Il rapporto fra ebraismo e comunismo è assai articolato. A tutte le contraddizioni appena ricordate, bisognerebbe aggiungere l’identificazione fra ebrei e bolscevichi portata avanti dalla propaganda zarista prerivoluzionaria, che dipingeva entrambi come internazionalisti nemici della nazione russa. È sempre difficile ridurre a una causa sola un fenomeno complesso. La regola vale anche per l’antisemitismo sovietico, che risente di cause storiche, sociologiche, politiche, economiche, religiose e di psicologia sociale. Dovendo, però, cercarne un fondamento ideologico, lo si può facilmente riscontrare nel tradizionale antigiudaismo dei grandi sguardi universalistici europei; dal cristianesimo all’Illuminismo, fino, appunto, al bolscevismo. La critica è sempre la stessa: gli ebrei si separano dalla società perché si sentono diversi dagli altri, moderna riproposizione dell’antico stereotipo del popolo eletto. Sospetto che avrebbe potuto ricadere anche su altre religioni o etnie, ma che pare aver avuto un’applicazione, diciamo più rigorosa, per quanto riguarda la minoranza ebraica. Un dato che spinge a interrogarsi ulteriormente.
Riguardo alla relazione con le specificità nazionali la politica sovietica seguiva la massima staliniana secondo cui la cultura doveva essere «nazionale nella forma e socialista nel contenuto». Al contrario di quello che vuole la vulgata, c’era, dunque, un’attenzione rivolta alle specificità nazionali, anche se non ci si poteva scostare dal dogma socialista per cui ognuno doveva contribuire con le proprie risorse alla causa comune. Il concetto sovietico di nazione è definito dallo stesso Stalin, allora giovane promessa del partito, nel saggio del 1913 Il marxismo e la questione nazionale.
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Gli anni dello stalinismo: dalle «purghe» al complotto dei medici
Con gli anni ’30 il clima di sospetto che agitava Stalin si tramutò in vera e propria paranoia. Inizia il periodo del Grande Terrore, noto come čistka, purga. I motivi di questa escalation del terrore si stratificano in cause politiche (l’assassinio di Sergej Kirov, il numero due del partito), psicologiche (la morte della seconda moglie Nadezda Allilueva, che gettò Stalin in un clima di sconforto e rabbia furiosa), persino biologiche (i medici che hanno svolto l’autopsia sul cadavere di Stalin hanno riscontrato anomalie cerebrali che alcuni hanno considerato come base fisiologica della sua paranoia). Va detto che Rapoport ribalta la catena causale: l’assassinio di Kirov fu ordito dallo stesso Stalin come pretesto per scatenare le purghe. In ogni caso, i morti si conteranno a milioni. Nella mente del dittatore georgiano, l’ebreo assume sempre più i contorni del nemico interno, della quinta colonna che trama il complotto contro lo Stato, dell’«internazionalista» che si oppone alla linea stabilita del socialismo in un solo paese. Si potrebbe benissimo parlare di un’inversione di rotta. Insieme al nazionalismo che sempre più diventa elemento centrale dello stalinismo, viene riesumato l’antico stile di propaganda giudeofobica zarista, che giace da sempre nel cuore della cultura russa e giunge fino all’infame falso dei Protocolli dei Savi anziani di Sion (1903-05). Non è esagerato dire che Stalin ingurgiti questa propaganda insieme al latte materno.
L’antisemitismo era endemico in Georgia, ancor più nella minoranza osseta di cui faceva parte la sua famiglia. Gli insegnanti di Stalin al seminario di Abašidze furono addirittura tra i fondatori delle famigerate Centurie Nere, forse il movimento più antisemita dell’Impero russo. L’ebreo è qui dipinto come nemico della nazione, come il «cosmopolita» (termine antesignano di «internazionalista») che vuole indebolirla per prenderne possesso. Se prima degli anni ’30 l’ebreo è l’immagine del particolare che resiste all’universale, ora è il portatore di valori universali (cosmopoliti) che si oppongono alle tradizioni nazionali. Va sottolineato che la furia stalinista non si scagliava solo contro la minoranza ebraica. Quella di «internazionalista» era l’accusa più diffusa e si rivolgeva a intellettuali di ogni ordine e grado, a chiunque fosse solo sospettato di scostarsi dalla linea del partito. La repressione antiebraica fu particolarmente accanita, come mai? Il motivo si riassume in un termine: «sionismo». Se ogni nazionalità mostra costitutivamente tendenze separatiste, nel caso ebraico c’è l’aggiunta dell’orizzonte nazionale. A maggior ragione l’ebreo diviene l’infedele nei confronti dello Stato per eccellenza, colui che vive in Russia pensando a Israele. L’antisionismo sovietico, da sempre inscritto nel dna della rivoluzione socialista e sostenuto dallo stesso Trockij come da altri intellettuali ebrei, si spinge fino a creare per gli ebrei un territorio alternativo interno ai confini russi.
Fu finalmente individuato nel Birobidzhan, estremo oriente sovietico, al confine con la Mongolia e la Manciuria. Nel 1934 il Birobidzhan fu nominato «Regione autonoma ebraica». Non sono chiari i motivi e gli obiettivi di questa scelta. Sicuramente hanno giocato un ruolo considerazioni geopolitiche; anzitutto il tentativo di limitare l’imperialismo giapponese. Forse, Stalin voleva creare una sorta di prigione a cielo aperto, forse tentare davvero di proporre un’alternativa socialista agli ebrei russi sedotti dal sionismo. Forse era una risposta alle pressanti richieste degli ebrei e al loro timore per il crescente assimilazionismo dovuto a timide aperture del regime alla nazione ebraica. Certo è che il diplomatico israeliano di origini russe Arieh Eliav, descrive questo luogo come una regione fantasma, solo simulacro di una cultura ebraica a cui erano state estirpate le radici. L’esperimento ebbe comunque scarso successo: l’affluenza non ebbe mai picchi elevati e nel 1941 gli ebrei rimasti erano solo 23.000. Diverso è stato il caso della Crimea, dove gli ebrei russi emigravano naturalmente in quanto territorio assai più vicino alle loro abitudini cittadine rispetto allo sperduto e sterile Birobidzhan. L’emigrazione spontanea fu però letta dal regime come tentativo separatista e venne repressa. Tra queste contraddizioni l’unico fil rouge sembra essere la paranoia staliniana, che si abbatteva come una furia sulla società russa e che si rivolgeva in modo particolare in direzione della popolazione ebraica.