Ieri su Repubblica Stefano Folli ha scritto che chi si è fatto più sentire nella polemica con Giorgia Meloni dopo la sua conferenza stampa è stato Matteo Renzi. E che sarebbe più logico che, come competitor televisivo, Meloni avesse davanti proprio il leader di Italia Viva più che Elly Schlein, prescelta dalla presidente del Consiglio, secondo l’editorialista di Repubblica, perché più debole.
Anche Carlo Calenda sarebbe un osso più duro rispetto alla leader del Partito democratico, che dal punto di vista televisivo deve ancora dimostrare quanto vale, mentre è certo che i duellanti dell’ex Terzo Polo in tv ci sanno stare eccome.
Sono tutte opinioni che hanno un fondamento. Ed è senz’altro vero che il leader di Italia Viva negli ultimi tempi ha molto alzato il tiro contro Giorgia Meloni e contro il suo governo, per esempio è lui più che il Partito democratico ad aver chiesto le dimissioni di Andrea Delmastro – presente con la scorta alla calda notte del deputato pistolero Emanuele Pozzolo. E Renzi, ha scritto Folli, «ha parlato come ci si aspetta si esprima un leader dell’opposizione».
Ma al di là della “questione televisiva” – c’è anche chi, come Lorenzo Pregliasco, ha ipotizzato più duelli tra vari leader – il problema di Italia Viva è sempre lo stesso e cioè la sua collocazione in questo quadro politico.
Non è tanto l’inconveniente – che pure esiste – del suo scarsissimo appeal a sinistra a costituire il vero handicap di Renzi. No, la questione riguarda la sua credibilità nel volersi porre come il più tosto avversario di Meloni senza però schierarsi, sia pure con la propria originale identità, dalla parte del campo opposta a quella di Meloni, cioè nel centrosinistra.
Più passa il tempo e più crescono le preoccupazioni, non solo a sinistra ma in una fascia più ampia (il più oppositore in questi giorni è un riformista moderato come Giuliano Amato che ieri ha clamorosamente lasciato la presidenza della “commissione algoritmi” dopo l’ostentata presa di distanza da questa nomina da parte di Meloni), per una deriva pericolosa per la qualità della democrazia italiana. E lo stesso Renzi, lo abbiamo visto, è tra i più esposti nella polemica contro la presidente del Consiglio. Ma la sua denuncia anti-Meloni perde inevitabilmente forza se disancorata da una strategia di più ampio respiro, come appare quella di un partito che non vuole stare né di qua né di là e che esattamente per questa ragione non riesce a decollare nei sondaggi.
Criticare tutti può anche essere motivato ma non può reggere all’infinito: questo è l’orientamento dell’elettorato. D’altronde è un errore anche da parte del Partito democratico – che pure è molto in svantaggio rispetto alla destra – ignorare che comunque Renzi porti idee importanti e rappresenti un po’ di voti.
Non sapremmo dire chi debba fare il primo passo per capire se sia possibile costruire qualcosa insieme per mettere in difficoltà il governo, invece di continuare a marciare divisi per colpire divisi.
Quest’ultima è una strategia che non si vede come possa portare frutti. Né sembra esserci per l’ex Terzo Polo una prospettiva a destra, visto che della destra sono tenaci oppositori. Certo è che fintanto che lo stagno delle opposizioni rimarrà tale, Giorgia Meloni vincerà tutti i duelli televisivi del mondo. Le basterà dire: voi non solo siete minoranza ma siete anche divisi, che volete da me. E sarebbe difficile, molto difficile, obiettare qualcosa.