L’orologio da polso è diventato ormai un significante simbolico. Prendiamo l’esempio del Rolex grigio, massiccio, di solito portato con una certa svagata ostentazione alla fine di maniche di camicie sollevate, spiegazzate, azzurre o bianche, è il je ne sais quoi di un’intera generazione di aspiranti, sobri esponenti dell’alta società, un’alta società lavoratrice, dunque borghese, che al giorno d’oggi è però anche l’unica, dunque non ha più senso definirla tale. Diciamo pure, dunque, che il Rolex attraversa ormai obliquamente una classe sociale, che peraltro di solito se lo regala e lo compra, ma non lo tramanda come avviene per altri marchi e modelli. Riceverlo in dono al diciottesimo, alla laurea o al compleanno coincide con uno statuto materiale polivalente.
Ecco perché l’apertura della boutique in galleria Vittorio Emanuele a Milano – resa possibile grazie al brand Rocca 1794 – sancisce e rinsalda questo patto metaforico. Già immaginiamo i giovanissimi, imberbi adolescenti condotti là dalla propria madre o dal proprio padre a prendere le misure, esattamente come si va da Marchesi o da Cova o da Bardelli, in quel quadrilatero, o meglio, in quel pezzetto di terra franca che certi milanesi continuano a frequentare non essendosi ancora convertiti ai quartieri gentrificati. No, loro ritengono piazza san Babila, via della Spiga e la galleria come un’estensione del salotto di casa propria, ma si muovono ormai divisi, disgiunti, solitari, rasente ai muri. La nuova boutique di Rolex, in questo senso, offre loro un ulteriore punto di contatto, un luogo da aggiungere alla propria geografia grammaticale, semantica e territoriale. Merito anche degli interni progettati da ACPV ARCHITECTS di Antonio Citterio e Patricia Viel, che hanno mantenuto praticamente intatta la facciata originaria e i suoi dettagli, riadattandoli in chiave contemporanea.
Tre sono i livelli attraverso cui si snoda il negozio: un piano terra per l’accoglienza dei clienti, un piano ammezzato dedicato esclusivamente alla vendita e un piano superiore. Il piano terra è quasi una prosecuzione della pavimentazione in terrazzo veneziano della Galleria, ne ripropone infatti le geometrie, i motivi e una libreria a doppia altezza in radica collega visivamente il piano terra con il mezzanino. Le pareti in travertino sono illuminate da un lampadario in vetro soffiato con motivi a rombi. All’interno dell’area di vendita del piano ammezzato vengono esposte le creazioni del marchio.
Il design del piano superiore presenta il soffitto restaurato ricco delle tracce di epoche molteplici, diverse. Il meticoloso lavoro di restauro cerca davvero di restituire un fasto ormai perduto, che sembra vicino nel tempo eppure è già passato, poiché solo fino a dieci anni fa un pugno di famiglie decideva di una certa vita sociale della città, rappresentava l’epicentro delle relazioni, un cerchio chiuso dentro il quale non si entrava se non per diritto di nascita, prima degli imperi commerciali, prima dell’estensione urbana che ha dislocato i luoghi del potere, prima degli influencer, prima della vivace democratizzazione di ogni cosa, a causa della quale un certo ceto si è come smarrito, disorientato e nel dubbio è partito, ha abbandonato la città – lo stesso è avvenuto, appena dopo la pandemia, sia a Parigi che a Manhattan.
Qui si trovano invece ancora valorizzati l’artigianato italiano e le lavorazioni storiche, boiserie in noce, lavorazione di ebanisteria. La moving room funge da area espositiva e permette anche la circolazione verticale dei clienti tra i piani, attraverso una scala che si arrampica, dotata della sua pavimentazione a terrazzo.