperduto nelle colline veronesi, una casa di campagna dei nonni che è diventata luogo di accoglienza e riferimento per la cucina di impronta contemporanea.
Tommaso ha una formazione in comunicazione, e ha mescolato due competenze per stilare una sorta di manuale su cui ha basato il suo lavoro, che ci offre una visione molto personale ma anche molto condivisibile sulla gestione di un ristorante nel momento attuale: una serie di regole che presuppongono una visione più complessa di quella che abbiamo avuto finora, ma che di sicuro offre spunti interessanti per diventare patron migliori e clienti più consapevoli.
Andando a pescare tra le sue indicazioni, abbiamo elencato le principali, che ci hanno colpiti e potrebbero diventare quasi un manifesto per tutte le persone che hanno l’ambizione di fare questo lavoro.
Fondare il proprio brand su identità e valori è la base di partenza: ma la vera rivoluzione copernicana è pensare il ristorante come un brand, e gestirlo come una vera azienda fa la differenza.
Poi arriva uno dei nostri valori di riferimento, quello che raccontiamo e promuoviamo ogni volta che possiamo: essere coerenti su tutti gli aspetti del ristorante è indispensabile perché il progetto abbia valore. Ed è fondamentale che la coerenza si espliciti su tutto: dalle divise, al design, ai social, alla proposta gastronomica, fino ai dettagli non trascurabili come il menu o la prenotazione o l’approccio al tavolo.
E veniamo proprio al servizio di sala. Tommaso consiglia di evitare protocolli statici: se è indispensabile conoscere la sequenza di azioni che possono essere fatte in maniera automatica è altrettanto importante che le procedure siano interiorizzate e diventino personali. «I protocolli, da soli, avranno sempre un punto di rottura, ma strutturare delle linee guida operative è fondamentale per garantire l’efficienza di una professione che si basa sulla gestione dell’imprevisto. Ma occorre lavorare sulla cultura delle persone che lavorano in sala, che saranno più produttive se sposano i valori e l’identità del brand, ci si riconoscono e vi si immergono. La cosa più complessa da fare è iniziare a far ragionare le persone come noi».
Chi “porta i piatti” deve veicolare i messaggi costruiti dalla cucina e per farlo deve avere una giusta consapevolezza, ma anche le competenze corrette. Ma non basta: servono coinvolgimento, una grande propensione all’ascolto e anche una cultura del feedback costante e trasparente. Bisogna essere disposti, da entrambe le parti, a capire e a capirsi, a mettersi in discussione e a comprendere i bisogni. Per questo una formazione costante e un debrief finale dopo ogni servizio diventano strumenti per un miglioramento e una progressione del team, che cresce solo se si confronta. Favorire lo scambio con altri professionisti, siano ristoratori o produttori, ma sempre in ottica di apprendimento, è il necessario team building per chi fa questo lavoro. Come spiega Tommaso, bisogna «Guardare fuori e portare dentro».
Che poi è l’unico vero modo per contribuire nei fatti alla crescita di tutto il settore.