Per molti eserciti europei, il 2022 ha segnato la fine di un’era, con i missili sganciati in Ucraina che hanno simboleggiato sia l’intensificazione del più grande conflitto armato dai tempi della Seconda guerra mondiale, sia il tramonto degli eserciti professionali per i governi dell’intero continente.
Per anni, gli Stati europei hanno fatto affidamento su eserciti di dimensioni ridotte e formati da personale specializzato, che combattevano in Africa o in Medio Oriente, a migliaia di chilometri dal loro Paese di origine, in luoghi dove i nemici avevano a disposizione solo attrezzature scadenti e non conoscevano le tecniche di combattimento tradizionali. Per questo, i soldati europei sono diventati membri di un reparto di polizia altamente specializzato più che truppe pronte a combattere.
Durante la guerra al terrorismo, ai Paesi occidentali sono bastati gli eserciti professionali formati da poche unità, ma oggi, a causa di minacce inedite a cui far fronte, diventa necessario avere a disposizione eserciti di leva. L’Ucraina ha già dimostrato che l’unica difesa possibile è una difesa totale, che si raggiunge solo tramite un esercito di riservisti.
Questo anche perché i Paesi che possono permettersi un esercito professionale formato da un numero sufficiente di soldati sono pochi, e, comunque, anche per loro si tratterebbe di una spesa troppo massiccia nel caso in cui scoppiasse una guerra di logoramento contro truppe numerose e strategicamente capaci. E poi, pensare che la popolazione possa non essere coinvolta in un conflitto del genere è a dir poco ingenuo, e quindi non prepararla a questa evenienza sarebbe un errore. Con una guerra alle porte dell’Europa si devono prendere decisioni difficili. E velocemente, dal momento che per passare da un esercito professionale a uno di leva non basterà schioccare le dita.
Se anche oggi stesso l’Europa intera reintroducesse la leva obbligatoria, formare a trecentosessanta gradi un esercito di riservisti richiederebbe molto tempo. E infatti, anche nei Paesi dove oggi prestare servizio nell’esercito è già obbligatorio, le differenze tra gli Stati in cui la leva è rimasta ininterrottamente dagli anni Novanta e quelli in cui è stata reintrodotta solo nei primi anni Duemila sono evidenti.
Per esempio, mentre l’Estonia – come anche i suoi vicini a Nord e a Est – continua ad arruolare riservisti ancora oggi, la Lettonia ha interrotto la leva obbligatoria nel 2007. E così, dopo quindici anni, è chiaro chi è in vantaggio: Tallinn, che ha a disposizione una popolazione di 1,37 milioni di persone, può contare su ottantacinquemila riserve. A Riga, con una popolazione di 1,85 milioni, si scende sotto le ventiduemila unità, che comunque non sono aggiornate sulle tattiche di combattimento più innovative. E queste lacune non si possono colmare velocemente, anche se si tratta di una questione estremamente urgente. Per creare sistemi di formazione dei soldati ci vorranno anni, e adattare le strategie e le attrezzature già a disposizione per i nuovi riservisti richiederà ancora più tempo. Per costruire un esercito formato da civili non potranno che volerci decenni di lavoro costante.
La situazione nella stessa Ucraina è peggiorata con l’indebolirsi delle forze armate del Paese, soprattutto in relazione al numero di reclute. A ottobre 2013, a meno di un mese dall’inizio dell’Euromaidan, Viktor Yanukovich aveva dichiarato che la leva obbligatoria sarebbe stata abolita. Se il conflitto fosse iniziato nel 2022, invece che nel 2014, l’Ucraina avrebbe avuto a disposizione tra le riserve centinaia di migliaia di uomini in meno.
Creare un esercito che sia capace di difendere l’Europa significa reclutare e formare giovani anno dopo anno, il che non è facile sotto alcun punto di vista. Data la situazione attuale, però, non è possibile non chiedersi: «I Paesi europei possono permettersi di abbandonare milioni di futuri difensori della patria a favore di quello che sembra essere più conveniente ora?». Gli Stati baltici e scandinavi hanno deciso, ma per le altre nazioni non è ancora chiaro se la società sia pronta ad affrontare una decisione simile.