Lo zoo dei ventenniUna collana per Bulla e altre indignazioni di un tempo impazzito

La rivolta social di giovani esagitati che percepiscono come un’ingiustizia che la Rizzoli affidi la scelta di alcuni libri a una tiktoker

AP/Lapresse

«Io Megi la seguo con piacere però ho fatto un master in traduzione letteraria con lezioni di editoria e sta [senz’apostrofo iniziale per segnalare l’elisione di «que»] roba è indecente. La passione per la lettura non ti da [senz’accento per segnalare che è verbo e non preposizione] gli strumenti per gestire una collana, allora io sono ballerina perché mi piace Paso Adelante?».

Io me lo vedo, Elon Musk, che qualche mese fa, davanti al boccione dell’acqua in ufficio, fa come i Duke, i fratelli multimilionari che in “Una poltrona per due” rovinavano la vita a Dan Aykroyd per una scommessa da un dollaro. È come se lo sentissi, Elon: in Italia c’è ’sta Sorcioni che scrive sempre quanto son scemi i giovani, scommettiamo che la convinco che finora era stata troppo ottimista?

Da qualche mese, ogni volta che apro Twitter (o come si chiama ora) mi compaiono ventenni. Ventenni il cui problema è che ai concerti non ti fanno portare la batteria di riserva del telefono e se mi si scarica io senza mappe come torno a casa. Ventenni il cui problema è che dopo i vent’anni è impossibile fare nuove amicizie, e se non lo sanno loro che i vent’anni li hanno passati da ben tre anni.

Ventenni il cui problema è «come si fa a studiare»: giuro, l’altro giorno c’era un’universitaria che proprio non capiva come si facesse a studiare, lei legge un paragrafo e si annoia. Chissà che prestazioni al liceo, ha proprio ragione Calenda che auspica più laureati, più istruzione superiore per tutti, con le mie tasse.

Ventenni che la settimana scorsa si sono offesi moltissimo perché Tananai – uno di cui so solo che fa il cantante e che allo scorso Sanremo si sono messi in quattro a scrivere una sua canzone che conteneva una rima tra «ascoltavamo i Police» e «è arrivata la police» – ha instagrammato un fotomontaggio in cui era grasso.

Il povero Tananai – peraltro pure lui nel novero, avendo ventott’anni: si è ventenni fino ai ventinove – voleva scherzare su di sé che deve rimettersi in forma per Sanremo, e non aveva fatto i conti con l’ira funesta d’una generazione che non solo è incapace di distinguere tra oggetto e bersaglio d’una battuta, ma non sa né l’italiano né l’inglese, però è convinta che l’inglese sia più figo e quindi se può dire «fat shaming» sente d’aver fatto la sua rivoluzione.

Proprio quando pensavo quello dei grassi offesi fosse il picco di scemenza dello zoo dei ventenni su Twitter, è arrivato lo scandalo Rizzoli, intesa come casa editrice non esattamente raffinatissima (dico: ha pubblicato i miei primi due libri, va bene che i ventenni all’epoca erano all’asilo ma insomma dovrebbero disistimarla almeno da allora).

Pare che esista una tizia chiamata Megi Bulla (spero sia un nome finto), la quale ha un TikTok seguito da quattrocentomila e spicci persone. I video mi sembrano tali e quali a tutti gli altri video inutili (TikTok è equamente suddiviso tra video inutili e video ipnotici), ma comunque la Bulla nei suoi filmini amatoriali ha come tema i libri. Poiché l’editoria è il settore più disperato e terrorizzato di perdere il treno della modernità che esista, Rizzoli le avrebbe affidato una collana. Che non vuol dire niente, in pratica: vuol dire che dei libri usciranno col suo bollino (immagino «La biblioteca di Daphne», dal nome del suo TikTok), nella certezza che in quel modo lei li promuoverà su un canale visto quanto un tg, così non deve sbattersi l’ufficio stampa a procurarsi copertura, e nella speranza che le ragazzine abbastanza fesse da fidarsi d’una tiktoker quei libri se li comprino.

È in occasione di questa notizia che scopro, grazie all’algoritmo che Elon ha cambiato apposta per deprimermi, che l’editoria rappresenta per parecchi ventenni esagitati un traguardo mirabolante. Essendo ventenni, percepiscono come ingiustizia che una che fa la scema su TikTok ottenga ciò che desidererebbero loro, che fanno la cosa più inutile e riposante del mondo (essere iscritti a Lettere) eppure rispetto a una che accende la telecamera del telefono si percepiscono minatori.

