A dispetto di una manciata di instant-teorie del complotto nate questa settimana, l’inseminazione delle nuvole per produrre pioggia non ha affatto causato le devastanti alluvioni di Dubai e di altri paesi del Golfo. Quelle erano però teorie del complotto efficienti, a presa istantanea, perché partivano un fatto vero e non troppo noto, che da decenni in varie parti del mondo siamo in grado di stimolare artificialmente precipitazioni, e lo mettevano in un rapporto di causa effetto inventato con la notizia del giorno.
C’è un commento perfetto al modo miserabile con cui è stato trattato il disastro di Dubai (mentre in contemporanea ignoravamo quello da centinaia di morti in Pakistan e Afghanistan). Lo aveva messo in bocca Kurt Vonnegut a uno dei suoi personaggi del romanzo “Ghiaccio-nove” (1963): «La scienza è magia che funziona». È una magia che funziona, anche se ce lo dimentichiamo, finché non ci torna utile per la polemica del giorno.
Il cloud seeding è una di queste magie che funzionano, come altre su cui sarebbe necessario avere un dibattito trasparente e informato perché presto potrebbero funzionare anche troppo, come la schermatura della radiazione solare per abbassare la temperatura della Terra. Sono tutte tecniche di geoingegneria, la modifica del clima e del meteo su piccola o vasta scala. Sono temi che il il discorso pubblico ignora, come se non esistessero e non ci riguardassero, finché non c’è da andare a traino di un video complottaro, e allora si può finalmente parlare di cloud seeding, ovviamente nel modo sbagliato e per avere conversazioni del tutto inutili.
L’inseminazione delle nuvole per stimolare la pioggia è in effetti una magia che funziona abbastanza bene, da decenni, ma non può funzionare nemmeno lontanamente su una scala tale da causare inondazioni con un tempo di ritorno di più di un secolo e scaricare in ventiquattro ore la pioggia che cadrebbe in un anno e mezzo. Kurt Vonnegut lo sapeva bene: quella tecnica l’aveva perfezionata, e di fatto inventata nella sua forma moderna, suo fratello maggiore Bernard, che era un fisico dell’atmosfera e lavorava per il General Electric Research Laboratory.
Lì un collega di Bernard, Vincent J. Schaefer, aveva scoperto che un granello di ghiaccio secco poteva produrre milioni di cristalli di ghiaccio e spingere una nuvola a scaricare pioggia (o neve). Vonnegut scoprì che la tecnica funzionava molto meglio con i sali di argento, che da decenni sono ancora quello che piccoli aerei (anche negli Emirati) sparano sulle nuvole per far piovere. Mai però lontanamente in proporzioni in grado di allagare aeroporti e mettere in ginocchio metropoli.
C’è però qualcosa che può causare questi fenomeni, in modo incontrollato e imprevedibile: riempire per decenni e secoli l’atmosfera di gas a effetto serra, un sottoprodotto inevitabile del consumo di fonti fossili di energia. L’alluvione di Dubai era in effetti un fenomeno causato dagli esseri umani, anche da alcuni esseri umani residenti a Dubai, ma non a quelli dei video complottisti alla guida di aerei che inseminano le nuvole. C’è qualcosa di istruttivo nella nostra ricerca permanente di nuove spiegazioni per i cambiamenti climatici, nonostante conosciamo ormai perfettamente le cause.
Gli effetti della crisi sono spesso nuovi, e ogni anno continueremo a sperimentarne, e saranno sempre storie interessanti e terribili da raccontare. Le cause invece non cambieranno, e saranno sempre principalmente tre: il carbone, il petrolio e il gas. Eppure questa è la parte degli articoli che fa sbadigliare, che sembra pedante, già letta, già sentita. Sì, l’avete in effetti già letta, e continuerete a leggerla, perché la causa è sempre quella. La fascinazione che in tanti hanno provato nella spiegazione del cloud seeding ci mostra quanto siamo più propensi alla noia che all’azione, e che la banale meccanica dei cambiamenti climatici ci ha stancato ancor prima di esserci avvicinati a risolverla.
Il cloud seeding è in effetti una grande storia. Al fratello scrittore l’invenzione della pioggia artificiale doveva sembrare perfetta per un romanzo, qualcosa di troppo incredibile per essere vera. E “Ghiaccio-nove”, uno dei suoi libri più belli, parte in effetti da questo, la scoperta di uno degli inventori della bomba atomica, a cui Vonnegut dà il nome perfetto di Felix Hoenikker, che mette a punto una tecnica che può cristallizzare tutta l’acqua del Pianeta. Vonnegut è stato uno dei più grandi anti-militaristi del Novecento, e il suo “Ghiaccio-nove” era un’arma, l’ennesima arma assurda dell’esercito americano su cui Vonnegut faceva così spesso e così bene satira.
Anche il vero cloud seeding inventato dal fratello era stato usato come tecnologia di guerra, in Vietnam, per rallentare i movimenti delle truppe nemiche. Era ancora troppo rudimentale, però. Nel 1977 Stati Uniti, Urss, India e diversi Paesi europei firmarono una convenzione che metteva al bando le modifiche del meteo per scopi militari. Si vede che non funzionava abbastanza bene come arma, altrimenti non avrebbero mai accettato.
Da allora, l’inseminazione delle nuvole ha avuto gli usi più svariati: a Pechino l’hanno usata per far piovere prima della cerimonia inaugurale dei Giochi, in Nevada ha aumentato la copertura nevosa del dieci per cento, a Dubai la usano per affrontare i lunghissimi periodi secchi, che diventeranno sempre più secchi, come prevedono i modelli (gli stessi che avevano previsto quel tipo di tempesta).
A un certo punto la geoingegneria diventerà un tema di dibattito: perché l’urgenza di intervenire su vasta scala aumenterà sempre di più, le tecnologie diventeranno più efficienti, mentre gli strumenti di governance rimarranno quelli fragili di sempre. Se la crisi climatica si aggrava (come sembra si stia aggravando), queste tecnologie diventeranno una sorta di ultima speranza per l’umanità. Sarebbe utile farci trovare pronti con delle idee su come regolarle, invece di usare questo tema come mangime per negazionisti.