Le persone che abitano questa Terra sono circa otto miliardi e più di un ottavo abita l’India e beve masala chai – dall’hindi मसाला चाय: masala, miscela di spezie e chai tè – dalla mattina alla sera con una media di circa quattro tazzine (che in realtà sono piccoli bicchieri in vetro o acciaio inox) al giorno, tanto che se ordinate un tea vi viene servito un masala chai. Se volete un tè caldo semplice dovete chiedere un black tea.
Non importa se per voi il caffè italiano è il nettare degli dei e bevete solo il vostro amato espresso, appena metterete piede in India non potrete rimanere che incuriositi da questa bevanda tradizionale che per forza di cose irromperà sul vostro cammino.
Per capire cosa viene servito dai chaiwala (wala indica “quello che…” fa o vende qualcosa, in questo caso il chai, ed è utilizzato per i mestieri che si svolgono nelle strade indiane) che sono ovunque ed esattamente nel luogo e nel momento in cui sentirete il bisogno di sorseggiare un tè, è necessario fare un tuffo nella storia di questo Paese.
Sull’origine e il momento della sua apparizione le versioni sono varie e diverse, ma quello che pare essere certo è che tra i cinquemila e i novemila anni fa il masala chai è apparso come un’espressione della medicina ayurvedica – qui una filosofia, uno stile di vita prima che una disciplina olistica universalmente praticata che considera l’essere umano nella sua totalità dal punto di vista fisico, psichico e spirituale – capace di dissetare, rilassare e curare disturbi lievi grazie alle proprietà benefiche delle spezie, uniche protagoniste della prima versione di chai.
Nel diciannovesimo secolo, con l’arrivo degli inglesi, in India sono cambiate molte cose ed è nato il masala chai come lo conosciamo oggi. Sono state istituite le prime piantagioni di tè, che fino a quel momento era utilizzato dalla popolazione indiana a scopo medicinale, ed è diventato così bevanda. La prima regione a ospitarle è stata quella di Assam: la più vasta per coltivazione di tè al mondo.
Ma ancora agli inizi del Novecento il tè, che fece ingresso nella ricetta del masala chai, rimaneva un prodotto d’esportazione ancora troppo costoso per diventare una bevanda popolare e si pensa che l’aggiunta di latte, zucchero e spezie sia proprio giustificata dal suo prezzo e dal fatto che, aggiungendo altri ingredienti, se ne potesse usare meno.
L’Indian Tea Association iniziò a promuovere il consumo – anche per limitare quello del caffè arabo e del tè cinese che si stavano rapidamente diffondendo – soprattutto presso la prima casta del sistema, nonché la più facoltosa e capace di dettare usi e costumi: quella dei brahmini, i sacerdoti.
Il prezzo del tè divenne più accessibile con l’introduzione del metodo Crush, Tear, Curl (Ctc), un processo meccanizzato che permette l’abbattimento dei costi finali e la massimizzazione della produzione (il 95 per cento del tè nero è prodotto con questo metodo). Il Ctc permette una suddivisione del prodotto finale in quattro categorie in ordine di qualità – foglia, brokens, fannings e polvere – le ultime delle quali destinate alla produzione di miscele o tè in bustine. Il masala chai in India viene preparato praticamente sempre con Ctc tea soprattutto per la sua infusione intensa e il sapore corposo.
Dove e quando si beve il masala chai?
Innanzitutto, da un punto di vista sociale, il chai è un elemento culturale di aggregazione e socialità paragonabile al nostro caffè, ecco perché l’invito a berlo non si rifiuta mai. Viene preparato facendo bollire acqua e spezie, che possono essere diverse da ricetta a ricetta e da zona a zona – solitamente cardamomo, cannella, pepe nero, chiodi di garofano e zenzero (quando ne contiene molto e ha una piccantezza notevole è chiamato ginger tea) – si unisce il tè per infusione, poi lo zucchero, in quantità generosa, e latte vaccino intero.
