Il segretario di Stato americano Antony Blinken è arrivato ieri a Kyjiv per incontrare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky proprio mentre la Russia prosegue l’avanzata sulla regione di Kharkiv avvicinandosi alla città Vovchansk. L’attenzione del mondo intero, o almeno quella parte che guarda all’Ucraina, è tutta in queste due aree.
Ma intanto, la popolazione ucraina che vive nelle zone de-occupate già immagina la ricostruzione. Non sarà un’operazione facile e per questo l’Occidente ha il dovere morale di creare condizioni e progetti di investimento, anche privati, che siano capaci di sostenere la finestra di tempo decennale che servirà a ridare l’Ucraina agli ucraini.
Nelle aree dove la controffensiva della resistenza ucraina è riuscita a cacciare le truppe russe, come a Kherson, i cittadini hanno iniziato a rimettere mano alle loro case, alle aziende agricole e alle tubature. Nonostante si stiano preparando anche a una possibile nuova offensiva annunciata ormai dai mezzi d’informazione che leggono online. Per farlo, racconta un lungo reportage del New York Times, le comunità presenti ancora nelle zone più rurali stanno costruendo fortificazioni anti tank posizionandole nei terreni ormai incolti: file di piramidi di cemento disposte a poche decine di metri dalle loro abitazioni.
Ma in molti casi la distruzione non ha lasciato margine per un ritorno. Moltissime famiglie hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni e non sono più tornate indietro. Le poche a cui l’artiglieria russa ha lasciato scampo, invece, stanno cercando di ripartire a fatica. Perché, se l’energia e il carburante sono tornati disponibili, i canali di irrigazione sono stati distrutti e l’acqua in alcuni dei villaggi più compromessi viene ancora trasportata con le cisterne. Il che complica notevolmente il lavoro di chi vorrebbe ricominciare a lavorare nelle piccole imprese agricole rimaste a lungo abbandonate.
Non bisogna dimenticare inoltre che la maggior parte delle famiglie rimaste in queste aree continua a vivere di elemosina, perché il lavoro disponibile è pressoché inesistente. Ma a sostenere queste comunità per fortuna sono arrivate anche alcune organizzazioni internazionali benefiche accompagnate dalle Nazione Unite, intervenute fornendo materiali pensati alla ricostruzione di un centinaio di abitazioni danneggiate, di cui la metà è risultato essere talmente deteriorato da essere irrecuperabile.
Ed è proprio su quanto sembra irreparabile che la comunità internazionale ha il compito di pensare a una soluzione, se ha davvero a cuore la ricostruzione dell’Ucraina.
Nell’aggiornamento annuale del Rapid damage and needs assessment redatto dalla Banca mondiale, dall’Unione europea, dalle Nazioni Unite e dal governo ucraino la stima attuale dei danni si aggira attorno a quattrocentocinquantadue miliardi di euro, e per l’intera ricostruzione si valuta che sarà richiesto un impegno almeno decennale. Di questi il diciassette per cento sarà indirizzato alla ricostruzione delle abitazioni, dei trasporti, degli impianti elettrici, di quelli industriali e del settore dell’agricoltura. Mentre il dieci per cento sarà destinato ai sussidi e alla previdenza sociale da garantire alla popolazione. E undici miliardi serviranno solo per le demolizioni e l’eliminazione delle macerie di tutte le infrastrutture irrecuperabili. In base al report le zone più colpite sono quelle di Donetsk, Kharkiv, Luhansk, Zaporizhzhia, Kherson e Kyjiv, i cui danni al momento ammontano a centocinquantadue miliardi di euro.
Oltre al pacchetto di cinque miliardi di aiuti miliari approvato lo scorso marzo, l’Unione europea ha messo in cantiere il meccanismo “Ukraine Facility” come parte dell’European peace fund, con cui l’Ucraina continua a ricevere il sostegno della comunità europea. Il nuovo strumento, articolato in investimenti finanziari periodici fino al 2027, prevede un tetto di circa cinquanta miliardi e il rispetto di alcuni requisiti (in questo modo da marzo la Commissione ha già investito circa sei miliardi).
Dall’inizio dell’offensiva russa l’Unione europea ha messo a disposizione più di novantotto miliardi, in sostegni umanitari, armi e finanziamenti. Dopo innumerevoli richieste da parte delle autorità ucraine, lo scorso marzo i Ventisette hanno trovato anche l’intesa sull’utilizzo dei profitti provenienti dagli asset finanziari russi congelati. Di cui i Paesi membri hanno concordato l’impiego del novanta per cento (circa tre miliardi annui) che andranno destinati a sostenere militarmente la resistenza di Kyjiv. Il testo definitivo è ora in discussione.
Anche gli Stati Uniti, dopo mesi di discussioni al Congresso, a fine aprile hanno approvato un pacchetto di aiuti militari per l’Ucraina: sessanta miliardi tra artiglieria e supporto nell’addestramento militare. I principali dubbi sul sostegno americano riguardano un’eventuale vittoria del candidato Repubblicano Donald Trump. Per ovviare all’incertezza che una vittoria dell’ex presidente potrebbe portare, gli Stati Uniti dovrebbero pensare già ora a un piano di investimenti a medio termine, che possa garantire un sostegno prolungato nel tempo all’Ucraina indipendentemente da chi siederà nello Studio Ovale. Ma sembra un’ipotesi piuttosto remota al momento.
La richiesta delle autorità ucraine continua a essere quella di un maggiore impegno e di un blocco degli asset russi che possa servire anche a riparare le infrastrutture distrutte. Perché solo quest’anno per le ricostruzioni immediate al Paese sarebbero necessari quindici miliardi di euro.
La ricostruzione ucraina sarà costosa per tutti e richiederà ai Paesi occidentali, che nella vittoria ucraina sembrano continuare a sperare, un impegno economico e finanziario non indifferente. Ma il Paese merita di riavere, di poter ricostruire e di poter tramandare alle sue nuove generazioni il suo patrimonio culturale, che dopo il 20 febbraio 2022 la Russia ha tentato in ogni modo di estinguere.