Giravolte del valoreLa metamorfosi del capitalismo nell’epoca dell’intelligenza artificiale

Negli ultimi secoli, l’economia mondiale è passata dalla terra al cielo, dalla proprietà agraria al capitale immobiliare, fino ai movimenti della Borsa. E anche l’economia finanziaria, scrive Emanuela Fornari nell’introduzione al suo “Cybercapitalismo”, è stata sostituita da una nuova realtà

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Quale nesso intercorre oggi, in questo fosco e inde­cifrabile presente, tra parole e oggetti o, secondo la traiettoria che si vuole qui intraprendere, tra econo­mia del linguaggio e linguaggio dell’economia? Non assistiamo infatti a una contemporanea e parallela dissoluzione, da un lato, dell’oggettualità (la plasticità dell’oggetto, la materialità della cosa, la fungibilità-utilità del bene), e dall’altro della soggettività, dive­nuta ormai correlato e referente delle nuove pratiche di finanziarizzazione?

Viene spontaneo, davanti a queste domande, il ri­mando alla pressante attualità di certe filosofie che parlano di «perdita delle cose» in un mondo sempre più segnato dalla dominanza del web e dell’AI: della Rete e dell’Artificial Intelligence. Ma altrettanto dif­ficile è resistere alla tentazione di compiere un viag­gio a ritroso per scoprire gli antefatti di questo esito. Un viaggio nella modernità che prende avvio dagli esiti tragici dell’epoca rinascimentale, con quel crollo delle certezze e del senso delle cose che – da Michel de Montaigne a William Shakespeare e a John Donne – viene posto in rapporto con un mondo «acentrico», reso sempre più relativo, contingente, precario e imprevedibile dall’irruzione dell’«oro mo­bile»: da una logica di scambio, di puri valori-di-scambio, indotta dalla circolazione di una moneta gestibile e valorizzabile tramite il sistema delle banche.

È una storia antica. Nel dominio del processo di valorizzazione, le parole viaggiano come le merci. E viaggiano sempre più velocemente quando si ha a che fare con la merce di scambio universale: il denaro. Con il crollo delle certezze si apre allora il varco alla dissimulazione: in un Theatrum Mundi in cui lo stesso potere dei re è eroso dalla potenza codificata della moneta.

Troviamo già in questa scena dal sapore shakespeariano i prodromi di un passaggio cruciale della teoria di Karl Marx: il passaggio dalla formula merce-de­naro-merce (M-D-M) alla formula denaro-merce-denaro (D-M-D) e infine, ai giorni nostri, alla formula D-D, dal denaro al denaro, ma un denaro ormai codi­ficato in valori bancari dotati di una mobilità world-wide. Formula che racchiude in sé quel processo di progressiva smaterializzazione della logica capitali­stica che era stato anticipato molti anni prima da una splendida frase del Manifesto del Partito Comunista: «tutto ciò che è solido svanisce nell’aria; tutto ciò che ha consistenza evapora».

Questo libro parla dunque di metamorfosi. Di una storia del capitale segnata dal divario tra rendita e profitto, proprietà e produttività, interessi e crescita: una storia che i lettori di Jane Austen e Honoré de Balzac conoscono meglio degli esperti di economia. Di un sistema capitalistico segnato nel corso di tre secoli da un progressivo passaggio dalla terra al cielo: dalla proprietà agraria al capitale immobiliare, dalla Rivoluzione industriale ai movimenti globali del capi­tale finanziario. Di una metamorfosi della «Scienza nuova» della modernità, l’economia politica, dall’eclatante spettacolarità della «ricchezza delle na­zioni» all’immagine dell’«immane raccolta di merci» con cui si apre Il capitale, fino a un processo di smaterializzazione che è venuto sempre più riducendo il denaro a semplice codificazione valoriale e l’economia a mero sistema di segni.

Seguiremo allora, alla luce di questi assunti, una linea eterodossa che, muovendo dalle germinali ana­lisi marxiane del «feticismo» della merce nel loro nesso con l’evoluzione della figura del «valore», toc­cherà – oltre a classici come Max Weber e Karl Polanyi – figure come Jean Baudrillard, Gilles Deleuze, Marcel Mauss e Arjun Appadurai: tutti accomunati dall’idea di un’intima «innaturalità» dell’economia e della figura dell’homo oeconomicus e della crescente predominanza delle dimensioni del «politico» e della dominazione.

