Partner di minoranzaSalvini fa di tutto per uscire dall’ombra di Meloni, ma la Lega sta perdendo identità

Il ministro delle Infrastrutture non accetta che i rapporti di forza nella maggioranza siano tutti favorevoli alla premier. Spera in un risultato positivo alle Europee per risollevarsi, ma le strategie messe in campo per ora non lo aiutano

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Rassegnarsi al ruolo di junior partner è una delle sciagure più terribili per un leader politico, anche acciaccato dalle urne come Matteo Salvini. Antonio Tajani è più uomo di mondo, più modesto nelle sue aspettative politiche. Del resto uno che eredita Forza Italia per via biologica da uno come Silvio Berlusconi deve essere già contento. Se poi i sondaggi gli danno grosso modo le stesse percentuali che aveva il Cavaliere, quindi senza che ci sia stato un tracollo, deve sentirsi miracolato. Certo, non è ancora detto che salverà l’osso del collo alle elezioni europee, soprattutto se a risucchiare voti sarà Fratelli d’Italia e in particolare la candidatura capolista in tutte le circoscrizioni di Giorgia Meloni. Poi ad aspettarlo sulla riva del fiume ci sono anche Matteo Renzi e Carlo Calenda. Tajani dovrà sudare le proverbiali sette camicie ma se terrà un pochino botta nelle urne del 9 giugno dovrà accendere un centinaio di candele ai suoi santi preferiti (San Silvio e Marina/Piersilvio che ancora lo finanziano).

Per Salvini il discorso è diverso. Intanto nel 2019 la Lega era al trentaquattro per cento; l’ultimo sondaggio per La7 fissava l’asticella all’8,9 per cento. Guardava dall’alto in basso Giorgia che arrancava con un 6,44 per cento. Era lei la junior partner e Matteo la vessava sulle candidature regionali, per le nomine in Rai, la presidenza del Copasir, faceva riunioni a due con Berlusconi. Ora la Calimera restituisce la pariglia e lui deve correre ai ripari, non accettando di prendere atto che i rapporti di forza si sono ribaltati. Per cui chiede agli eurodeputati uscenti di comprendere perché molti di loro non verranno ricandidati o non avranno piazzamenti in lista tali da poter essere rieletti con facilità. Chiede ai governatori Luca Zaia, Massimiliano Fedriga e Attilio Fontana di candidarsi per tirare voti con le liste dei presidenti, sennò la Lega potrebbe sprofondare dietro Forza Italia. E poi vuole indossare la divisa, come faceva quando era ministro dell’Interno.

Il generale Roberto Vannacci è il suo sogno, non sappiamo quanto proibito perché il militare del mondo al contrario non ha sciolto la riserva. Sembra però che ci sia un accordo segreto tra i due, prima di annunciare la candidatura del parà. È ancora presto per gli annunci. E poi il capo leghista deve far passare nel partito, soprattutto tra gli uscenti eurodeputati, l’idea che bisognerà portare acqua al mulino di uno sconosciuto. Di più, a uno non iscritto. Nella Lega l’iscrizione e la militanza sono state sempre due cose distinte, tanto che si può aderire al partito con una tessera diversa da quella upgrade di militante.

La richiesta di sacrificarsi a chi ha sempre militato nel Carroccio è dolorosa. E non ci sarebbe solo Vannacci: il candidato del Sud, il re delle cliniche molisane Sandro Patriciello, mister preferenze, è l’ultimo arrivato eccellente dalle fila di Forza Italia. Il vero Papa straniero sarebbe però Vannacci, che caratterizzerebbe molto più a destra il Carroccio, soprattutto sui diritti civili, e lo riavvicinerebbe alla Russia. A quel Vladimir Putin che non vede l’ora che Donald Trump venga eletto presidente degli Stati Uniti nella speranza che il palazzinaro golpista metta in crisi la Nato e tolga il sostegno all’Ucraina. A questo proposito, segnaliamo che dall’Italia le uniche congratulazioni italiane al tycoon per il successo nei caucus dell’Iowa sono arrivate proprio da Salvini. Silenzio da Meloni.

La Lega era già stata snaturata con il passaggio alla Lega nazionale per Salvini premier. Fintantoché i voti erano tanti, tutti applaudivano. Ora non è più così. Nel partito le fronde più ortodosse aveva accusato il leader di essersi allontanato dalla logica del sindacato del nord e di pensare di più al Ponte di Messina. I governatori, Zaia in testa, hanno sempre spinto Salvini a ottenere il primo passaggio parlamentare dell’Autonomia differenziata, almeno prima delle europee. Il ministro delle Infrastrutture è riuscito ad avere questo percorso parlamentare in parallelo alla riforma costituzionale del premierato. Ma nel sud è in caduta libera e spera di risollevare le sorti con Vannacci, solo che è tutto da dimostrare che le copie vendute dal generale e le “truppe” che vanno ad ascoltarlo alla presentazione del libro si trasformino automaticamente in voti, moltiplicandosi.

La candidatura alle europee di Meloni è invece una garanzia maggiore per le sorti elettorali di Fratelli d’Italia. Per questo Salvini vorrebbe che la premier non si candidasse e facesse un sacrificio da leader della coalizione. Come faceva Berlusconi. Del resto, viene fatto notare, quando nel 2014 Renzi prese alle europee il 40,81 per cento era premier e non si candidò.

Lei invece è propensa a correre, ma c’è tempo: vuole verificare l’andamento del suo gradimento personale e capire se il suo “sacrificio” valga la pena per tenere tranquillo il governo. Tenere tranquillo Salvini che di problemi ne ha tanti.

Intanto la sensazione, anche nella Lega, è che sia un prigioniero politico di Meloni. Non potrebbe provocare una crisi di governo. Dopodiché ha un problema con Zaia, il quale non vuole candidarsi alle europee e si aspetta il terzo mandato alle regionali.

E c’è un ulteriore problema sull’identità della Lega, legata ancora all’estrema destra di Identità e Democrazia. Gruppo al quale uno come Zaia non intende iscriversi, se e quando verrebbe eletto a Strasburgo. Il governatore veneto ha altre idee, guarda più verso il Partito Popolare ed esprime posizioni più liberal. Pure su un argomento tabù come il fine vita.

Il Consiglio regionale del Veneto, prima regione in Italia, è stato chiamato a decide sulla proposta di legge di iniziativa popolare sull’eutanasia. Il doge ha lasciato libertà di coscienza ai suoi consiglieri. Lui voterà a favore e lo ha detto pubblicamente, ma una parte dei consiglieri leghisti sono contrari. Per il no sono anche i cinque consiglieri di Fratelli d’Italia e quelli di Forza Italia.

Il prigioniero politico non può sperare nella generosità democristiana e berlusconiana di Meloni. Si deve scordare la Sardegna e, prima o poi, dovrà mollare pure una Regione del Nord. Rischia quindi fare salti mortali inutili, rimanendo stritolato nella contraddizione delle due Leghe Vannacci/Zaia che sta coltivando in seno. Sullo sport preferito dagli italiani, il salto sul carro del vincitore, può farci poco o nulla.

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