Cibo stellare, in più di un senso. Per i cultori, molto ricchi, del “famolo strano” a tavola si annuncia un’esperienza davvero singolare: mangiare su un’astronave, guardando la Terra girare. Attenzione, non cibo da astronauti, liofilizzato o precotto, ma un pasto esclusivo, preparato a bordo dallo chef Rasmus Munk del ristorante Alchemist di Copenhagen, due stelle Michelin nel 2021.
Sono già aperte le prenotazioni per decollare con l’astronave Nettuno di Space Perspective, che potrà ospitare un massimo di sei persone per volta, e ci sono già le prime adesioni, anche se il viaggio inaugurale è previsto per il 2025 e le tariffe non sono esattamente popolari: quasi cinquecentomila dollari, circa 450.000 euro. La somma comprende il viaggio di sei ore a trentamila metri sul livello del mare, su una capsula pressurizzata sollevata da un pallone riempito di idrogeno, la cena a menu fisso e le tute spaziali su misura disegnate dalla maison francese Ogier. «Gli esploratori – si informa – ceneranno mentre guarderanno l’alba sulla curvatura terrestre».
Rasmus Munk, che si racconta appassionato di esplorazioni spaziali fin dall’infanzia, quando vide per la prima volta le stelle al planetario di Copenhagen, spiega di aver pensato a un menu a tema, una serie di piatti ispirati all’esplorazione spaziale negli ultimi sessant’anni, e annuncia che alla cena seguirà il dibattito, una discussione su temi come il ruolo dell’umanità nei confronti del pianeta, l’esplorazione di mondi sconosciuti, il futuro del mondo.
L’impresa, opera della startup statunitense Space Perspective, che ha sede nel complesso della Nasa a Cape Canaveral, si preannuncia anche politicamente corretta. Nettuno si presenta come la prima capsula spaziale al mondo a zero emissioni di carbonio e il ricavato della spedizione sarà destinato a un’associazione che sostiene l’uguaglianza di genere nella scienza e nella tecnologia.
Di certo, la cena “galattica” è l’ultima frontiera, al momento almeno, di una tendenza sempre più evidente e invasiva che ai classici fondamentali della cucina – la qualità, la preparazione e la presentazione del cibo, al limite la “location” – affianca, o sostituisce, la spettacolarità, l’eccentricità, la vera o presunta “unicità” dell’esperienza. Spesso da pagare a caro prezzo. Una sorta di riedizione instagrammabile della cena-spettacolo di Trimalcione, dove l’idea stessa di ciò che si sta mangiando si perde in un profluvio di “effetti speciali”.
Ed ecco il gesto “iconico” per spargere il sale di Nusret Gökçe, in arte Salt Bae (Before Anyone Else), il macellaio più discusso e ricco del mondo, con trentadue ristoranti dove i tagli di carne vengono ricoperti di oro alimentare, ininfluente sul loro sapore ma non sui costi. Ancora si parla di un conto pubblicato nel 2021 sui social da un avventore non felicissimo di aver speso 37.023,10 sterline per una bistecca tomahawk d’oro da 850 sterline, un vino del valore di oltre trentamila sterline e una tassa di servizio di oltre cinquemila.
L’ebbrezza di una cena in quota la offre da tempo, in termini più semplici ed economicamente abbordabili, l’esperienza itinerante Dinner in the Sky, che, nata in Belgio da un’idea dell’agenzia di comunicazione Hakuna Matata, dal lontano 2006 gira il mondo proponendo un tavolo da pranzo volante per ventidue commensali. Si tratta di una piattaforma sospesa a cinquanta metri di altezza, grazie a una gru di centoventi tonnellate che la regge con sedici cavi d’acciaio, corredata di poltrone di pelle da utilizzare con cinture di sicurezza sempre allacciate. Un’esperienza disponibile in settanta Paesi, Italia compresa, che si avvale di un gruppo di chef internazionali ed è più o meno costosa in base al sito, al periodo di prenotazione e al momento della giornata: colazione, pranzo, aperitivo o cena, con un range tra i sessanta euro per il caffè del mattino fino ai circa quattrocento del cenone di Capodanno.
Non sono di lusso e nemmeno esclusive, ma sono sicuramente particolari, le catene di ristoranti “a tema”, che hanno grande successo in Asia. Uno dei capostipiti è il Modern Toilet di Taiwan, che ha dato origine a una catena di locali a Hong Kong, Kuala Lumpur, Shenzen, Macau e che mantiene esattamente quello che il nome promette, perché è completamente arredato con tutti gli elementi che di solito si trovano in un bagno. Tavoli a forma di lavandino, sedie che sono tazze del water, bicchieri a forma di orinatoio, carta igienica al posto dei tovaglioli, cibo con forme allusive, anzi esplicite, e così via.
Ce n’è anche una sorta di versione italiana, il Ciabot, a Rivanazzano Terme, dove in una suggestiva ambientazione rurale i camerieri si muovono in trattore e, dopo “l’apericesso” seduti sul water, il risotto viene servito con carriola e cazzuola, e così via, fino al digestivo versato direttamente in gola con un imbuto.
A volte sono mode passeggere, come quella dei ristoranti nudisti che hanno avuto il loro momento di gloria, poi stroncato dal Covid, qualche anno fa, quando a Parigi c’era O’Naturel, con cucina bistronomica e vegana e un dress code che tollerava ciabatte, fornite dal ristorante, e, per le donne, tacchi a spillo, l’Italo Americano a Cerro Maggiore, vicino a Milano, e a Londra il Bunyadi, ristorante naturale, naturista e vegano con cibi serviti su piatti di terracotta fatti a mano, posate commestibili e senza luce elettrica.
È tuttora in attività invece, a Bangkok, il Cabbages & condoms, cucina thai a prezzi non popolarissimi, che, a giudicare dal décor – lampadari, lampade e sculture a tema – punta soprattutto sui secondi e infatti si propone di sensibilizzare i thailandesi all’utilizzo del profilattico, in collegamento con un’ associazione che lotta contro l’Aids, a cui vanno parte dei profitti.
In tempi di riscaldamento globale, cosa c’è di meglio di un locale a -5°? Il più famoso, per un soggiorno da brivido, è l’Arctic SnowHotel & Glass Igloos di Rovaniemi, il paese di Babbo Natale in Finlandia, dove tutto, dall’albergo, al ristorante, al bar, alla sauna, è fatto con il ghiaccio, scolpito da un artista lappone con sculture ispirate alla tradizione.
Ma il piacere di bere un drink in tenuta da esploratore polare è un’esperienza possibile in uno dei tanti ice bar in giro per il mondo, dove tutto, dal bancone al bicchiere è di ghiaccio e all’insegna della vodka. Il più famoso è ad Amsterdam e ripercorre idealmente il viaggio dell’esploratore Willem Barents alla ricerca del passaggio di Nord-Est nel sedicesimo secolo, ma ce ne sono anche a Parigi, Londra, Stoccolma (il primo a essere stato aperto), Montreal, Città del Messico, Barcellona (sulla spiaggia), Budapest, Praga, Dubai e, in Italia, a Roma.