Anche i Romani hanno un passato da mangiatori di polenta: la puls – ottenuta mescolando con acqua calda la farina di orzo, miglio o più comunemente farro – ha dominato le tavole della penisola fino all’introduzione del frumento, e di conseguenza del panis. E questo, da status symbol, in meno di un secolo è diventato un tributo pagato dalla Repubblica per il mantenimento della pace sociale. Così la classe di appartenenza ha iniziato a rispecchiarsi nella tipologia di pane: “raffinato” per i patrizi, rustico per i plebei. Proprio come negli anni Quaranta quello bianco era per i tedeschi, mentre il nero sapeva di povertà, di guerra e di fame: accanto alla segale stava la segatura, insieme alla crusca si aggiungevano sabbia e paglia. Questo era il sapore amaro che le persone respingevano, acclamando il pane bianco della rinascita.
Davide Longoni è nipote e figlio d’arte: suo nonno aveva un mulino e dava la farina ai contadini brianzoli, suo padre cominciò a fare il pane (bianco) negli anni Settanta per poi trasformare il panificio di Carate Brianza in superette, un supermercato in miniatura con tanto di salumeria, frutta e verdura. Quando negli anni Novanta Davide si affaccia nell’azienda di famiglia viene dissuaso dal proseguire in quel settore messo in ginocchio dalla Gdo. E così si allontana per conseguire la laurea in lettere, che gli frutta un’occupazione presso una delle agenzie fotografiche più importanti al mondo.
Una posizione che però non lo gratifica abbastanza, perché non gli dà il pieno controllo della “filiera”. Un controllo che invece potrebbe avere cominciando a fare il pane, ma alla sua maniera: grani antichi macinati a pietra, lievito madre e grandi formati sono i pilastri della rivoluzione che muove i suoi primi passi nel 2003, nel laboratorio di famiglia.
Dieci anni più tardi, dopo aver creato non solo un prodotto ma anche un mercato in una città che non era pronta per un pane nero e acido, Davide Longoni sbarca in Porta Romana grazie all’occhio e all’intuito di Tatiana Moreschi, sua socia e compagna. In quel «negozio un po’ sfigato ma pieno di potenzialità di via Tiraboschi 19» cambia il racconto di un bene primario, finalmente maturo per liberarsi dagli standard di gusto e di prezzo. Il “pane agricolo” ha nomi diversi, figli di farine diverse, e merita un prezzo diverso se tutte le persone che operano lungo la filiera vengono retribuite dignitosamente, dal contadino al negoziante. E il costo della dignità – se si fanno le cose senza trucco e senza inganno – non è quello a cui ci eravamo abituati.
Non è fatto di soli foodies il pubblico di via Tiraboschi: il negozio diventa in poco tempo un luogo di aggregazione per tutto il municipio 4, che oggi può vantare ben quattro punti vendita. A questi si aggiungono il negozio di San Michele del Carso e quello che aprirà entro fine marzo in piazza Piemonte, che rappresentano la volontà di espansione verso ovest. Ogni locale ha la sua identità e il suo team indipendente, proprio come il corner nel Mercato Centrale, autonomo anche nella produzione (al contrario degli altri, che invece fanno capo al laboratorio di via Tertulliano).
Con questo progetto Davide Longoni si è spinto fuori dalla zona di comfort delimitata dal quartiere, offrendo ai viaggiatori in arrivo e in partenza un prodotto meno banale della focaccia e della pizza alla pala: la michetta farcita, nata dalla disobbedienza di Davide Orlando. Come il suo mentore, prima di lui, si era ribellato ai piccoli formati del panificio paterno, il giovane Orlando ha disobbedito alla pagnotta da chilo riproponendo il panino brianzolo per eccellenza. Ma lo ha fatto in perfetta coerenza con la filosofia Longoni, imparando a dosare il lievito di birra e usando una farina di filiera, seppure raffinata.
L’obiettivo è sempre quello di diffondere e incrementare il valore culturale, ambientale ed emotivo del pane, che va raccontato, spiegato e motivato. Con questo scopo nasce L’integrale, una rivista-libro in cui il pane e il cibo in senso esteso sono trattati come «fatto culturale essenziale e trasversale», e diventano dunque un filtro attraverso il quale interpretare l’umanità, con saggi, reportage, poesie e ricette. Un’avventura editoriale dai risvolti “educativi”, perché difficilmente si può fare cultura senza un minimo di formazione.
E in questo scenario si colloca anche Madre Project: una scuola concepita in collaborazione con Andrea Perini – fondatore dell’organizzazione no profit Terzo Paesaggio – che non insegna solo a fare il pane, ma anche a fare impresa, in modo connesso con un territorio inteso come unione tra ambiente e persone circostanti.
Longoni è un brand milanese che vuole restare milanese mirando alla diffusione capillare del suo modello multi-format. Fuori dalle mura della città ambrosiana sceglie di non esportare prodotti, ma visioni e metodologie (ne è un esempio il panettone californiano realizzato nel laboratorio KitchenTown di San Francisco con materie prime locali). L’impatto indiretto assume così portata (inter)nazionale, grazie alle centinaia di persone che negli anni sono entrate nella grande famiglia e non ne sono mai veramente uscite. Forno Brisa, Crosta, Le Polveri, Forno Del Mastro sono solo alcune delle realtà di “ispirazione longoniana” che si scambiano segreti alimentando un mercato senza concorrenti e costruendo una rete di panificatori in cui c’è posto per tutti.
Tutte le fotografie credits @Davide Longoni