Oggetto del libro è quello che abbiamo deciso di chiamare «cybercapitalismo»: a segnalare una linea d’ombra, una soglia epocale che indica non solo la fine del sistema capitalistico come era stato descritto con monumentale imponenza da autori ormai classici ed epochemachend quali Marx e Weber, ma anche la crisi dell’odierna economia finanziaria e il suo oltre­passamento in una nuova costellazione in cui gover­nano codici e linguaggi inediti, in un’indistinzione tra cose e merci che assoggetta l’intero mondo e l’intera natura al processo di «valorizzazione».

Il concetto di valore sarà pertanto uno dei perni attorno al quale ruoteranno le analisi condotte in que­ste pagine: nel suo indicare quel punto di cristallizza­zione delle dinamiche di intersezione tra soggetto e oggetto che caratterizzano il mondo economico. Ci troveremo così di fronte a oggetti fluttuanti e ani­mati. E a un soggetto che si apre a nuove configura­zioni insieme psichiche e ontologiche: un post-sog­getto che risponde alla nuova età globale neoliberale e alle sue più recenti contorsioni.

Ma veniamo a una rapida presentazione della trac­cia di percorso seguita nel libro. Si parte dalla figura delle «giravolte del valore», in quella celeberrima prima sezione del libro 1 del Capitale di Marx, che si conclude con il paragrafo fantasmagorico sul «fetici­smo della merce». Qui l’animazione delle cose, per­meate dal fantasma del valore che trova il suo com­pimento nel denaro, corrisponde a una alienazione o estraneazione degli uomini ridotti a pure maschere economiche: «maschere di carattere», Charakterma­sken come le chiamava Marx, sottomesse al feticismo quasi religioso che permea la società capitalistica. Un feticismo con effetti di dissimulazione piuttosto che di reificazione, di Verdinglichung: termine non pro­priamente marxiano ma introdotto da György Lukács nel 1923 in Storia e coscienza di classe. Nel «carattere di feticcio» della merce, infatti, Marx rinviene quell’arcano che fa del capitalismo un mondo tutt’al­tro che «disincantato», secondo la fortunata defini­zione di Weber: un mondo, al contrario, incantato, capovolto, in cui merce e denaro fagocitano, in un’o­perazione condotta in simultanea, tanto il carattere «cosale», qualitativo, dei beni e dei prodotti del lavoro, quanto la materialità e immediatezza corporea delle relazioni tra lavoratori. Come accade tutto ciò? Accade proprio in virtù del singolare tropismo fan­tasmagorico e smaterializzante codificato nella lo­gica costitutiva del capitale. Accade nella misura in cui è la fluttuazione del valore a determinare le con­dizioni per le quali gli uomini hanno accesso a beni e merci. Quel valore che diviene punto di raccolta, a un tempo, della potenza «soprannaturale» del de­naro, che crea e anima il movimento delle merci, e dell’effetto «naturale» del rapporto delle merci tra loro, in quella che Marx definisce la loro «società onnilaterale».

Basti qui ricordare quanto Étienne Balibar ha os­servato in relazione alla differenza tra il Marx dell’Ideologia tedesca e il Marx del Capitale: ciò che viene descritto nell’arcano del feticismo della merce deter­minato dalle giravolte del valore non è infatti altro che un meccanismo di soggezione. Se il «feticismo della merce», ci dice Marx, consiste nel fatto che «il rap­porto sociale determinato che esiste tra gli uomini stessi assume per essi la forma fantasmagorica di un rapporto tra cose», di modo che i rapporti sociali ap­paiono come «rapporti di cose tra persone e rapporti sociali tra cose», allora emerge qui – o, più precisa­mente, fa irruzione – anche la centralità della Wert­form, di quella forma o figura del valore, che – nella veste di valore di scambio – aggiunge alla merce una oggettività supplementare. Ma se le merci hanno un valore di scambio, il denaro sembra essere «il valore di scambio stesso», possedendo il potere di comuni­care alle merci la potenza che lo caratterizza: di modo che la merce appare come un oggetto «mistico» pieno di sottigliezze teologiche o addirittura, secondo la definizione di Marx, di veri e propri «capricci teo­logici». Il feticismo così – ci suggerisce ancora Balibar – non è una superstizione o un’illusione, co­stituendo piuttosto il modo in cui la realtà non può non apparire: il Reale come Schein ed Erscheinung, a un tempo «parvenza» e «manifestazione», in cui con­siste l’essere della società nell’epoca dominata e «performata» dalle leggi del modo capitalistico di produzione.

© 2024 Bollati Boringhieri editore, Torino

Tratto da “Cybercapitalismo” (Bollati Boringhieri), di Emanuela Fornari, pp. 112, 14€

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