Correnti europeeTu chiamale, se vuoi, elezioni, ma per il Pd sono un congresso

A nessuno interessano i temi di Bruxelles, le sfide importanti sono quella di Elly Schlein per tenersi il partito, e la conta interna di alcuni capi bastone

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Come quel libro di Oliver Sacks, “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, così il Partito democratico ha scambiato le elezioni Europee per il suo congresso. E questo oltretutto è un po’ una presa in giro dei suoi elettori (la maggioranza) ignari del fatto che dietro il voto ci sono diversi conti interni da regolare. Il primo naturalmente riguarda il futuro di Elly Schlein. Su questo è inutile spendere molte parole: sotto il venti per cento rischia il commissariamento, sopra si salva, con il ventidue e passa è una vittoria.

In questi giorni nel partito nessuno prevede una dura sconfitta, e non solo perché i sondaggi stanno andando più che discretamente. L’aria non sembra essere cattiva, dicono molti candidati. La polarizzazione Schlein-Meloni tanto cercata dal Nazareno sembra prendere corpo anche grazie al duello tv, non a caso osteggiato da Giuseppe Conte, che in questo inizio di campagna elettorale (osanna di Goffredo Bettini a parte) fatica a emergere. Dunque, anche se le cose dovessero andare male non si vede nessuno in grado di scalzare la segretaria. Al massimo si potrebbe delineare un suo “commissariamento” con una nuova segreteria (più difficile l’ipotesi di Paolo Gentiloni come presidente) e probabilmente si aprirebbe una di quelle fasi più o meno lunghe in vista di un chiarimento congressuale.

L’altro importante regolamento di conti riguarda la linea politica, soprattutto di politica estera. Sarà interessante vedere quante preferenze raccoglieranno Cecilia Strada e soprattutto Marco Tarquinio (la rete di cattolici pacifisti sta girando a pieno regime), sostenitori com’è noto di una posizione diversa da quella del partito sugli aiuti all’Ucraina. Non dovrebbe succedere, ma poniamo che Tarquinio ottenga più preferenze di Schlein: quali sarebbero le conseguenze? Non sarebbe il segno che l’elettorato dem si sarebbe attestato su una posizione anti-atlantista? Ma questo semmai è un classico scontro congressuale. Le liste elettorali sono un’altra cosa, cioè sono la proiezione delle idee di un partito nel quale certo ci possono essere sfumature diverse o anche differenze su singole questioni programmatiche, ma non sulla guerra (o sull’aborto), cioè sui fondamentali.

Allo stesso modo il meccanismo delle preferenze rivelerà il peso delle correnti interne con delle specifiche partite interessanti: al Centro, a parte Tarquinio sponsorizzato dalla sinistra di Andrea Orlando, come andrà Dario Nardella sostenuto da Dario Franceschini o Matteo Ricci, nuovo pupillo di Bettini che ha mollato Nicola Zingaretti? E come si comporteranno i candidati riformisti (alcuni di loro, specie al Nord, sono a rischio)? E sarà anche da valutare la forza dei cacicchi al Sud dove il partito di Schlein è più in affanno: un risultato deludente nel Mezzogiorno potrebbe fotografare la crisi di un certo modello di partito. Insomma, le Europee saranno un congresso sulla leadership, sulla linea e sul profilo del partito. Peccato che gli elettori del Partito democratico non lo sappiano.

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