Quale nesso intercorre oggi, in questo fosco e indecifrabile presente, tra parole e oggetti o, secondo la traiettoria che si vuole qui intraprendere, tra economia del linguaggio e linguaggio dell’economia? Non assistiamo infatti a una contemporanea e parallela dissoluzione, da un lato, dell’oggettualità (la plasticità dell’oggetto, la materialità della cosa, la fungibilità-utilità del bene), e dall’altro della soggettività, divenuta ormai correlato e referente delle nuove pratiche di finanziarizzazione?
Viene spontaneo, davanti a queste domande, il rimando alla pressante attualità di certe filosofie che parlano di «perdita delle cose» in un mondo sempre più segnato dalla dominanza del web e dell’AI: della Rete e dell’Artificial Intelligence. Ma altrettanto difficile è resistere alla tentazione di compiere un viaggio a ritroso per scoprire gli antefatti di questo esito. Un viaggio nella modernità che prende avvio dagli esiti tragici dell’epoca rinascimentale, con quel crollo delle certezze e del senso delle cose che – da Michel de Montaigne a William Shakespeare e a John Donne – viene posto in rapporto con un mondo «acentrico», reso sempre più relativo, contingente, precario e imprevedibile dall’irruzione dell’«oro mobile»: da una logica di scambio, di puri valori-di-scambio, indotta dalla circolazione di una moneta gestibile e valorizzabile tramite il sistema delle banche.
È una storia antica. Nel dominio del processo di valorizzazione, le parole viaggiano come le merci. E viaggiano sempre più velocemente quando si ha a che fare con la merce di scambio universale: il denaro. Con il crollo delle certezze si apre allora il varco alla dissimulazione: in un Theatrum Mundi in cui lo stesso potere dei re è eroso dalla potenza codificata della moneta.
Troviamo già in questa scena dal sapore shakespeariano i prodromi di un passaggio cruciale della teoria di Karl Marx: il passaggio dalla formula merce-denaro-merce (M-D-M) alla formula denaro-merce-denaro (D-M-D) e infine, ai giorni nostri, alla formula D-D, dal denaro al denaro, ma un denaro ormai codificato in valori bancari dotati di una mobilità world-wide. Formula che racchiude in sé quel processo di progressiva smaterializzazione della logica capitalistica che era stato anticipato molti anni prima da una splendida frase del Manifesto del Partito Comunista: «tutto ciò che è solido svanisce nell’aria; tutto ciò che ha consistenza evapora».
Questo libro parla dunque di metamorfosi. Di una storia del capitale segnata dal divario tra rendita e profitto, proprietà e produttività, interessi e crescita: una storia che i lettori di Jane Austen e Honoré de Balzac conoscono meglio degli esperti di economia. Di un sistema capitalistico segnato nel corso di tre secoli da un progressivo passaggio dalla terra al cielo: dalla proprietà agraria al capitale immobiliare, dalla Rivoluzione industriale ai movimenti globali del capitale finanziario. Di una metamorfosi della «Scienza nuova» della modernità, l’economia politica, dall’eclatante spettacolarità della «ricchezza delle nazioni» all’immagine dell’«immane raccolta di merci» con cui si apre Il capitale, fino a un processo di smaterializzazione che è venuto sempre più riducendo il denaro a semplice codificazione valoriale e l’economia a mero sistema di segni.
Seguiremo allora, alla luce di questi assunti, una linea eterodossa che, muovendo dalle germinali analisi marxiane del «feticismo» della merce nel loro nesso con l’evoluzione della figura del «valore», toccherà – oltre a classici come Max Weber e Karl Polanyi – figure come Jean Baudrillard, Gilles Deleuze, Marcel Mauss e Arjun Appadurai: tutti accomunati dall’idea di un’intima «innaturalità» dell’economia e della figura dell’homo oeconomicus e della crescente predominanza delle dimensioni del «politico» e della dominazione.
Oggetto del libro è quello che abbiamo deciso di chiamare «cybercapitalismo»: a segnalare una linea d’ombra, una soglia epocale che indica non solo la fine del sistema capitalistico come era stato descritto con monumentale imponenza da autori ormai classici ed epochemachend quali Marx e Weber, ma anche la crisi dell’odierna economia finanziaria e il suo oltrepassamento in una nuova costellazione in cui governano codici e linguaggi inediti, in un’indistinzione tra cose e merci che assoggetta l’intero mondo e l’intera natura al processo di «valorizzazione».
