Irresponsabilità vaticanaLe sconcertanti parole del Papa su Israele che nessuno ha ascoltato

Nell’intervista in cui chiedeva all’Ucraina di alzare bandiera bianca, il Pontefice ha attribuito le cause della guerra al commercio delle armi e ha equiparato lo Stato ebraico a Hamas, dimenticando l’aggressione del 7 ottobre e la ferocia antisemita di terroristi

AP/Lapresse

L’attenzione di tutti si è ovviamente soffermata, con ovvio scandalo, sulla bandiera bianca che Papa Francesco ha così inopportunamente chiesto all’Ucraina di alzare, arrendendosi così all’aggressione russa. Ma il Pontefice nell’intervista alla televisione svizzera non si è limitato a questo. Non ha solo offerto una ghiotta sponda alla tracotanza aggressiva del Cremlino per la disperazione della diplomazia vaticana che si è inutilmente sprecata per negare l’evidenza di una scandalosa scelta di campo filorussa.

Papa Francesco ha fatto di più. Ha anche messo sullo stesso piano Israele, uno Stato pienamente democratico, e Hamas, un’organizzazione terrorista autrice del più sanguinario pogrom dopo il 1945.

Le sue parole sono state inequivocabili: «La guerra la fanno in due, non in uno. Gli irresponsabili sono questi due che fanno la guerra». Dunque, Israele e Hamas sono messi sullo stesso piano di responsabilità per il conflitto. Di nuovo, non un aggressore, Hamas, e un aggredito, Israele.

Ma non solo, il Pontefice ha definito Hamas «un movimento che non è un esercito», sottolineando così il suo carattere eminentemente politico, là dove Hamas è invece e in toto una organizzazione terrorista non un «movimento» – che ha un braccio militare esattamente strutturato come un esercito, con i gradi, i battaglioni, i diversi tipi di armi. Il jihad contro gli ebrei, la guerra in nome dell’islam è la sua ragion d’essere che sfugge totalmente al Pontefice. Il tutto, non per la prima volta, senza il minimo accenno alla causa di questa guerra: il pogrom del 7 ottobre.

È questo l’ennesimo schiaffo a Israele dal Vaticano dal 7 ottobre in poi, compresa quell’accusa a Israele di commettere un “genocidio” lanciata, e poi inutilmente smentita, davanti ai parenti dei palestinesi vittime di Gaza, il tutto aggravato dall’accusa agli ebrei di Israele di essere vendicativi e senza pietà contenuta in molte prese di posizione della Chiesa.

Un accanimento contro lo Stato ebraico e una totale sottovalutazione della ferocia antisemita e terrorista di Hamas, così tante volte reiterati da questo pontificato, al punto che il rabbino Riccardo Di Segni ha detto che dal mondo cattolico dopo il 7 ottobre sono arrivati all’ebraismo «un miscuglio di dichiarazioni politiche e religiose che ci hanno reso perplessi e offesi». Di Segni ha quindi denunciato «una teologia regredita, un’incomprensione sostanziale della situazione. Sono stati fatti molti passi indietro nel dialogo ed è necessario riprendere il filo del discorso».

Ma non solo. Di Segni ha anche contestato, giustamente, un punto cardinale della predicazione di Papa Francesco, il valore assoluto della pace e il rifiuto totale e aprioristico della guerra: «C’è la preghiera per la pace, ma non avete il monopolio della pace. La pace la vogliamo tutti, ma dipende da quale. La pace non può prescindere dalla sconfitta di Hamas perché chi fa il male deve essere sconfitto, come accade con i nazisti nel 1945. E non si può accettare l’idea che la guerra sia di per sé una sconfitta per tutti».

Non a caso, il totale abbandono da parte di Papa Francesco del cammino di riflessione tormentata della Chiesa, durato duemila anni, sul tema della “guerra giusta” si accompagna a un suo incredibile convincimento: che la guerra sia provocata non già da un uomo che è pur sempre erede di Caino, bensì «dal commercio delle armi».

È questa una tesi sempre ribadita dal Pontefice: «Dietro le guerre c’è il commercio delle armi». Una tesi ripetuta anche nell’intervista alla televisione svizzera: «Può essere una guerra che sembra giusta per motivi pratici. Ma dietro una guerra c’è l’industria delle armi, e questo significa soldi».

Dunque, per Papa Francesco, la guerra non è il prodotto misterioso ma ineluttabile della condizione umana, ma degli arcani intrighi dell’industria e del trading delle armi.

Una convinzione di una banalità, di una superficialità, di una inattendibilità che lasciano basiti. Una accusa degna del più vieto populismo da parrocchia latino-americana che non spiega come mai per molti millenni gli esseri umani si siano sbranati in guerre senza che vi fosse una traccia che fosse una di un «commercio delle armi» che, come sanno anche i bambini, è iniziato solo a metà del diciannovesimo secolo. Come se le Crociate fossero state promosse dai fabbri fabbricanti di spade.

Ma non basta, per rafforzare il suo ragionamento e la sua richiesta di pace a prescindere da chi sia l’aggressore e chi l’aggredito, Papa Bergoglio ha detto una falsità: «In fondo, le due guerre mondiali sono terminate con un accordo». Nessun accordo invece nel 1918 e nel 1945. Sempre e solo resa incondizionata degli Imperi Centrali e poi della Germania nazista (e del Giappone), come tutti ben sanno. Un Pontefice sconcertante.

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