Se ieri nella riunione della direzione del Pd si fosse votato sull’idea di mettere il nome di Elly Schlein nel simbolo, la medesima Elly Schlein sarebbe finita in minoranza o come minimo avrebbe avuto una marea di voti contrari. Ecco perché lei stessa ha evitato il voto su questa questione ottenendo un po’ bizzarramente (un regalo di chi era contrario) una delega in bianco a decidere: cosa che la segretaria deve fare oggi. Il nome del segretario nel logo sarebbe una novità, o quasi. Non è mai successo nella storia del Pd tranne che alle politiche del 2008, le prime per il partito fondato qualche mese prima, nel logo misero “Veltroni” che era il candidato a palazzo Chigi.
Matteo Renzi, che pure è stato un simbolo del leaderismo, non inserì mai il suo nome (Gianni Cuperlo ricorda male) né tantomeno Pier Luigi Bersani, di cui da ieri circola in rete un video in cui boccia nettamente questa scelta, o Enrico Letta. La notizia vera è che su questa proposta avanzata da Stefano Bonaccini, che ormai marcia in tandem con la leader, si sono scagliati da una parte Marco Sarracino, della sinistra di Andrea Orlando, con Peppe Provenzano, e dall’altra Dario Franceschini, cioè le “colonne” di Schlein che, per sua fortuna ha potuto contare sulla tradizionale non ostilità dei riformisti.
Ma perché Elly Schlein, che per formazione politica dovrebbe essere allergica a ogni forma di leaderismo qual è quello che inevitabilmente scaturisce da un simbolo col nome del segretario/a, insiste tanto su questa formula? Lei ha spiegato chiaramente che è per dare il giusto peso al «valore aggiunto» offerto dalla sua persona: almeno un punto percentuale, secondo un sondaggio mostrato tempo fa da Bruno Vespa. Come fare per acchiapparlo? In due modi: o candidandosi ovunque o, appunto mettendo Elly Schlein nel logo. Ma siccome candidarsi in tutta Italia creerebbe problemi soprattutto alle donne candidate, è la seconda ipotesi, diciamo noi, la più forte.
Tralasciando l’ipotesi che, per usare un’espressione di un membro della Direzione, Elly sia «una megalomane», bisogna considerare anche che da sempre la leader Pd intende polarizzare le elezioni tra lei e Giorgia Meloni, un’altra leader che metterà il nome nel simbolo del suo partito, nella convinzione che questo riporti tanti astenuti di sinistra al voto a Schlein come argine allo strapotere di questa destra. E così non è imprevedibile che le europee vivranno sulle polemiche fascismo-antifascismo e quant’altro: il caso Scurati ne è il succulento antipasto. Altro che Europa!
Ma certo tutta questa storia è strana. Schlein ha comunicato ai membri della segreteria questa idea ieri mattina presto, nessuno ne sapeva nulla: «O facciamo così o mi candido dappertutto». Ha voluto mettere tutti davanti al fatto compiuto. Forse avrebbe dovuto prepararlo meglio, questo colpo di teatro, evitando che in direzione le saltassero addosso proprio i suoi sostenitori. Per non dire di Romano Prodi che ha sganciato una bomba mica male: «Così si chiede agli elettori di dare il voto a una persona che di sicuro non ci va a Bruxelles se vince. Queste sono ferite alla democrazia che scavano un fosso. Questo ragionamento riguarda Meloni, Schlein, Tajani e tutti i leader che si candidano: non è un modo per sostenere la democrazia».
Sulle liste sono confermate tutte le anticipazioni di questi giorni. Cecilia Strada, Stefano Bonaccini, Elly Schlein, Lucia Annunziata i capolista (Schlein al Centro e Isole). Si prevede grande lotta soprattutto al Centro e al Sud. Dal punto di vista della geografia interna, c’è da dire che la tregua con i riformisti reggerà fino alle Europee. Non oltre. Perché la mitica gestione unitaria nei fatti è già saltata soprattutto a causa della condotta autoreferenziale della segretaria. La sinistra ha da muovere più o meno la stessa critica. Ieri persino Nicola Zingaretti (beneficiato da un secondo posto nella lista del Centro, dopo essere stato fatto entrare in Parlamento un anno e mezzo fa) storceva il naso. Nessuno discute che sia un valore aggiunto, Elly Schlein, ma da oggi il numero degli avversari interni è cresciuto.