In Italia, da dopo la tempesta Vaia del 2018 e per colpa del cambiamento climatico, ventimila ettari di foresta (equivalenti a venticinquemila campi da calcio) sono morti a causa di un insetto grande al massimo cinque millimetri: il bostrico. Appartiene all’ordine dei coleotteri, vive principalmente in alberi stressati o degradati e sta causando danni enormi alle foreste europee e nordamericane.
Quando arriva la primavera, il coleottero maschio individua un tronco in cui riprodursi, entra sotto la corteccia e inizia a “scrivere”: il nome latino del bostrico è Ips typographus, il coleottero tipografo, appunto perché scava delle gallerie dentro il tronco dell’albero che sembrano segni tipografici. Dopo essersi accoppiato con la femmina della sua specie, le larve procreate (fino a ottanta per coppia) vengono depositate dentro le gallerie. Da quel momento iniziano a nutrirsi della parte interna della corteccia, utile per la circolazione della linfa nella pianta. Una volta adulto, il bostrico lascerà l’albero, ormai prossimo alla morte, e sarà pronto per un nuovo ciclo riproduttivo.
Girando in macchina sui passi alpini e guardando fuori dal finestrino la pineta si possono notare delle macchie scure in mezzo al verde degli aghi di pino. Intere porzioni di bosco che vanno in controtendenza con la parola “sempreverde”. Quelli sono alberi attaccati dal bostrico. Di per sé il coleottero tipografo è un animale integrato nel biosistema montano ed è utile alla biodiversità, per esempio come cibo per le altre specie. Ma da alcuni anni l’equilibrio montano si è rotto: negli ultimi dodici mesi la temperatura media è stata superiore di 1,58°C rispetto ai livelli pre-industriali (1850-1900), gli alberi hanno sofferto lo stress idrico dovuto alla siccità e gli eventi meteorologici estremi sono aumentati.
Questi tre elementi hanno creato le condizioni perfette per far sì che il bostrico passasse da “mangiatore di alberi morti” a “infestatore di alberi vivi” anche in zone storicamente troppo fredde per ospitarlo, come ha spiegato a Linkiesta Giorgio Vacchiano, ricercatore dell’Università degli Studi di Milano in Gestione e pianificazione forestale: «Il bostrico è presente soprattutto dove c’è il suo ospite principale che è l’abete rosso. Per questo motivo, da diversi anni va ormai diffondendosi in Francia, in Repubblica Ceca, in Germania e in Austria. Adesso però è arrivato anche in Svezia, Norvegia e Regno Unito, ovvero Paesi freddi. A causa del riscaldamento globale e dell’aumento della siccità e del grado di stress degli alberi, i boschi diventano più suscettibili e il coleottero arriva dove prima non riusciva a sopravvivere». In alcuni boschi del Trentino l’insetto è stato trovato anche a quote attorno ai duemila metri.
Ed è proprio la crisi climatica ad aver fatto arrivare l’insetto tipografo sulle Dolomiti: la tempesta Vaia ha causato un’enorme quantità di alberi morti, ottimi per la riproduzione del bostrico. Una volta finiti quelli morti, l’insetto ha iniziato anche ad attaccare i tronchi in salute, colpendo un territorio che non era preparato. «A sud delle Alpi noi non abbiamo nessuna esperienza. Questa è la prima infestazione su larga scala a cui assistiamo storicamente», spiega Vacchiano.
Anche le istituzioni dell’Unione europea stanno valutando una normativa ad hoc. È in fase di discussione la normativa per istituire a livello comunitario il monitoraggio delle foreste e dei piani strategici, l’obiettivo, si legge sulla proposta, è quello di «fornire un accesso aperto a informazioni dettagliate, accurate, regolari e tempestive sulle condizioni e sulla gestione delle foreste europee». Finora non esiste uno strumento comunitario e, come capita spesso, ogni Stato membro agisce per conto suo. Se approvata, questa nuova regola porterà un miglioramento dei già ottimi sistemi di monitoraggio usati dai singoli Stati, come il sistema adoperato in Svezia, che trova gli alberi attaccati dal bostrico mediante sistemi satellitari e intelligenza artificiale.