L’assemblamento dei vari ingredienti, passati da un recipiente a un altro per ottenere il giusto bilanciamento, è uno spettacolo affatto scontato agli occhi di noi occidentali. Viene servito normalmente a temperature che sfiorano quelle laviche in bicchierini di vetro o di acciaio inox (senza manico!) o in coppette di carta usa e getta – se espressamente richiesto – che assomigliano in tutto e per tutto a quelle che noi utilizziamo per il gelato.
La prima forma di consumo è la preferita perché gli indiani, che hanno una percezione del tempo che non li porta mai ad avere particolare fretta, lo sorseggiano volentieri, rigorosamente in piedi, al banco o in mezzo alla strada, chiacchierando e restituendo il bicchiere una volta finito.
Questa bevanda si consuma in ogni angolo – e non – delle strade, ma è possibile acquistarla anche da chioschi ambulanti che vengono spostati a mano o in bici. I negozi dove viene servito, a un prezzo di dieci o quindici rupie, equivalenti a dieci o quindici centesimi, sono paragonabili ai nostri bar.
Oltre al tè, che è sicuramente il prodotto di punta e che solitamente è preparato in una piccola porzione della struttura che dà sulla strada, come un banco bar, vendono altre bevande confezionate, snack confezionati oppure prelibatezze salate prodotte artigianalmente come i samosa, fagottini triangolari di pasta fritta o al forno ripiena di verdure o carne speziata, le pakora, frittelline vegetariane tradizionali fritte, o la paratha, una mini focaccia sfogliata morbida e croccante, uno dei cibi di strada preferiti negli Stati indiani meridionali del Kerala, Karnataka e Tamil Nadu. Insomma, il masala chai sembra stare bene con tutto.
Il momento giusto per gustarlo durante la giornata semplicemente non esiste ed è del tutto arbitrario, anche se dalle sedici alle diciotto è evidente un’affluenza di persone maggiore rispetto a tutti gli altri orari: è un momento tra la merenda e il nostro aperitivo.
Le valli incantate del Kerala
In Kerala, Stato a sud dell’India, è possibile visitare le piantagioni di tè più alte del mondo nonché le più vaste del Sud indiano. Per arrivare a Munnar, che sorge sulla confluenza di tre fiumi di montagna – Mudrapuzha, Nallathanni e Kundala – a milleseicento metri sopra il livello del mare, attraverserete paesaggi che sembrano dipinti da quanto affascinanti. Non a caso, lo slogan di questa zona è God’s Own Country.
Qui, l’agricoltura si pratica dalla fine dell’Ottocento per intuizione di un ufficiale inglese e, oltre al tè, la cui produzione è oggi gestita dalla Tata Tea Company e le cui piantagioni accolgono come in una valle incantata, è ricco di giardini di spezie, specialmente di cardamomo, e fiori, tra cui il Kurinji che fiorisce – con i suoi fiori a forma di campana blu brillante – una volta ogni dodici anni.
A Munnar praticamente chiunque lavora nelle piantagioni di tè, gli estate sono di proprietà di Tata che fornisce ai lavoratori le case che devono poi essere restituite una volta raggiunta l’età del pensionamento. La struttura sociale è quindi fortemente legata al mondo del tè e spesso, per poter rimanere lì e non perdere la casa, anche i figli e le figlie dei lavoratori e delle lavoratrici delle piantagioni finiscono per fare lo stesso lavoro dei genitori, tramandandolo per generazioni.
Qui il Tea Museum permette di vedere da vicino il processo di produzione (obbligatorio bere anche un bicchiere di black tea in purezza).
Se a questo punto vi è venuta voglia di bere un masala chai bollente non fate l’errore di ordinarlo da Starbucks. Non è esemplificativo e potreste rimanerne delusi anche se, contro il mal d’India, può funzionare.
Tutte le fotografie sono di Maria Vittoria Caporale