Il concetto di valore sarà pertanto uno dei perni attorno al quale ruoteranno le analisi condotte in queste pagine: nel suo indicare quel punto di cristallizzazione delle dinamiche di intersezione tra soggetto e oggetto che caratterizzano il mondo economico. Ci troveremo così di fronte a oggetti fluttuanti e animati. E a un soggetto che si apre a nuove configurazioni insieme psichiche e ontologiche: un post-soggetto che risponde alla nuova età globale neoliberale e alle sue più recenti contorsioni.
Ma veniamo a una rapida presentazione della traccia di percorso seguita nel libro. Si parte dalla figura delle «giravolte del valore», in quella celeberrima prima sezione del libro 1 del Capitale di Marx, che si conclude con il paragrafo fantasmagorico sul «feticismo della merce». Qui l’animazione delle cose, permeate dal fantasma del valore che trova il suo compimento nel denaro, corrisponde a una alienazione o estraneazione degli uomini ridotti a pure maschere economiche: «maschere di carattere», Charaktermasken come le chiamava Marx, sottomesse al feticismo quasi religioso che permea la società capitalistica. Un feticismo con effetti di dissimulazione piuttosto che di reificazione, di Verdinglichung: termine non propriamente marxiano ma introdotto da György Lukács nel 1923 in Storia e coscienza di classe. Nel «carattere di feticcio» della merce, infatti, Marx rinviene quell’arcano che fa del capitalismo un mondo tutt’altro che «disincantato», secondo la fortunata definizione di Weber: un mondo, al contrario, incantato, capovolto, in cui merce e denaro fagocitano, in un’operazione condotta in simultanea, tanto il carattere «cosale», qualitativo, dei beni e dei prodotti del lavoro, quanto la materialità e immediatezza corporea delle relazioni tra lavoratori. Come accade tutto ciò? Accade proprio in virtù del singolare tropismo fantasmagorico e smaterializzante codificato nella logica costitutiva del capitale. Accade nella misura in cui è la fluttuazione del valore a determinare le condizioni per le quali gli uomini hanno accesso a beni e merci. Quel valore che diviene punto di raccolta, a un tempo, della potenza «soprannaturale» del denaro, che crea e anima il movimento delle merci, e dell’effetto «naturale» del rapporto delle merci tra loro, in quella che Marx definisce la loro «società onnilaterale».
Basti qui ricordare quanto Étienne Balibar ha osservato in relazione alla differenza tra il Marx dell’Ideologia tedesca e il Marx del Capitale: ciò che viene descritto nell’arcano del feticismo della merce determinato dalle giravolte del valore non è infatti altro che un meccanismo di soggezione. Se il «feticismo della merce», ci dice Marx, consiste nel fatto che «il rapporto sociale determinato che esiste tra gli uomini stessi assume per essi la forma fantasmagorica di un rapporto tra cose», di modo che i rapporti sociali appaiono come «rapporti di cose tra persone e rapporti sociali tra cose», allora emerge qui – o, più precisamente, fa irruzione – anche la centralità della Wertform, di quella forma o figura del valore, che – nella veste di valore di scambio – aggiunge alla merce una oggettività supplementare. Ma se le merci hanno un valore di scambio, il denaro sembra essere «il valore di scambio stesso», possedendo il potere di comunicare alle merci la potenza che lo caratterizza: di modo che la merce appare come un oggetto «mistico» pieno di sottigliezze teologiche o addirittura, secondo la definizione di Marx, di veri e propri «capricci teologici». Il feticismo così – ci suggerisce ancora Balibar – non è una superstizione o un’illusione, costituendo piuttosto il modo in cui la realtà non può non apparire: il Reale come Schein ed Erscheinung, a un tempo «parvenza» e «manifestazione», in cui consiste l’essere della società nell’epoca dominata e «performata» dalle leggi del modo capitalistico di produzione.
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Tratto da “Cybercapitalismo” (Bollati Boringhieri), di Emanuela Fornari, pp. 112, 14€