Che un rettore di molto ignorante faccia la figura del peracottaro ingarbugliandosi nella fine analisi da sottoscala di centro sociale secondo cui “l’antisionismo non è antisemitismo” sorprende poco. Ma quel ridicolo esempio di rimasticature da mezze stagioni scomparse e non ci sono più gli artigiani di una volta denuncia una realtà di pregiudizio e fraintendimento molto più vasta e implicante.
E non mi riferisco tanto a ciò che l’“antisionismo”, di fatto, rappresenta nelle strade e lungo i cortei degli ultimi mesi, vale a dire il desiderio di repulisti dal fiume al mare: mi riferisco piuttosto alla diffusa e sbagliatissima idea, di cui quell’accademia delle otto e mezza si fa propalatrice, che al sionismo abbiano appartenuto in passato e appartengano oggi schiere di forsennati che rivendicano su base biblica il diritto all’impronta ebraica su quelle terre.
Questa fesseria, secondo i comparti sociali e civili (si fa per dire) in cui è coltivata, assume la voce e la penna dell’analista (si fa sempre per dire) che indugia sul taglio della barba di Theodor Herzl e sulla psicologia dei diari di David Ben Gurion per concludere che quelli erano i segni chiari degli intendimenti imperialisti e genocidiari che un secolo dopo, finalmente, sarebbero stati portati a processo sulla denuncia della coraggiosa democrazia sudafricana; oppure, saltando in redazione combattente o in collettivo studentesco, quella scempiaggine si pone a denuncia di un sionismo fatto di ministri che distribuiscono fucili mitragliatori nei chioschi per strada, con schiere di assetati di sangue che ne fanno incetta per sparare in testa a tutto ciò che si muove senza essere bardato di filatteri.
Il guaio è che quello è sionismo – che so? – tanto quanto è democratico un broglio elettorale, o tanto quanto è Italia il revolver eminente sul piatto di spaghetti. Cosa che sa, o che almeno dovrebbe sapere, chiunque: ma cosa che non sa, o almeno fa le mostre di non sapere, chi si rappresenta e rappresenta la scena del sionista che la sera si mette davanti alla webcam annunciando i suoi propositi stragisti.
Che la società israeliana sia preponderantemente sionista – e che tale sia nel significato proprio del termine, che non è davvero quello di cui si straparla – è naturalmente un dettaglio che non turba quelle certezze da cattedra televisiva o da sfilata filoterrorista. E il fatto che quest’altro tipo ignoranza, o la malafede che ne fa le veci, siano il carburante incendiario che minaccia l’esistenza, letteralmente, un intero popolo, è una specificità inedita nella lunga storia della persecuzione del popolo ebraico. La giustificazione dell’antisemitismo su base antisionista, infatti, è banalmente, quanto tragicamente, sempre esistita: ma non aveva mai assunto i tratti odierni. Finora indugiava perlopiù, per via contraffattoria, sulle malefatte appunto inventate o non rappresentative del sionismo.
Ora è – si passi l’assurdo – più rozzamente raffinata e procede sulla scorta di un altro tipo di negazionismo: l’antisemitismo per via antisionista che, non avendo più bisogno di “riempire” di male il sionismo, lo ritrova in autosufficiente flagranza di ignominia nel kibbutz pacifista e lo ammazza nella culla. C’è quel bambino sgozzato all’altro capo dell’ineccepibile distinzione tra antisemitismo e antisionismo.