Nell’elenco d’ingiustizie non meritocratiche, mi colpisce soprattutto una che riferisce d’aver fatto cinque volte colloqui in Mondadori per uno stage a 600 euro, e d’essere stata cinque volte scartata. I ventenni che le rispondono s’indignano, seicento euro, sfruttatori, che schifo, che paese senza speranza, e poi danno la collana a questa improvvisata che non ha neanche fatto la magistrale in editoria.

Io riesco solo a pensare che, se Elon continua a pagare gli hard disk per altri vent’anni, un giorno questa tapina si ritroverà adulta a osservare le prove di quando diceva all’internet che era troppo scarsa per passare un colloquio da stagista, e non le veniva mai il dubbio d’essere scarsa, e chissà se riderà o piangerà della sé che è stata (io rido molto, quando penso a quant’ero scema, e inconsapevole d’esserlo, a vent’anni, ma magari è un limite mio e dovrei piangere; certo, non aver esposto la mia scemenza giovanile al mondo a mezzo social aiuta a disperarsene meno).

«Io ho lavorato 1 anno gratis (tirocinio) per CE per avere competenze pratiche da unire a due lauree umanistiche e vari corsi di editing (mi manca un master specifico, da qui il tirocinio), sperando fosse la partenza di qualcosa. Tanti complimenti ricevuti ma ci si ferma lì»; ma anche: «queste sono le stesse case editrici che non aprono i manoscritti che uno gli invia. sono una scrittrice pluripubblicata e ancora oggi faccio fatica ad arrivare ai ‘grandi editori’ come questi perché non sanno, di fatto, fare il loro lavoro come casa editrice. che tristezza». Clelia, pluripubblicata con 577 follower e sicuramente lo stesso appeal della tizia cui Rizzoli ha fatto un contratto, mi strazia meno di quella cui hanno fatto i complimenti, e alla quale la vita non ha ancora insegnato che, tra un complimento e un’azione, quella che dice il vero è l’azione (in questo caso: non ritenere di darti un lavoro).

L’internet dei ventenni è anche parecchio indignata (e ha conservato gli screenshot, neanche invece che aspiranti editori fossero Basil l’investigacuoco che fa luce sulle pizzerie) ricordando di quando la Bulla comprò il computer nuovo con la colletta tra i follower. Chissà se sanno che l’ha fatto anche un finalista dello Strega. I ventenni contro lo Strega è una saga che Elon per ora mi ha celato.

Il guaio è che, in mancanza d’adulti, nessuno spiega a questi ventenni che il dualismo non è tra la preparazione al mestiere (che credono d’avere loro) e la visibilità (che ha la Bulla, e che può sostituire il conoscere un mestiere). Il dualismo è tra saper lavorare e no, e a lavorare non s’impara all’università: a lavorare s’impara lavorando. L’università non serve a insegnarti un lavoro: serve a tenerti qualche anno, finché non ti si finisce di formare il cervello, in un posto dove tu non possa far danni.

In mancanza d’adulti, che fanno di qualunque cazzata una polemica, e per cui qualunque cazzata equivale a una cosa davvero grave, come fossero ventenni anche loro, chi gliela dovrebbe insegnare la vita a questi derelitti che si sentono professionisti formati perché hanno dato degli esami (in un paese in cui un 30 non si nega neanche a un analfabeta)?

Verranno gli archeologi, e studieranno l’evoluzione della specie umana in questo inizio di secolo. Verificheranno che siamo passati dal 2003, quando gl’intellettuali s’irritavano per le vendite in libreria delle barzellette di Totti, al 2024, quando gli studenti di materie umanistiche si irritano perché nessuno affida loro una collana (o uno stage).

A questo punto, poiché mi piace che i cerchi si chiudano, che siano belli tondi come le «o» in «Boston» secondo Fruttero&Lucentini, spero che Elon mi delizi, a fine mese, con l’indignazione dei ventenni col romanzo nel cassetto: io il mio l’ho mandato a Mondadori e non m’hanno neanche risposto, e poi pubblicano quello di Ilary Blasi.

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