La grande bellezza La retorica vuota del governo Meloni sull’Italia, tra nostalgia e passatismo

A parole, la Presidente del Consiglio continua a celebrare l’identità nazionale facendo riferimento alla grande portata artistica e culturale che il Paese ha avuto nella storia, dimenticandosi però di parlare del presente

AP/Lapresse

Della parola «Italia» la Presidente del Consiglio sta facendo un mantra. Bene, purché non si tratti di slogan o, peggio, di un ritorno al passato, a un’idea che, anziché unire, separa.

La parola Italia si associa immediatamente a uno stile: moda, gastronomia, qualità della vita, arte. Insomma: bellezza. Tutti ingredienti che qui fioccano da secoli. Il punto è che la concorrenza è cresciuta e il tempo del Grand Tour finito da un pezzo. Un prodigioso passato non basta a mantenere il primato.

Il genio, dunque. Marsilio Ficino ne dà una rappresentazione che ogni artista ha raccolto. Il genio è legato al temperamento malinconico, «uno stato d’animo che amplifica lo stato di veglia e incrementa il dubbio» (Daniela Ferrari). È la malinconia il dono del genio creatore, del talento, della creatività. Ascolta Aristotele: «Coloro che camminano, per così dire, su uno stretto sentiero tra due abissi».

È proprio così. Senza coltivare il dubbio non crei, non esci dal coro, non ti distingui. L’innovazione nasce da lì, dal tentativo di superare l’esistente per avventurarsi lungo orizzonti inesplorati. L’elenco sterminato di geni nati e cresciuti in Italia ci alleggerisce dal peso di elencarli uno a uno, una galleria straordinaria che si è protesa fino all’intero Novecento senza dimenticarsi del millennio nascente.

C’è un però: il genio da solo non basta, sono indispensabili condizioni che politica e istituzioni devono costruire perché il genio – il Made in Italy, in questo caso – venga conosciuto e apprezzato. E le condizioni devono essere almeno quattro, non una di meno.

Uno. Sinergia tra istituzioni e imprese, soprattutto quando hai imprese piccole disseminate sul territorio.

Due. Valorizzazione di identità e radici. Chissà perché i grandi marchi di moda stabiliscono la loro «residenza» a Firenze e dintorni e cercano tagliatori di pellame a un tiro d’arco di distanza. Chi visita la città si accorge che esiste ancora oggi via della Concia, sempre la stessa, dal 1300.

Tre. Investimenti nella tecnologia. Aumentare la qualità del prodotto, abbassare i costi di produzione, formare agli antichi mestieri.

Quattro. Sostegno del prodotto italiano nei mercati internazionali. Magari affidando alle nostre ambasciate, come da anni fanno tedeschi e francesi, funzioni specifiche e fondi adeguati per la promozione del Made in Italy.

Ho concluso. Il governo Meloni ha superato la boa dei diciotto mesi di vita. È l’ora che la parola Italia venga declinata al presente e il Made in Italy è uno dei campi d’azione, se non il primo, il secondo. E un battito di ciglia non è sufficiente.

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