Le isole del Pacifico sono responsabili solo dello 0,03 per cento delle emissioni di gas serra globali, eppure sono uno dei fronti sul quale gli effetti della crisi climatica colpiranno prima e più duramente. Al di là dei cicloni tropicali divenuti più frequenti, ad allarmare è l’innalzamento del livello del mare: un’eventualità che in queste piccole terre emerse comporta la migrazione forzata dei residenti e l’erosione delle coste, fino alla cancellazione dalle mappe. In alcuni casi si ipotizza che le isole potrebbero venire completamente sommerse entro la fine del secolo.
A raccontare le sfide che gli abitanti delle terre più remote al mondo stanno affrontando a causa dell’inquinamento oceanico e dei cambiamenti climatici ci sarà presto il progetto Remoteness – Journeys to the Oceans’ Edge di Niccolò Banfi. Il velista e fotografo milanese, esploratore per vocazione, è partito il 17 maggio per la sua terza spedizione, supportata dal brand di calzature Sebago: un viaggio nel Pacifico che in ottanta-novanta giorni e circa 6.540 miglia nautiche lo porterà dall’Isola di Pasqua alle Fiji, passando per Pitcairn (la seconda isola abitata più remota del Pianeta, famosa per l’ammutinamento del Bounty), isole Gambier, isole Marchesi, Polinesia Francese e Tonga. Il rientro, mare e meteo permettendo, è previsto per metà agosto.
Il richiamo dell’oceano
Banfi ha alle spalle una carriera pluriennale nel mondo del marketing che nel 2022, a trentacinque anni, ha deciso di abbandonare. «Ho sempre sentito il bisogno di esplorare e conoscere posti nuovi e lontani. Due anni fa mi sono licenziato per seguire le mie passioni: i viaggi, la vela e la fotografia», racconta. «Mi sono imbarcato a bordo di un antico veliero dell’inizio del Novecento per affrontare la traversata del Sud Atlantico, dall’Argentina al Sudafrica». Questa prima spedizione, Remoteness – Atlantic Edition, si conclude dopo cinquantadue giorni di navigazione, per un totale di 5.600 miglia nautiche.
«È stata una spedizione intensa sotto tutti i punti di vista: abbiamo incontrato climi freddi, tempeste, onde alte dieci metri… Prepararsi a livello pratico e di attrezzatura è ovviamente fondamentale. Prepararsi a livello mentale, invece, è più difficile. Ci ho provato leggendo alcuni libri, anche di esplorazioni passate, ma la verità è che quando sei in mezzo all’oceano in quelle condizioni e sai che manca ancora un mese a vedere terra… è faticoso, insomma».
Un anno dopo, nel 2023, Banfi salpa di nuovo: Remoteness – Cook Islands Edition, questo il nome della seconda spedizione ormai diventata parte di un progetto a lungo termine, dura trenta giorni e si svolge nel nord delle isole Cook, con visite a Manihiki e Rakahanga. L’obiettivo è sempre lo stesso: «Visitare le isole più remote del pianeta e documentarle».
Dare voce alle comunità locali
Così sarà anche nel terzo capitolo di Remoteness, che avrà però un accento più marcato sull’aspetto sociale e ambientale. Durante il lungo viaggio tra le isole remote del Pacifico, infatti, «non ci saranno solo reportage dedicati alla natura e ai paesaggi, ma anche alle comunità locali. L’idea è dare voce alle persone che vivono in questi territori, tra i più impattati dalla crisi climatica», prosegue Banfi. «Per ogni isola che visiterò ho già degli “appuntamenti” con persone e Ong che si occupano di queste tematiche».
Il desiderio di concentrarsi maggiormente sugli effetti della crisi climatica è nato durante le prime due spedizioni di Remoteness, nelle quali Banfi ha comunque già potuto toccare con mano questi problemi. «Nel sud dell’Atlantico, ad esempio, si potevano notare cambiamenti abbastanza importanti nella temperatura dell’acqua», racconta. «L’anno scorso, invece, ho visitato la zona meno turistica delle isole Cook e a Manihiki, che ha circa duecento abitanti, mi hanno raccontato del ciclone che devastò l’isola un paio di decenni fa: ci furono vittime, case distrutte, territori devastati. La coltivazione di perle, che era la principale attività dell’isola, fu quasi del tutto abbandonata: oggi restano solo tre o quattro Pearl Farms. Quel ciclone per la comunità locale è stato uno dei primi segnali del cambiamento climatico, così come il ritiro delle spiagge».
A bordo di un antico veliero
L’imbarcazione usata per l’ambiziosa spedizione nel Pacifico è sempre la stessa, ossia il veliero a tre alberi di inizio Novecento, mentre il team a bordo, oltre all’equipaggio che aiuterà a portare la barca, sarà composto da «ricercatori che fanno parte della fondazione The Ocean Cleanup, fotografi, scrittori, divulgatori e documentaristi, ognuno con il proprio progetto. Ci saranno due ricercatori che raccoglieranno campioni di microplastiche durante la navigazione e organizzeranno anche lectures dedicate a questo tema. Sarà interessante e ci saranno sicuramente scambi di idee e sinergie», spiega Banfi, che sarà l’unico italiano del gruppo.
A supportarlo nell’avventura c’è Sebago, marchio che racconta da sempre la connessione tra l’oceano e l’essere umano e che equipaggerà Banfi con i capi della collezione Docksides2024 e con una fornitura Sebago Marine studiata con tessuti funzionali ispirati all’esperienza a bordo e personalizzata per la missione. «Sebago è il mio partner ufficiale e ne sono molto contento: è un brand che conosco e uso da tanti anni e che si allinea perfettamente con i miei valori. La scintilla per creare il progetto insieme è scoccata subito».
Il viaggio sarà documentato (quasi) in tempo reale sui canali Instagram @niccolobanfi e @sebago_world e su un canale YouTube dedicato. «Mi auguro di riuscire in qualche modo a educare le persone», conclude Banfi. «Il mio obiettivo è portare alla luce ciò che è remoto, lontano e sconosciuto. A volte si parla a sproposito di crisi climatica, quindi è il caso di fermarsi e lasciare la parola ad altri: le comunità che abitano queste isole sono talmente uniche nel loro genere e talmente toccate da alcune conseguenze della crisi climatica che bisogna assolutamente ascoltarle».