«Però è solo un monitoraggio – spiega Vacchiano parlando del regolamento europeo – chiaramente ci può servire per accorgerci prima dei problemi visto che ne sperimenteremo sempre di più, ma non stanzia, ad esempio, risorse per il ripristino oppure non sperimenta nuove tecniche per proteggere le foreste. È semplicemente un check e poi ogni Stato membro dovrà scegliere come intervenire». Dal punto di vista forestale la Commissione europea non ha competenza esclusiva e ogni Nazione gestisce le proprie risorse, come l’Austria che ha scelto di utilizzare i droni in Tirolo per distribuire semi di alberi sui luoghi devastati dall’insetto.
Dato che l’Unione europea non riesce a gestire la situazione, sono nate associazioni paneuropee per proteggere e gestire in modo sostenibile le foreste. Una di queste è Forest Europe, nata nel 1990 e che conta quarantacinque Paesi firmatari (più l’Unione stessa). Nel luglio del 2023, in Repubblica Ceca è stato organizzato un convegno con esperti provenienti da sedici Nazioni. Durante i tre giorni dell’incontro, i vari Stati hanno parlato della gestione del bostrico e di come si può fare per prepararsi meglio alle future epidemie.
Una proposta su come gestire l’emergenza è arrivata da Tomas Hlasny, ricercatore in Scienze forestali e del legno dell’Università di scienze biologiche di Praga: «Le operazioni di salvataggio e sanitarie sono state una pietra miliare nella gestione dei coleotteri tipografi. Tuttavia, rappresentano solo un elemento della strategia di gestione del rischio che può mitigare future epidemie. Una gestione efficiente richiede l’integrazione di selvicoltura e monitoraggio, lo sviluppo dello stoccaggio di legno e della sua capacità di trasporto, la formazione dei lavoratori del settore, la pianificazione territoriale e il restauro delle aree danneggiate per evitare i rischi futuri. Il ciclo di gestione dell’emergenza è costituito da: preparazione, prevenzione, risposta e recupero. Queste quattro fasi possono fornire un quadro pratico dove integrare le azioni elencate in piani nazionali di gestione del rischio».
In Italia il bostrico sembra in calo. In Trentino nel 2023 si è registrata una riduzione del cinquantotto per cento rispetto all’anno prima, ma questo non vuol dire che i problemi siano finiti: «Si è visto all’estero che queste popolazioni hanno una durata di sei, sette anni e nei primi tre anni raggiungono il loro picco – ha detto Vacchiano – ovviamente la crescita esponenziale ha un limite che viene raggiunto o quando comincia a mancare il cibo, ma non è il nostro caso, o quando aumentano i predatori, come i picchi. Per questo motivo, si consiglia di non abbattere, a meno che non sia assolutamente necessario, le piante morte perché da lì il bostrico è probabilmente già andato via e quegli alberi ospitano i suoi predatori naturali».
Serve un altro modo di pensare il bosco. Le estese coltivazioni di abete rosso, usato perché pregiato e molto richiesto sul mercato, a causa delle sue radici superficiali è più suscettibile alle alte temperature. «Adottare il pensiero resiliente ci consente di vedere i disturbi naturali come opportunità per creare foreste nuove – scrive Hlasny nel suo progetto – Serve attuare riforme che migliorino la capacità del settore forestale di adattarsi e riprendersi dagli shock futuri in modo più efficiente».
Ma riuscirà il settore del legname a convertire la sua industria? Dalla tempesta Vaia il prezzo del legname è calato a causa dell’altissima domanda di legno (si è passati da circa settanta euro per metro cubo per le vendite “in piedi”, ad un minimo storico di diciassette euro nel terzo trimestre del 2020) e adesso, come si può leggere sull’articolo del Corriere Trentino, è in ripresa nonostante i danni da Bostrico. Ma il mercato, secondo alcuni esperti, sarà sempre più suscettibile ai cambiamenti climatici e all’epidemia di insetti. Per questo motivo bisognerà cambiare il mercato del legno, prima che sia troppo tardi: «I boschi alpini di abete rosso sono più o meno gli unici che vengono gestiti regolarmente e che riescono a fornire materiale alle segherie. Tutto il resto, comprese le latifoglie, le importiamo da fuori. Se però ci sarà meno abete rosso anche questa piccola parte a cui le nostre segherie sono abituate salterà e quindi il mercato del legno, i consumatori o le aziende di trasformazione dovranno capire dove prendere un materiale che sarà sempre meno disponibile», conclude Vacchiano.