Dopo il piglio decisionista che ha portato all’intesa con Giorgia Meloni sul Medio Oriente, Elly Schlein oggi tornerà alla più comoda attitudine di non scegliere, questa volta sulla questione peraltro davvero poco eccitante del terzo mandato che verrà discussa dalla Direzione del suo partito.
Eppure di tempo ce n’è poco, si dovrà votare forse giovedì in Parlamento – sempre ammesso che la Lega decida di andare al muro contro muro contro Fratelli d’Italia. Tutti sanno che il Partito democratico, tanto per cambiare, su questo tema è spaccato: Schlein sta ammorbidendo la sua posizione contraria all’allungamento dei mandati per sindaci e governatori ma i suoi sostenitori sono rigidamente contrari (Francesco Boccia che ha dato la linea ai “duri”: «Eliminare il limite dei mandati significa creare dei piccoli satrapi») mentre Base riformista e sindaci e presidenti di Regione sono favorevoli.
Si dirà che questi ultimi giocano per i propri interessi: per quanto riguarda il capo dei “terzomandatisti” Vincenzo De Luca e il presidente dell’Emilia-Romagna (nonché del Partito democratico) Stefano Bonaccini sarà anche così, ma sindaci come Antonio Decaro, Giorgio Gori e Matteo Ricci, tutti in procinto di saltare in Europa, questa motivazione di carattere personale non ce l’hanno.
Ricci ha fatto capire che votare a favore del terzo mandato sarebbe giusto anche «tatticamente» alludendo alla spaccatura verticale tra Fratelli d’Italia e Lega che potrebbe rendere possibile una “incursione” delle opposizioni addirittura per mandare in minoranza il partito di Giorgia Meloni con conseguenze esplosive. Schlein sta un po’ nel mezzo tra chi non molla sul principio in base al quale andare oltre i dieci anni di mandato per un sindaco o un governatore implicherebbe rischi di regime e di potere personalistico e chi invece ritiene che un sindaco che goda della fiducia dei cittadini debba poter andare avanti oltre i due mandati.
Sul piano generale è vero che l’elezione diretta presume un “tetto” ai mandati ma forse alzarlo da due a tre non dovrebbe sfregiare il volto della democrazia (Luca Zaia in Veneto ne ha già fatti tre e in sostanza è proprio per consentirgliene addirittura un quarto che la Lega sta facendo le barricate).
Se dunque in Direzione ognuno terrà il punto ci sarà un voto di divisione ma è molto più probabile che si decida di non decidere, cioè di aspettare fino all’ultimo cosa succede nella maggioranza – dove si sta lavorando per ricucire tra Meloni e Salvini. Per Elly non decidere oggi è saggio e anche utile: perché dividersi noi se divisi sono gli altri? Wait and see è sempre la tattica più comoda, anche per una segretaria che oggi sembra messa un po’ meglio rispetto a qualche mese fa.
La Direzione di oggi era stata convocata sulle elezioni europee, diciamo sulla linea generale da assumere, ma su questo tema l’unico punto vero riguarda le liste, a cominciare dall’amletico dubbio della leader se candidarsi o no: la decisione non verrà comunicata oggi – anche se francamente non si capisce che cosa si debba aspettare essendo la questione sul tavolo da due mesi – e comunque tutti pensano che alla fine Schlein scenderà in campo. Il problema semmai riguarda il bilancino per soddisfare rappresentanza femminile, correnti, territori, big, ex e quant’altro.
Ma malgrado il nervosismo e le tattiche dei candidabili (da ultimo il caso di Nicola Zingaretti che avrebbe di nuovo cambiato idea accettando di candidarsi in cambio di una possibile vicepresidenza dell’Europarlamento o di un incarico apicale nel gruppo socialista), anche su questo terreno non è tempo di decisioni. D’altronde la testa di tutti sarà giustamente su qualcosa di molto più importante, politicamente e moralmente: la fiaccolata che nel pomeriggio si terrà al Campidoglio in onore di Alexei Navalny.